Giù la diga di Kakhovka tsunami sull’Ucraina
Con il reclutamento della natura in una guerra ecocida, le “linee rosse” del possibile vengono spostate a un nuovo livello di orrore
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Con il reclutamento della natura in una guerra ecocida, le “linee rosse” del possibile vengono spostate a un nuovo livello di orrore
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Con il reclutamento della natura in una guerra ecocida, le “linee rosse” del possibile vengono spostate a un nuovo livello di orrore
Di Anna Zafesova, La Stampa
Nessuno è in grado di dire per il momento quali danni nasconde la distesa d’acqua che sta trasformando città e villaggi ucraini in una Atlantide nella steppa: l’alluvione non ha ancora raggiunto il suo picco, ma è evidente che l’esondazione del Dnipro ha prodotto una catastrofe. Ogni stima e ogni paura – dalle decine di migliaia di abitanti che rischiano di perdere tutto alla devastazione di immensi territori coltivabili che possono distruggere il raccolto dell’estate e mettere in ginocchio l’economia del Sud-Est ucraino, dall’allarme epidemiologico a quello per la sicurezza della centrale atomica di Zaporizhzhia, definitivamente tagliata fuori dal sistema energetico del Paese – non può che essere preliminare.
Così come è difficile ora valutare il danno arrecato dall’esplosione della diga di Nova Kakhovka al potenziale militare e alle mire strategiche di Kiev e di Mosca, nella ricerca dei cui prodest che spesso viene considerata una bussola nel mare delle accuse reciproche. Da un lato, la sponda più colpita appare quella sinistra del Dnipro, sotto occupazione russa, con la piena che come minimo rinvia una ipotetica avanzata ucraina che attraversi il fiume, dall’altro a venire distrutte saranno probabilmente anche quelle linee difensive che i soldati di Putin avevano costruito proprio per mantenere le proprie posizioni.
Propagandisti moscoviti hanno subito accusato Kiev di aver voluto lanciare una “guerra dell’acqua” contro la Crimea, ma mentre le stesse autorità di occupazione della penisola negano il rischio siccità, la coda di automobili in uscita verso la Russia lungo il ponte di Kerch fa pensare che le smentite del regime russo spesso ottengono l’effetto contrario. Quello che spaventa, di questa calamità molto poco naturale, è la determinazione di chi ha fatto saltare la diga di superare un altro limite che sembrava impossibile.
Sembra quasi fuori luogo ricorrere per questa tattica al termine della “terra bruciata”, di fronte alla trasformazione della regione di Kherson in un lago, ma il senso del gesto, il messaggio che vuole lanciare, è proprio quello. Non lasciarsi nulla alle spalle, non concedere niente al nemico, come nell’agosto del 1941, quando Stalin dette l’ordine di far saltare la Dneproges, la mastodontica centrale idroelettrica diventata il simbolo dell’industrializzazione del socialismo. Un ordine che ha fatto almeno 20 mila vittime civili, e che soprattutto viene considerato da diversi storici privo di senso strategico e tattico: l’alluvione del Dnipro ha complicato i movimenti proprio dell’Armata Rossa in ritirata, mentre i nazisti non hanno avuto particolari problemi a ricostruire la diga e riavviare le turbine, solo per far saltare la centrale a loro volta prima della ritirata, nel 1943.
Confermando la vecchia regola che a ricorrere alla tattica della terra bruciata è la parte in difficoltà, in un ragionamento che oltre ad aumentare il danno inflitto vuole terrorizzare l’avversario con un messaggio: siamo pronti a tutto. Ed è proprio questo a rendere l’esplosione della diga di Nova Kakhovka un punto di svolta nella guerra. Il pericolo di una apocalisse provocata dalla diga minata era stato denunciato dall’Ucraina già mesi fa, quando erano state create anche le simulazioni sulle sue conseguenze, talmente agghiaccianti da aver forse convinto i suoi autori a rinviare il ricorso a questa minaccia. Che è stata invece attuata proprio nelle ore in cui il Cremlino aspetta la controffensiva ucraina. È la storia della città invisibile di Kitezh, che aveva preferito farsi sommergere dalle acque piuttosto che arrendersi ai mongoli, una antica leggenda russa che esalta il sacrificio estremo, quella disponibilità a gesti definitivi cui Mosca allude quando minaccia di ricorrere all’arma atomica. L’esplosione della diga di Nova Kakhovka non segna solo il ricorso a un’arma nuova e terribile, con il reclutamento della natura in una guerra ecocida: ora le “linee rosse” del possibile vengono spostate a un nuovo livello di orrore.
Nell’immagine: l’alluvione provocata dalla distruzione della diga
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