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Naufragi

Media e democrazia – Una brutta domenica

Bocciato l’aiuto ai giornali, in pericolo il giornalismo pluralista nelle regioni periferiche


Aldo Sofia
Aldo Sofia
Media e democrazia – Una brutta...
• 13 Febbraio 2022 – Aldo Sofia

Ci vorrebbe subito un bisturi, perché diverse sono le sfaccettature da esaminare separatamente per capire aspetti e cause del netto rifiuto nazionale della proposta d’aiuto ai media. Bocciatura che aggrava la situazione di molte testate già in chiara difficoltà, e che rischiano di soccombere, allungando la lista abbondante di giornali già scomparsi nella Confederazione in un paio di decenni e conseguentemente, inevitabilmente di numerosi colleghi lasciati a casa. Con il voto di ieri, un’altra brutta pagina viene scritta per uno dei tasselli imprescindibili del funzionamento delle società democratiche.

C’è soprattutto da capire quanto abbia pesato, nella vittoria del fronte del rifiuto, in particolare l’operazione truffaldina di spacciare un sopportabilissimo colpo di mano al mondo dell’informazione, regionale e locale, alla stregua di un attentato all’indipendenza dell’informazione: sussidi (pochi, insufficienti ormai) già ci sono, e nessuno ha mai potuto provare che siano serviti a Stato, governo, autorità politiche varie per condizionare, da soli, il lavoro dei giornalisti. Non è questo il problema dell’informazione allineata. Che è piuttosto il risultato di precise scelte di campo (spesso nemmeno dichiarate, ma nitide), di poco coraggio, di scarsa formazione (che la nuova legge prometteva di incoraggiare concretamente), di autocensura mentale (quella che in molte redazioni chiamano ‘min-cul-pop’, il ministero della cultura popolare di fascistica memoria, quando il solo fatto di esistere produceva ciò che il potere desiderava). Del resto non è certo un caso che a insistere pesantemente e incoerentemente sulla presunta minaccia alla libertà di espressione affossata dall’intervento dello Stato fosse soprattutto quella parte della politica affiancata da alleati economicamente potenti che han fatto shopping di testate grandi e piccole, poi costrette davvero a sacrificare la propria autonomia al propagandistico condizionamento dei nuovi padroni. In sostanza: lo Stato stia al suo posto, lasci che i piccoli si dissanguino, ci pensiamo poi noi imprenditori con le saccocce piene e con le idee politiche ‘giuste’, a proporci come unici possibili salvatori col nostro gioco, quello della libera mano del mercato (che non c’è). Guarda caso, i paesi scandinavi, dove i governi sono stati generosi nei sussidi statali, sono quelli che tutte le ricerche indicano come i migliori in fatto di indipendenza delle redazioni.

Poi, sul lato opposto, c’è stato anche chi ha ‘votato contro’ perché consapevole e convinto che con l’aiuto si sarebbero ingiustamente messi altri soldi nelle casse dei pochi colossi dell’editoria svizzera che in verità non ne hanno davvero bisogno (risultato di un compromesso politico pasticciato), ‘giganti’ che procedono a colpi di fusioni di giornali, che da anni non accettano il rinnovo del contratto collettivo di lavoro dei giornalisti, che hanno fatto utili e distribuito dividendi anche nell’era economicamente difficile della pandemia. Non si può negare che sia vero, anche se è inevitabile che ormai un certo giornalismo di qualità, che presuppone investimenti economici di personale e di tempo importanti, ormai lo possono garantire soltanto loro. Il problema è però che nel tritacarne del ‘gran rifiuto popolare’ ci finiscono soprattutto (meglio: esclusivamente) i meno attrezzati economicamente, i più deboli, i più colpiti dal precipitoso calo della pubblicità assorbita anche dalle grandi piattaforme della rete internazionali. Ma sono proprio questi ‘piccoli’ a garantire la nervatura vitale e indispensabile dell’informazione anche delle realtà apparentemente periferiche.

Infine, si paga il prezzo per le abitudini cristallizzate con l’avvento di media elettronici e social: nel primo caso col lungo gratuito saccheggio di articoli della stampa scritta, e nel secondo con notizie e opinioni a cascata, scarsissime volte attendibili, quasi mai verificate, un serbatoio traboccante anche di scemenze e veleni a cui, segnalano ancora una volta le statistiche, molti si abbeverano per ottenere ‘informazioni’, soprattutto nella platea dei più giovani (per il 45 per cento di loro, Facebook è in Svizzera l’unica fonte). E non può bastare, non ancora, la nascita di diverse piattaforme online alternative – che qualcosa avrebbero ottenuto dalla mano pubblica – per sperare in un futuro solidamente pluralista del nostro tormentato mercato editoriale.

Tutto questo mentre all’orizzonte si profila un’altra battaglia, che rischia di infliggere un altro distruttivo colpo di maglio in questo preoccupante panorama. La prospettiva, ma forse si può già parlare di certezza, che la destra nazionale (UDC, vedremo se con l’appoggio di quale parte dei partiti borghesi) lanci l’ulteriore attacco al servizio pubblico radio-televisivo, chiedendo in pratica il dimezzamento del canone. Non è trascorso molto tempo dalla battaglia (vinta) sul No-Billag che voleva in sostanza azzerare la SSR. Ma molta acqua è passata sotto i nostri ponti. Acqua limacciosa.






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Aldo Sofia
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