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• 31 Marzo 2022 – Pietro Montorfani
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È una linea sottile quella che, come poche, ha oscillato per secoli a segnare i confini tra le attuali Russia, Ucraina, Polonia e Bielorussia, senza trovare mai requie: un taglio netto verticale che nella sua incostanza ha finito per stravolgere le vite di migliaia di persone, contribuendo alla mescolanza di lingue e culture diverse. A pochi chilometri e pochi anni di distanza sono nati infatti alcuni dei maggiori intellettuali polacchi e ucraini dell’Otto-Novecento, cittadini dell’Unione sovietica o dell’Impero austro-ungarico, cattolici, ortodossi o ebrei. Un patrimonio culturale che merita di essere riscoperto.


Nonostante il rigido controllo da parte degli apparati statali incaricati della censura, non sono mancati nella lunga storia dell’Unione Sovietica letterati dissidenti di grande spessore, subito accolti a braccia aperte – se non di persona, almeno attraverso le loro opere – al di qua della cortina di ferro. Ne ho fatto esperienza indiretta scovando nei primi anni Ottanta, nella biblioteca dei miei genitori, alcuni titoli di Aleksandr Solženicyn e di Andrej Sinjavskj, noto quest’ultimo con lo pseudonimo di Abram Terc. Come quei testi, pubblicati da una piccola ma coraggiosa casa editrice milanese come Jaca Book, fossero finiti in un appartamento di Daro, frazione di Bellinzona, è storia per un’altra occasione, ma rimane significativo che abbiano avuto, prima della caduta del Muro, una loro vita anche alle nostre latitudini.

I veri capolavori di questa cultura della resistenza clandestina sono però i ben più celebri romanzi di Boris Pasternak e Vasilij Grossman, cioè Il dottor Zivago e Vita e destino, due libri che ebbero un percorso editoriale piuttosto simile: sfuggiti alle maglie del KGB, approdarono per vie tortuose in Occidente, il primo da Feltrinelli, il secondo presso l’Âge d’Homme a Losanna, casa editrice dell’esule jugoslavo Vladimir Dimitrijević. La fortuna arrise più al primo che al secondo, soprattutto per la fama di Pasternak, già molto stimato come poeta e in seguito vincitore del Premio Nobel (che fu costretto a rifiutare), fino alla definitiva consacrazione grazie al kolossal hollywoodiano di David Lean (1965), non senza qualche deriva sentimentale rispetto al più compassato archetipo letterario.

Che agli occhi del Partito comunista si trattasse però, in entrambi i casi, della medesima materia incandescente, potenzialmente pericolosissima, era cosa pacifica: nella storia di Zivago, Tonia e Lara il problema stava soprattutto nell’elogio degli aspetti più intimi e privati dell’esistenza (l’amore, la malinconia per la proprietà privata e per un’esistenza borghese), mentre in Vita e destino il vero scandalo erano la sottolineatura del tradimento degli ideali più alti della rivoluzione e il racconto schietto delle derive del totalitarismo staliniano, fenomeni che il reporter di guerra Vasilij Grossman non esitò a paragonare all’altro totalitarismo, quello nazista, anche in forza della sua identità ebraica, che entrambe le ideologie avevano provato a cancellare dalla faccia della terra.

Nato a Bedyciv nell’oblast di Zytomyr, nell’Ucraina centro-occidentale a metà strada tra Leopoli e Kiev, Grossman era stato tra i primi ad entrare nel campo di sterminio di Treblinka e negli anni quaranta aveva raccontato in presa diretta la Grande Guerra Patriottica e gli orrori commessi dai tedeschi sul fronte orientale. La presa di consapevolezza che una buona parte di quelle aberrazioni era stata compiuta però anche dai sovietici (stupri, pulizia etnica, antisemitismo), e in special modo nella sua Ucraina, fece nascere in lui l’esigenza di scrivere una grande opera che mettesse a tema il rapporto dell’essere umano con i sistemi totalitari, poco importa se di destra o di sinistra.

Nacque così Vita e destino, terminato nel 1959 e concepito attorno a una miriade di personaggi che da Stalingrado e Mosca si estende fino ai gulag siberiani e ai lager nazisti, cogliendo in un unico grande abbraccio tutte le contraddizioni di un’epoca tormentata e sofferta. Posizionati sulla cartina d’Europa come tanti spilli, i personaggi del romanzo finiscono per ruotare attorno a quell’area (e a quel confine) che corrisponde oggi all’Ucraina, proprio là dove Oriente e Occidente si incontrano e dove emergono, per contrasto o per somiglianza, le caratteristiche di entrambi gli schieramenti. Sullo sfondo, nella Russia di Stalin non meno che nella Germania di Hitler, il grande tema della verità e del linguaggio ad essa connesso, la prima, vera vittima di ogni totalitarismo assieme alle limitazioni della libertà personale.

Non vorrei parlare, è una tortura, ma devo farlo. […] È il mio ultimo dovere di rivoluzionario, e lo compirò! Sei una persona speciale, compagno Abarčuk. E anche il momento in cui ci siamo incontrati era speciale, il nostro momento d’oro. Quel che ho da dirti è che… abbiamo sbagliato. E il nostro errore ha portato a questo. È nostro dovere chiedere perdono anche a lui, dietro di te. Dammi una sigaretta. Anzi no, c’è poco da pentirsi. Non c’è pentimento in grado di scagionarci. È questo che volevo dirti. E uno. Veniamo al due. Non abbiamo mai capito cosa fosse la libertà. L’abbiamo soffocata. Neanche Marx la teneva in gran conto, mentre invece è la base, il senso, il fondamento di ogni fondamento. Senza libertà la rivoluzione proletaria non esiste
(Vita e destino, libro I, par. 41)

Consigli di lettura

  • Vasilij Grossman, Vita e destino, traduzione di Cristina Bongiorno, Milano, Jaca Book, 1982.
  • Vasilij Grossman, Vita e destino, nuova edizione ampliata, traduzione di Claudia Zonghetti, Milano, Adelphi, 2022.
  • Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka, traduzione di Claudia Zonghetti, Milano, Adelphi, 2010.
  • Vittorio Strada, Seconda guerra mondiale o Grande guerra patriottica? Riflessioni alla luce di “Vita e destino”, in L’umano nell’uomo. Vasilij Grossman tra ideologie e domande eterne, a cura di P. Tosco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011.

  • Tutti gli articoli della serie “Vento dell’Est”






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