Quei giubbotti anti-proiettile negati ai bambini ucraini
La Svizzera si è inizialmente rifiutata di consegnarli ritenendoli… materiale bellico, mentre agli oligarchi russi vengono sequestrati solo 6 dei 120 miliardi depositati nella Confederazione
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La Svizzera si è inizialmente rifiutata di consegnarli ritenendoli… materiale bellico, mentre agli oligarchi russi vengono sequestrati solo 6 dei 120 miliardi depositati nella Confederazione
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La Svizzera si è inizialmente rifiutata di consegnarli ritenendoli… materiale bellico, mentre agli oligarchi russi vengono sequestrati solo 6 dei 120 miliardi depositati nella Confederazione
Le autorità svizzere sono severe con i deboli, esasperante la pignoleria per la fornitura di giubbotti antiproiettile all’Ucraina. Molto indulgenti per contro nell’attuazione delle sanzioni contro politici ed oligarchi miliardari complici della dittatura di Putin che bombarda deliberatamente la popolazione civile. La Svizzera si è dapprima rifiutata di fornire giubbotti antiproiettile per proteggere bambini, soccorritori, medici e pompieri ucraini. Motivo: i giubbotti sono considerati materiale militare che la neutrale Svizzera non può esportare. Ma come, da quando in qua sono “militarmente” pericolosi, non esplodono, non uccidono, servono solo a proteggere vite umane, che senso ha un tale embargo persino per i bambini?
È semplicemente meschino, se n’accorge anche la Seco, la segreteria di stato per l’economia. Si ravvede rifugiandosi però in un indigesto linguaggio tecnico-burocratico. Suona così: i giubbotti del terzo livello, più rigidi e con un maggiore grado di protezione, sono militari, sono dunque vietati all’esportazione, si possono invece autorizzare i giubbotti del livello 3a, più morbidi, meno protettivi, a doppio uso sia militare che civile. Per salvare la faccia, la Seco sprofonda nel cinismo, fa una concessione, ma soltanto per i giubbotti antiproiettile fra virgolette meno “militari”, quelli che proteggono di meno. I bambini, le mamme, i soccorritori e i civili in fuga dalla guerra devono accontentarsi di una protezione made in Switzerland neutralmente limitata, di seconda categoria insomma. È vergognoso, ipocrita.
Le autorità federali e cantonali diventano per contro sbrigative e noncuranti quando si tratta di bloccare i patrimoni miliardari degli oligarchi e dei fedeli di Putin finiti sulla lista delle sanzioni internazionali. Finora sono stati congelati in Svizzera poco meno di 6 miliardi di franchi, poca cosa rispetto ai 150 fino a 200 miliardi di beni russi custoditi nel nostro paese. Gli importi bloccati “sono ridicoli” secondo Mark Pieth, il grande esperto di corruzione e riciclaggio. Il fatto è che la Svizzera rimane passiva, non cerca attivamente i beni degli oligarchi russi come fa la task-force creata da Stati Uniti, EU, Gran Bretagna, Canada ed Australia. Il lassismo elvetico è confermato dal direttore delle finanze del canton Zugo, Heinz Tännler, secondo cui “non spetta a noi fare i poliziotti”. In realtà occorrerebbe eccome una polizia finanziaria per scovare i patrimoni degli oligarchi russi nascosti dietro complicati costrutti di consorzi e società bucalettere. Tanto più che la Svizzera è una piattaforma finanziaria e del commercio di materie prime estremamente importante per la Russia. Secondo il noto economista russo Vladislav Inosemzev parecchi oligarchi sono i finanzieri di Putin. Sovvenzionano anche dalla Svizzera l’orribile guerra in Ucraina e sponsorizzano un regime sempre più dittatoriale e di stampo mafioso. Tanto che Catherine Belton, ex corrispondente a Mosca del Financial Times, cita un ex ufficiale dei servizi segreti russi che paragona la Svizzera a un ristorante di lusso dove i boss mafiosi si ritrovano a cena per discutere i loro loschi affari. Un campanello d’allarme per la reputazione e l’onore della Svizzera.
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