Wilder: ombre ed orme nella neve
Parte stasera su RSI LA1 la quarta stagione della più acclamata fiction svizzera
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Parte stasera su RSI LA1 la quarta stagione della più acclamata fiction svizzera
Ecco dunque la scelta, sempre più diffusa, di produrre film seriali a carattere poliziesco, o comunque con forti connotazioni “thriller”, fondata sul successo di un genere che anche letterariamente si propone come capace di sondare, più di altri, le più diverse e problematiche realtà sociali, nascoste dal buio, vero o metaforico, di notti silenziose piene di mistero e di bugie.
A livello svizzero la strada è stata aperta, in un certo senso, dalle diverse stagioni de “Il Becchino”, realizzate in Argovia da SRF, mentre in Svizzera Romanda ha avuto un ottimo riscontro la serie ginevrina (e molto “urbana”) intitolata “Quartier des Banques” girata, per RTS, dal bravo regista ticinese Fulvio Bernasconi. Nella Svizzera italiana si è per ora rimasti alla produzione di “corti”, peraltro di indubbia qualità, come il pluripremiato “Arthur”.
Ma il maggior successo arriva ancora dalla Svizzera tedesca, con “Wilder”, da stasera in diffusione settimanale con la sua quarta stagione di sei episodi su RSI LA1 (e su Play Suisse), che ci porta in una realtà e dimensione rurale, in un piccolissimo paese, Oberwies, immerso, verrebbe da dire, nel nulla, fra vento, neve, ghiaccio e ruscelli in cui gorgogliano acque tinte improvvisamente di sangue.
Dopo tre stagioni passate a risolvere misteriosi casi di omicidio, in questa quarta stagione, la poliziotta protagonista, Rosa Wilder, decide di lasciare ogni incarico e torna al proprio paese con il figlio ormai quasi adolescente per stare accanto al padre, in gravi condizioni di salute. Ma bastano pochi giorni, e pochissime immagini, perché un nuovo “caso” si riapra, proprio in quel villaggio, ed una morte, forse accidentale, ma anche no, inneschi una trama fitta e complessa, che si dipana in continui colpi di scena, come vuole ogni “noir” che si rispetti.
La serie “Wilder” è visibile anche sulla piattaforma streaming della SSR “Play Suisse” che offre dunque “in anteprima” la possibilità di vedere, d’un fiato o quasi, l’intera quarta stagione e tuffarsi così, un po’ in apnea per la verità, nei molti ed intricati intrecci della claustrofobica realtà del villaggio.
Sì perché uno dei tratti distintivi della serie è proprio l’essere tutta incentrata e concentrata su relazioni nascoste e silenzi colpevoli di un gruppo ristretto di personaggi, tutti legati fra loro dentro una realtà “concentrazionaria” in cui, nonostante i venti che la trafiggono e percuotono, manca letteralmente l’aria.
Non sarà certo qui il caso di “spoilerare”, e dunque nulla si dirà di una vicenda che, al di là di qualche sbavatura nella compiutezza di alcune situazioni ed alcuni personaggi, tiene fino alla fine con una tensione tutta particolare, giocata non tanto su momenti ad effetto tanto cari, per esempio, alla tradizione americana, ma piuttosto avvertibile negli sguardi, nelle pause, in apparenti dettagli che invece nascondono terribili ed inconfessabili verità come spesso si ritrovano, per fare un altro esempio, nella tradizione del “noir” nordico.
“Wilder” è una serie che non può lasciare indifferenti, anzitutto per l’ottima interpretazione dell’attrice teatrale Sarah Spale nel ruolo di Rosa Wilder, e di un magnifico Markus Signer nel ruolo di Manfred Kägi, agente della polizia criminale che affianca la protagonista in tutte le indagini.
Si tratta di due personaggi di indubbio fascino: Rosa è, come in fondo evoca il suo cognome, selvatica e irrequieta, cocciuta ed indomabile, ma anche fragile nelle relazioni sentimentali, che siano con il padre, con il figlio, o con il padre del figlio, sempre travagliate.
Kägi vive solitario in una stravagante roulotte, nella memoria di un rapporto con l’unico uomo della sua vita che non c’è più ed in curiosa, istintiva sintonia con le intuizioni e le indagini di Rosa, non senza una patina di velata ironia.
Ma a dire il vero di ironia, in “Wilder” ce n’è proprio poca, perché tutto il racconto si impregna delle atmosfere, cupe e livide, di un paesaggio quasi lunare, fra nebbie, nevicate, un freddo glaciale che attraversa le poche strade di campagna, in un fondovalle su cui incombono, piene di tormento, nubi minacciose e vette montuose.
E più che essere nel Canton Uri o nel Canton Glarona, dove sono stati girati gli episodi di questa quarta stagione, pare essere in un un vago ed estremo nord, in cui giacciono sepolti e cristallizzati i sentimenti di tutti i personaggi, che si scoprono, a poco a poco, essere (stati) capaci di tutto, dall’incesto all’infanticidio.
Fra menzogne e sensi di colpa, è tutto un succedersi di eventi terribili e di “rivelazioni”, orme ed ombre che hanno a che fare con le strette relazioni di parentela o di vicinanza fra i personaggi. A dominare, in particolare, è il rapporto fra generazioni, padri e figli, oppure figli e madri, che non sanno parlarsi, che non sanno dirsi la verità, che giungono ad odiarsi.
E così, si arriva alla fine di “Wilder” (che pare al capolinea anche nella produzione) con un senso di turbamento difficile da definire; certo, uno dei non pochi meriti della serie, ben girata, ben montata e sonorizzata, sta proprio nella sua capacità di “colpire” lo spettatore portandolo dentro la sfera interiore di sentimenti e situazioni difficilmente sostenibili.
Tornando all’assunto iniziale per cui in questi ultimi anni il servizio pubblico punta sulla produzione di fiction perché sanno dirci della nostra realtà più di quanto non sappiano fare altri strumenti (dalla saggistica alla documentazione giornalistica, per dire), e ammettendo che possa pur essere vero, viene poi da chiedersi, con malcelata preoccupazione: ma quel posto sperduto e confinato fra le montagne, freddo, inospitale, abitato da parenti, finti parenti e finti amici, frutto di una cultura rurale incancrenita e da ideali smarriti o negati, in cerca di ricchezze da tenere segrete e nascoste, fra destini personali e relazioni umane incapaci di realizzarsi; quel paese claustrofobico e concentrazionario non è forse un po’ la Svizzera di oggi?
Val la pena di pensarci.
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