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• 1 Aprile 2022 – Enrico Lombardi
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È una linea sottile quella che, come poche, ha oscillato per secoli a segnare i confini tra le attuali Russia, Ucraina, Polonia e Bielorussia, senza trovare mai requie: un taglio netto verticale che nella sua incostanza ha finito per stravolgere le vite di migliaia di persone, contribuendo alla mescolanza di lingue e culture diverse. A pochi chilometri e pochi anni di distanza sono nati infatti alcuni dei maggiori intellettuali polacchi e ucraini dell’Otto-Novecento, cittadini dell’Unione sovietica o dell’Impero austro-ungarico, cattolici, ortodossi o ebrei. Un patrimonio culturale che merita di essere riscoperto.


Scerbanenco è italiano negli scaffali delle librerie ed era italiano a Roma, dove è cresciuto tra zie e cugini della famiglia materna. Lo era anche in Ucraina, preso in giro, durante la sua breve permanenza, dai bambini del luogo, a cui rispondeva con le due parolacce in russo che aveva imparato e, quando restava senza parole, con improperi in romanesco, indubbiamente più efficaci.

A Milano, seconda città dove va a vivere con la madre, Scerbanenco scopre però di essere straniero. Tra i Navigli sembra pesare di più il suo nome, Vladimir, e quella k infilata alla fine del cognome dell’accento di un ragazzo cresciuto sulle sponde del Tevere. “Verso i diciotto anni diventai straniero, qui a Milano”, scrive nel pamphlet autobiografico Io, Vladimir Scerbanenko (Milano, 1966) lasciando respirare al suo lettore, con poche frasi, quella tristezza che lo porterà a sostituire la k del cognome con una più italiana c e ad assumere il suo secondo nome, Giorgio, che non richiama steppe lontane ma solo santi nostrani.” (da Matilde Quarti, “Scerbanenco, fabbricante di storie”.

Ed è infatti della Milano degli anni ’50 e ’60 che Giorgio Scerbanenco scriverà, con l’esperienza del giornalista e con uno stile “immediato”, vicino al parlato, un gran numero di articoli e romanzi, praticando un po’ tutti i generi fino a scegliere quello del “noir” per raccontare le ampie e dolorose zone d’ombra della nascente metropoli del boom economico italiano.

Nato nel 1911 a Kiev con il nome di Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko (in ucraino Володимир-Джорджо Щербаненко), è stato capace di mutuare le vicende di cui veniva a conoscenza nel lavoro giornalistico di cronaca in varie testate milanesi in una serie di romanzi che l’hanno sì portato al successo, ma che solo dopo la sua prematura scomparsa, nel 1969, ne hanno fatto un “maestro” costantemente riproposto e ripubblicato, cui ha guardato con particolare attenzione anche una cospicua produzione cinematografica.

Fra i suoi personaggi più noti ed amati è da ricordare Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall’Ordine e condannato al carcere per aver praticato l’eutanasia, che uscito di galera diventa una sorta di investigatore privato. Lamberti, protagonista di una quadrilogia costituita dai romanzi “Venere privata”, “Traditori di tutti”, “I ragazzi del massacro” e “I milanesi ammazzano al sabato”, pubblicati da Garzanti nei tre anni che precedono la sua scomparsa.

Nella travagliata biografia di Scerbanenco, nel suo personale confrontarsi con momenti fortemente drammatici che ne hanno condizionato la produzione letteraria, vi è anche la fuga in Svizzera negli anni delle persecuzioni razziali in Italia. Al periodo svizzero (’43-’45) risalgono non pochi esempi della sua fluviale produzione, in scritti e volumi che testimoniano anche della costante interrogazione di Scerbanenco nei confronti della propria e della comune condizione umana di fronte alle peggiori nefandezze e tragedie della storia.

Da “Io, Vladimir Scerbanenko” (1966)

“Mia madre era dietro di me due o tre metri, e teneva un capo del tronco d’albero. Io ero davanti e tenevo l’altro capo del lungo tronco che trasportavamo a casa… Eravamo a Odessa, nel 1921, mamma aveva lasciato l’Italia e mi aveva portato con sé, per andare a cercare papà del quale non aveva più notizie dalla rivoluzione russa. A Kiev, mamma aveva saputo che papà era stato fucilato dai rossi”.

“Mio padre […] dal modo come ne sentivo parlare dalla mamma, dagli zii, dai nonni, sembrava un italiano anche lui. Più tardi ho imparato che gli ucraini, e mio padre era ucraino, sono i latini di Russia, ma allora lo sapevo d’istinto, senza neppure pensarci”.

Consigli di lettura

  • Sulla vita e l’opera di Scerbanenco: Cecilia Scerbanenco, “Il fabbricante di storie – Vita di Giorgio Scerbanenco”, La nave di Teseo, 2018
  • I romanzi ed i racconti di Scerbanenco sono costantemente pubblicati e ripubblicati dalle case editrici Garzanti e La nave di Teseo.
  • Presso Aragno, invece, è uscito, nel 2006, il volume “Il mestiere di uomo”, a cura di Andrea Paganini, che raccoglie 47 capitoli pubblicati a puntate su un periodico di Poschiavo fra il 1944 e il 1945.

  • Tutti gli articoli della serie “Vento dell’Est”






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