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Naufragi

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Fabio Dozio
Fabio Dozio
Di guerra in guerra
• 26 Febbraio 2023 – Fabio Dozio

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Non semplificare. Potrebbe essere questo il monito da rispettare analizzando la guerra scatenata da Putin in Ucraina. In questo senso può illuminare la lettura del prezioso libretto scritto da Edgar Morin, uno dei pensatori più importanti del nostro tempo: Di guerra in guerra (Cortina editore). Morin, 101 anni, osserva e valuta la situazione di oggi tornando all’esperienza da lui vissuta durante la seconda guerra mondiale.

“Ci sono guerre più criminali di altre, come quella condotta dalla Germania nazista contro l’URSS, o l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ma ogni guerra, per sua natura, per l’isteria alimentata dai governanti e dai media, per la propaganda unilaterale e spesso menzognera, comporta una criminalità che va al di là dell’azione strettamente militare”.

Morin invita a non farsi accecare dal manicheismo assoluto e ricorda che “la guerra del Bene comporta in sé del Male”.

Il sociologo e filosofo francese mette in guardia contro l’esaltazione della guerra che finisce per criminalizzare il popolo nemico, attribuendogli una responsabilità collettiva. E qui ricorda la sua esperienza nell’esercito francese: “Ho sempre redatto volantini clandestini antinazisti, mai antitedeschi o anticrucchi”.

La storia dimostra che la radicalizzazione dei conflitti è un pericolo costante e genera atrocità: pensiamo alla Seconda guerra mondiale, che finì con le bombe atomiche sganciate dagli americani in Giappone (“può esserci barbarie in nome della civiltà?”), ma poi alla guerra di Algeria, la più recente guerra in Jugoslavia e il conflitto israelo palestinese. “Questi esempi – spiega Morin – mostrano perché io temo la radicalizzazione della Guerra d’Ucraina, le cui conseguenze planetarie, già considerevoli, possono diventare enormi, se non degenerare in una nuova guerra mondiale”.

“I nostri media – scrive – indicano un solo imperialismo, quello russo, che cerca di ricostituire la Grande Russia; sono muti sull’altro imperialismo che interviene ovunque sul globo, contravvenendo spesso, come la Russia in Ucraina, alle convenzioni internazionali”.

Morin contestualizza la guerra fra l’invasore e l’invaso, fra Russia e Ucraina, inserendola nel quadro storico e geopolitico delle relazioni fra Stati Uniti e Russia, due grandi paesi che hanno in comune storie di colonizzazione e imperialismo. I “molto democratici” Stati Uniti, con una Costituzione democratica che garantisce le libertà civili, hanno sterminato le nazioni autoctone, mantengono gli afroamericani in una condizione inferiore, hanno favorito le dittature in Cile, Argentina, Guatemala, hanno devastato il Vietnam, hanno invaso due volte l’Iraq, con pretesti menzogneri e in spregio del diritto internazionale.

La dispotica Russia zarista mantenne la schiavitù fino al 1861 e non riuscì mai a realizzare la democrazia e i diritti civili. L’URSS, a sua volta, teneva sotto il suo pesante protettorato Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria e basi militari in diversi continenti e perfino a Cuba.

Il punto cruciale dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, che spiega in parte anche la guerra di oggi, è il fallimento del progetto di Mikhail Gorbachev di “casa comune europea”. Un progetto annunciato al Consiglio d’Europa nel 1989. Morin ammira Gorbachev e ribadisce il concetto che “avendo accettato la riunificazione della Germania, aveva ottenuto dal presidente Bush la promessa, ma soltanto verbale, che gli Stati Uniti non avrebbero allargato la NATO”.

Su questo punto vale la pena sottolineare quanto detto da Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica ed ex corrispondente da Mosca, a Naufraghi/e il 24 febbraio scorso: “L’Occidente ha commesso quell’errore: non scambiare riforme e democratizzazione della Russia in cambio di aiuti. Questa era l’occasione storica, nel 1991. Per avarizia politica, culturale e storica, l’Occidente non è andato fino in fondo in questa operazione. Noi dovevamo aiutare la Russia a mettere in campo delle riforme, a quel momento si poteva tentare, e avviarsi sulla strada della democrazia reale. Non l’abbiamo fatto e abbiamo perso un’occasione”.

Il progetto di casa comune è quindi fallito e “negli anni Novanta cominciò una dialettica infernale in cui ciascuno dei due partner si sentì minacciato e si fece minaccioso”.

Dagli anni Novanta le tensioni sono dilagate e sfociate in conflitti: dalla Cecenia all’Afghanistan, dalla Georgia all’Iraq, dalla Serbia alla Siria. In questo contesto l’Ucraina acquista un’importanza geopolitica enorme. “L’Ucraina – scrive il filosofo francese – è una preda importante, tanto per la Russia putiniana, che conserva il sogno di ricostituire l’impero slavo, quanto per gli Stati Uniti, che insedierebbero così la NATO alle frontiere occidentali della Russia. Di fatto, l’Ucraina è la posta in gioco di due volontà imperiali, l’una che vuole salvaguardare il proprio dominio sul mondo slavo e proteggersi da una nazione vicina sotto l’influenza degli Stati Uniti, l’altra che mira a integrare l’Ucraina nell’Occidente e a togliere alla Russia il titolo di superpotenza mondiale”.

Edgar Morin si stupisce che in questo clima di guerra così pericoloso non si alzino voci a favore della pace, soprattutto in Europa.

La guerra attuale sembra in relativo equilibrio di forze e perciò potrebbero crearsi le condizioni oggettive di un compromesso, “mentre le condizioni soggettive di odio reciproco vanno nel senso di un’intensificazione e di un aggravamento del conflitto”. Secondo Morin, Putin è un “despota capace di realismo” e si possono quindi immaginare le condizioni della pace: “il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina o con uno statuto di neutralità, o con la sua integrazione nell’Unione Europea e dunque con una garanzia militare.

Come contropartita, la regione separatista del Donbass non dovrebbe tornare sotto sovranità ucraina, ove la sua popolazione russofona sarebbe oppressa e repressa: potrebbe essere sottoposta a un referendum sotto un controllo internazionale, oppure riconosciuta per quello che è: storicamente russificata. Tuttavia, siccome la sua importanza economica è considerevole per l’Ucraina, si potrebbe immaginare un condominio ucraino-russo sulla sua industria.

La Crimea è una penisola tatara la cui popolazione sotto Stalin è stata esiliata in Siberia; una parte è ritornata in Crimea, che è stata più russificata che ucrainizzata. Comprendeva l’84 per cento di russi, il 12 per cento di tatari, il 4 per cento di ucraini. La logica vorrebbe che ritornasse alla Russia”.

Il pensiero di Edgar Morin, riassunto sinteticamente, merita di essere ascoltato e discusso. È un’analisi lucida che tiene conto della complessità della situazione e si avvale dell’esperienza vissuta da un ultracentenario negli ultimi ottant’anni.

Nell’immagine: Michail Gorbachev nel 2008






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