Guerra e libera informazione
La verità è sempre più la prima vittima delle guerre
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La verità è sempre più la prima vittima delle guerre
• – Redazione
Risponde alla volontà di garantire l’accesso ad una forma pubblica e controllata di moneta, digitale ma non cripto
• – Redazione
La corsa sfrenata alla digitalizzazione sta trasformandoci in vittime del capitalismo della sorveglianza, quello alimentato da super-ricchi che stanno preparandosi a fuggire. Anche su Marte, se necessario
• – Lelio Demichelis
Il 300° anniversario del battesimo di Adam Smith e il recente accordo sul debito degli Stati Uniti offrono l'opportunità di mettere in discussione le narrazioni alla base della nostra pratica economica
• – Boas Erez
Parla la rivale del dittatore di Minsk, che le rubò la vittoria alle elezioni del 2020
• – Redazione
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• – Franco Cavani
E nemmeno lo ha fatto per appoggiare il capo della Wagner: perché li considera entrambi parte dello stesso sistema
• – Yurii Colombo
Il presidente-dittatore della Bielorussia si vanta di aver fermato il capo della Wagner, ma deve tutto, anche la sopravvivenza politica, a Vladimir Putin
• – Aldo Sofia
A più di un mese dalla vittoria elettorale di Move Forward, il partito nato dal movimento pro-democrazia che portò in piazza i giovani contro i generali, il paese rimane in un limbo
• – Loretta Dalpozzo
Sarà Bernardo Arévalo, leader del Movimiento Semilla a sfidare la conservatrice Sandra Torres il 20 agosto. Battuti a sorpresa i candidati della destra peggiore. Ma il primo partito è il voto nullo
• – Gianni Beretta
Su Repubblica Enrico Franceschini afferma che “nel 1991 con l’Urss noi giornalisti eravamo più liberi di oggi”. Ricorda “le mani che tremavano” del neonominato capo della giunta politico-militare che aveva organizzato il golpe di agosto, “il nervosismo e l’incertezza” del capo del Kgb e del ministro della Difesa, quasi a presagire il fallimento del golpe. Le “stazioni radio indipendenti che trasmettevano la cronaca del colpo di stato in diretta”.
E osserva “l’impressionante differenza tra la libertà in cui operavano allora i media nazionali e internazionali in Russia e il misto di censura, oppressione e segretezza in cui sono costretti ad operare oggi, sotto il tallone di ferro di Putin e dei suoi epigoni”.
Il documentario su Berlusconi e un servizio sul caviale mentre è in atto la marcia su Mosca di Prigozhin, l’azione dei censori per impedire perfino le ricerche su Google, i self-video di Putin e dell’uomo delle caverne della Wagner, l’informazione sostituita dalla propaganda di regime. Conclude che “fare il giornalista oggi a Mosca è infinitamente più complicato e rischioso che al tempo del golpe del ’91”.
Tutto vero. Ma non è solo in Russia e nelle dittature che funziona così. Dal 1991 è cambiato il mondo. Se da un lato l’avvento di Internet e del digitale hanno reso più difficile la censura, dall’altro il potere, a tutte le latitudini, ha affinato tantissimo le azioni e le tecniche per condizionare, orientare, limitare o impedire la libera informazione.
Gli sconvolgimenti nel mondo dell’editoria hanno fatto il resto. I corrispondenti dall’estero e gli inviati di guerra ormai sono una merce rara, solo le grandi testate se li possono permettere. Sempre più spesso ascoltiamo servizi che ci raccontano cosa succede in un determinato paese redatti però dalla capitale di un altro paese distante migliaia di chilometri.
Vediamo “reportage” costruiti con lanci di agenzie governative, immagini e video realizzati da altri. Per non parlare dei pezzi fatti sulla base dei tweet e dei video-comunicati dei politici di turno, che ormai sono la norma.
Tutti i regimi e tutti i poteri, dittatoriali o democratici che siano, sono diventati abilissimi a mettere sotto tutela i media e a manipolare l’informazione. All’”imbavagliamento” non sfuggono nemmeno gli inviati di guerra. E lo stiamo vedendo anche in Ucraina.
Dall’invasione dell’Iraq in poi la gran parte dei giornalisti inviati al fronte lavora a sovranità limitata, si muove al seguito o nelle zone controllate dall’esercito “democratico” che gli permette di arrivare in certi campi di battaglia, di parlare con certe persone, di realizzare certe immagini e non altre. Si dirà, sì, ma almeno lì possono andare, mentre nei territori occupati dai regimi dittatoriali no. Resta il fatto che la verità è sempre più la prima vittima delle guerre. E che, come cantava De André, “bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.
Nell’immagine: un giovane fermato dalla polizia mostra la propria tessera stampa durante una manifestazione a Mosca nel 2011
È uscito di recente un rapporto dei vescovi sulla pedofilia nella Chiesa italiana, definito lacunoso e reticente. In altri termini: un'occasione mancata. Poteva andare...
Per comprendere la guerra bisogna vedere gli orrori commessi dai russi, non confondere lo stop alle armi con la debolezza di aver ceduto a Putin