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• 4 Maggio 2023 – Yurii Colombo
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I due droni che hanno colpito il Cremlino mercoledì avranno profonde ripercussioni sulle prossime fasi sia militari sia politiche in Russia. Già la scorsa notte a Kiyv, Zaporizhzhia e in altre città ucraine sono risuonate le sirene per attacchi missilistici e d’artiglieria russe. E sicuramente ce ne saranno altri nelle prossime ore e giorni. Buona parte della stampa occidentale è rimasta scettica sull’attribuire l’attacco a Zelensky a cui le esplosioni nel centro di Mosca non porterebbero nessun vantaggio politico.

Secondo l’Institute for the Study of War “il Cremlino potrebbe aver avuto bisogno della messa in scena per presentare la guerra in Ucraina come “qualcosa di esistenziale”, che richiede la partecipazione di tutti”.

Si tratta di ipotesi legittime ma che per ora non trovano rispondenza nella reazione dei mass-media russi all’accaduto. I telegiornali pubblici hanno relegato la notizia in secondo piano, dedicandole brevi servizi. I talk-show di attualità politica che si sono spesso distinti per isterismo in questo anno di guerra si sono profusi ieri su altri temi e i giornali hanno faticato a far diventare “top news” l’attacco al Cremlino. Lo stesso portavoce del presidente, Dmitrij Peskov, si è subito preoccupato di sottolineare che in quel momento Putin non si trovava all’interno del palazzo, ed è quindi illeso.

I tecnologi dell’informazione russa conoscono sin troppo bene la psicologia dell’opinione pubblica del proprio Paese, e hanno cercato di attutirne le ricadute. L’attacco viene colto dal russo medio nazionalista come una decostruzione dell’ immagine della potenza bellica nazionale, e anche della propria sicurezza personale: se è possibile colpire il cuore della capitale forse la nostra forza difensiva – si potrebbero chiedere i russi – è sovrastimata, e il nemico potrebbe colpirci dovunque?

Naturalmente la narrativa sull’attacco potrebbe avere una brusca sterzata in chiave aggressiva avvicinandosi anche il giorno dell’importante tradizionale discorso di Putin durante la parata del 9 maggio che ricorda la vittoria sul nazismo. Tuttavia vanno valutati anche altri aspetti che potrebbero spingere Mosca a restare in cauta attesa. Dopo le devastanti conseguenze della mobilitazione dell’autunno scorso l’immagine che il governo russo si è sforzato di dare internamente è quello della “normalità” e non dello “sciovinismo militante”, soprattutto nelle grandi città europee meno solleticate dalla grancassa propagandistica.

La stessa cancellazione della marcia popolare del “Battaglione Immortale” che ha sempre portato in piazza il “giorno della Vittoria” centinaia di migliaia di persone è significativa: un possibile attacco terroristico è visto più come una jattura che una potenziale carta reattiva, dall’entourage di Putin.

La Russia malgrado la riduzione dell’export di armi nel 2022, passato dal 22% al 16% del mercato internazionale, resta il secondo produttore mondiale e quanto successo, aggiunto ai deficit mostrati nella campagna d’Ucraina, potrebbe ridurre la credibilità dei suoi sistemi di difesa. Si tratta di un dettaglio che va aggiunto alla già forte incertezza delle dinamiche degli idrocarburi sul mercato internazionale e della tenuta dell’economia russa in prospettiva.

Ma c’è dell’altro. Ieri è passata quasi inosservata una dichiarazione di Evgenij Prigozhin, il capo di Wagner, l’esercito mercenario russo. Egli non ha solo affermato che la conquista e persino  la tenuta di quanto conquistato a Bakhmut da parte del suo esercito è messa in discussione dalla mancanza di invio ai suoi uomini di munizioni; ma ha aggiunto che, de facto, la più volte annunciata controffensiva ucraina sia già iniziata non solo nel Donetsk ma anche nell’oblast’ di Lugansk. Naturalmente queste dichiarazioni fanno anche parte dello scontro, ormai evidente, tra Prigozhin e Sergej Shougu, il capo dell’esercito russo: e che riguarda non solo l’esito del conflitto slavo ma i destini stessi del gruppo dirigente intorno a Putin.

Il silenzio sull’attacco al Cremlino apre perciò con un bagliore la stessa campagna presidenziale russa del 2024 che per quanto pilotata ha bisogno della massima immagine unitaria del Paese. Il quale invece si trova sempre più confuso da una campagna bellica infinita, e dagli incerti traguardi.

Nell’immagine: guerra o spettacolo?






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