Fasce di bronzo ed un rumoroso silenzio
Dopo le prime partite del più discusso mondiale della storia calcistica, già emergono tutte le contraddizioni di una gestione ed un’idea di sport nutrite di ipocrisia
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Dopo le prime partite del più discusso mondiale della storia calcistica, già emergono tutte le contraddizioni di una gestione ed un’idea di sport nutrite di ipocrisia
• – Enrico Lombardi
Varato un fondo per “perdite e danni” subiti a causa di eventi climatici estremi, ma intanto nessun passo deciso è stato fatto per abbandonare i combustibili fossili
• – Redazione
Abbiamo vissuto una fase particolare della storia europea, che purtroppo non siamo riusciti a comprendere per poter immaginare oggi l’Europa al di là della dicotomia Ue/non-Ue
• – Redazione
Qualche segnale di un un dialogo che possa portare a un tavolo negoziale per la tragedia ucraina; ma per una pace a quale prezzo?
• – Aldo Sofia
L’affermazione di Amalia Mirante non regge all’analisi storica
• – Paolo Favilli
Smascherato il cruciale coinvolgimento di Mosca nell'attacco al volo civile della Malaysian Airlines MH17
• – Redazione
L’ineffabile palla dell’illuminato buddista Rinpoche rimbalza nei bellissimi stadi costruiti sulla pelle di moderni schiavi
• – Libano Zanolari
A poche ore dal fischio d’inizio del mondiale in Qatar piovono le voci critiche e le polemiche in mezzo al deserto e alla sue cattedrali petrolifere che chiamano stadi
• – Enrico Lombardi
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
La storia degli impresentabili Mondiali in Qatar parte da lontano
• – Redazione
Dopo le prime partite del più discusso mondiale della storia calcistica, già emergono tutte le contraddizioni di una gestione ed un’idea di sport nutrite di ipocrisia
È un’aria grama e quasi irrespirabile, quella che circola negli stadi qatarioti a 24 ore di distanza da una conferenza-stampa di apertura del mondiale, da parte del presidente Gianni Infantino, di cui abbiamo già scritto ma su cui occorre tornare a parlare dopo gli eventi (sportivi?) che hanno caratterizzato l’inizio delle competizioni.
Un Mondiale che ora tutti dicono essere assurdo, per come è stato deciso in sede FIFA, per come sia stato letteralmente comperato dall’emiro, per come sia stato organizzato, dal nulla, sulla pelle di decine di migliaia di schiavi nella costruzione di stadi faraonici ed infrastrutture da nababbi, era stato presentato, ancora ieri, come un evento straordinario, che permette all’intero globo di assistere a grandi partite ma anche, e soprattutto, alla legittimazione di un paese dominato da una casta ricchissima con regole che violano quasi tutti i diritti fondamentali.
Ma no, Infantino, bello in sella alla direzione della federazione mondiale, ha tenuto a sottolineare che con tutti i progressi che sono stati fatti in Qatar grazie al calcio, chi continua a pensar male dovrebbe vergognarsi, perché, attenzione, “chi siamo noi (europei) per giudicare e criticare?”
Già, chi siamo noi per metterci ora a cercar di ricordare le migliaia di vittime, cadute sull’altare dell’irresistibile ascesa dell’emirato “divora immigrati” (stagionali), o per sindacare circa l’oscurantismo di un regime che nega ogni differenza? E chi sono quelle squadre che adesso vorrebbero esprimere il proprio disagio attraverso la clamorosa esibizione di una fascia da capitano arcobaleno, segno di solidarietà con tutte le vittime di quello stesso oscurantismo?
Guai, ora si gioca a calcio e basta, impone la FIFA, basta con la politica (quella che disturba il padrone di casa, beninteso). Così, ben sette squadre (compresa la nostra) che avevano deciso di mettere l’arcobaleno al braccio del capitano, sono state immediatamente e preventivamente sanzionate: se lo fate, siete contro il regolamento ed il vostro capitano verrà immediatamente ammonito.
E tutto il “coraggio” di potenti federazioni come quella tedesca, inglese e compagnia calciando, si è liquefatto in men che non si dica. Un cartellino giallo ha cancellato ipso facto ogni annunciato arcobaleno, ogni singulto di espressione solidale, ed i baldi eroi dell’arte pedatoria tornano ad essere quelli da “zitti e buoni” (finché c’è lo sponsor che li amministra e li paga lautamente per dar spettacolo in giro per il mondo).
Che poi quello della FIFA fosse un’intervento fintamente regolamentare, ed invece fortemente “politico” poco importa. E che forse ci si sarebbe potuti aspettare anche qualche forma di protesta, da parte di qualcuno, magari disposto a beccarsi un giallo in campo pur di mostrarsi capace di pensare, pure. Il carrozzone impone regole (ben lontane dal vagheggiato fair play) che devono consentire di arrivare in fondo a questo incongruo spettacolo per la gloria delle magnifiche sorti e progressive della più opulenta federazione sportiva del mondo e dell’emirato che ha abbondantemente foraggiato i suoi dirigenti.
“Zitti e buoni”, già, ma c’è silenzio e silenzio, e in barba al (finto) principio del calcio senza politica, c’è una squadra che con il silenzio ha lanciato un proprio rumoroso messaggio di dissenso. Si tratta della squadra iraniana nella sua prima uscita contro un’Inghilterra senza fascia arcobaleno, ma tutta in ginocchio, ad inizio partita, per manifestare per il “Black lives matter” che, desumiamo, per la FIFA non è politico.
Pur battuto sonoramente, l’undici dell’Iran è uscito comunque vincitore nella propria battaglia per affermare tutta la solidarietà con le vittime innocenti che muoiono quotidianamente nel proprio paese sotto i colpi di un cieco integralismo di regime. I giocatori iraniani sono scesi in campo, in mezzo al campo si sono stretti in un abbraccio circolare e poi, al suono dell’inno nazionale, sono rimasti impassibili, muti, per protesta.
Un silenzio per gli innocenti del proprio paese, che vale molto più delle tante, troppe chiacchiere di squadre e federazioni infarcite di star, capaci di cantare, loro sì, senza problemi, un quotidiano inno all’ipocrisia.
Un evento che dimostra quanto si possa lucrare sui problemi e non sulle soluzioni
Su chi anche in Ticino si candida e che subito diserta lasciando il seggio al subentrante. Non ci vorrebbe una legge?