Il lupo ci protegge dalle valanghe
La difesa della biodiversità, un principio e una necessità difficili da inserire opportunemente nel dibattito politico sulla transizione energetica
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La difesa della biodiversità, un principio e una necessità difficili da inserire opportunemente nel dibattito politico sulla transizione energetica
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La difesa della biodiversità, un principio e una necessità difficili da inserire opportunemente nel dibattito politico sulla transizione energetica
Giugno 2023: mentre l’opinione pubblica pensa alla transizione energetica, il Parlamento federale discute su come preservare al meglio la biodiversità. È un concetto difficile da comprendere e forse è per questo che gli accordi internazionali sulla biodiversità sono fraintesi e visti come un’ingerenza. Ne abbiamo parlato con Nicola Schönenberger, direttore del Giardino Botanico di Ginevra.
A marzo, un deputato ha interrogato il Consiglio federale sulla partecipazione della Svizzera al nuovo accordo sulla biodiversità, adottato nel dicembre 2022 nell’ambito della 15a Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici dell’ONU (COP) in merito alla Convenzione sulla diversità biologica (CBD). Ha descritto l’accordo come un mostro burocratico. Cosa ne pensa?
Vorrei raccontare una piccola storia. Nel 2017, le guardie di frontiera dell’Engadina hanno scoperto un commercio di scialli di shahtoosh tra Italia e Svizzera. Lo shahtoosh è una lana molto pregiata ricavata dal vello di un’antilope tibetana. Poiché per realizzare uno scialle è necessario uccidere quattro antilopi, il commercio di shahtoosh è vietato dal 1979. La Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES) copre attualmente non meno di 40.000 specie! L’arresto da parte delle guardie di frontiera in Engadina dimostra che un’amministrazione ben organizzata può far rispettare una convenzione così ricca. Quindi non vedo nulla di mostruoso in questo caso, nonostante l’implicito onere amministrativo. Faccio notare che senza la CITES, oggi non esisterebbero elefanti, leopardi e rinoceronti.
C’è una differenza tra le due convenzioni, la CITES e la Convenzione sulla diversità biologica?
È una domanda interessante. Entrambe sono convenzioni tra molti Paesi, che si incontrano regolarmente nelle Conferenze delle Parti (COP). Ogni convenzione ha la sua COP. La CITES è nata dopo una prima conferenza a Washington nel 1975; è un prodotto dell’era successiva al ’68, così come le organizzazioni WWF e Greenpeace. Vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che le sue decisioni sono veramente vincolanti, perché si tratta di accordi sul commercio, sul diritto di esportare o importare un determinato prodotto. Se un Paese non rispetta la Convenzione, può incorrere in sanzioni commerciali dirette, come nel caso del Madagascar. La Convenzione sulla diversità biologica è nata dopo il vertice di Rio del 1992, negli anni della svolta neoliberista. Le sue decisioni non sono così vincolanti. Ovviamente, se un Paese non rispetta gli accordi, gli altri Paesi possono cercare di fare pressione su di esso, ma questo è molto più complicato e indiretto rispetto al caso della CITES. A maggior ragione non vedo il lato mostruoso delle decisioni della CBD denunciato dal parlamentare.
La decisione di destinare il 30% del territorio mondiale alla biodiversità è forse il risultato di sole discussioni tra esperti?
Gli esperti sono ovviamente coinvolti. Io stesso ho partecipato ai lavori delle ultime tre delegazioni svizzere alla CITES, come membro dell’autorità scientifica svizzera. Ma anche il mondo economico e le ONG sono rappresentate. Ad esempio, i produttori di strumenti musicali sono presenti quando si tratta di vietare l’uso di alcuni tipi di legno.
Le discussioni si concentrano quindi sulla conservazione della diversità delle specie.
Ma non è tutto. Una delle principali difficoltà nel comprendere le questioni relative alla biodiversità è che non è sufficiente stilare elenchi di specie da proteggere. Dobbiamo anche assicurarci che ci sia un numero sufficiente di individui di ogni specie. Questo è necessario per garantire la diversità genetica, che è fondamentale per gli adattamenti richiesti per la sopravvivenza delle specie allo stato naturale, poiché la diversità genetica è alla base dell’evoluzione e dell’adattabilità delle specie. Dobbiamo anche garantire l’esistenza di aree protette, note come ecosistemi. Alcuni di questi sono di importanza globale, come le foreste tropicali dell’Amazzonia e del Borneo, o il Parco Virunga in Congo, o le barriere coralline che sono la controparte subacquea di queste foreste. Esistono anche ecosistemi di importanza regionale, come le torbiere della Svizzera. Tutti gli esseri viventi formano un sistema altamente complesso con un numero incredibile di collegamenti, dai microrganismi ai più grandi animali, piante e funghi. Spiegare e capire il ruolo fondamentale di ogni singolo essere vivente è un’operazione necessaria ma evidentemente molto complessa.
Ci può fare un esempio della complessità degli ecosistemi?
Tutti capiscono l’importanza delle api nel processo di impollinazione: spostandosi tra i fiori forniscono un servizio inestimabile. Dobbiamo quindi fare in modo che non scompaiano. Anche i grandi predatori svolgono un ruolo fondamentale nel nostro ecosistema. Una volta un esperto mi ha raccontato un proverbio russo che dice che dove cammina il lupo, cresce la foresta. Adatterei questo proverbio alle nostre regioni dicendo che il lupo ci protegge dalle valanghe: cacciando la selvaggina di montagna, il lupo contribuisce a mantenere la vegetazione, che in inverno impedisce alla neve di scivolare giù. Si potrebbe obiettare che i cacciatori potrebbero ottenere lo stesso risultato, ma ciò sarebbe ovviamente un po’ artificioso e molto meno efficiente.
L’esempio del lupo solleva la questione degli obiettivi contrastanti: da un lato quelli di conservazione, dall’altro quelli legati all’attività economica.
Si tratta di una questione fondamentale e delicata. Ad esempio, non abbiamo ancora trovato il giusto equilibrio tra gli interessi degli allevatori di montagna e la necessità di mantenere una popolazione di lupi nel nostro territorio. Come ho detto, i conflitti fra obiettivi sono già presi in considerazione nei negoziati internazionali. Naturalmente, queste discussioni devono essere perfezionate a livello nazionale. Facciamo un esempio concreto. Per 30 anni si è discusso sull’aumento dell’altezza della diga di Grimsel, in seguito alla sua necessaria ristrutturazione. L’anno scorso il Parlamento ha finalmente dato il via libera all’operazione. Il progetto di innalzamento della diga è stato osteggiato dalle organizzazioni ambientaliste, perché le acque del lago ampliato avrebbero coperto siti protetti, tra cui una torbiera. In breve, “più elettricità” contro “la conservazione di una torbiera”.
In questo momento storico, è difficile capire perché dovremmo essere così attenti alla sorte di una palude quando vogliamo allontanarci dai combustibili fossili, ma a mio avviso è un po’ disonesto limitare il calcolo dei costi-benefici a questo esempio isolato. Bisogna ricordare che in Svizzera utilizziamo già il 95% dell’acqua e che il 90% delle torbiere è già stato eliminato. Quando sono state costruite le dighe, i fiumi a valle si sono svuotati e i pesci che vi abitavano sono in gran parte scomparsi. È difficile immaginare oggi come fossero alcune delle nostre valli prima della costruzione di queste imponenti strutture. Inoltre, non è possibile compensare la scomparsa di una torbiera: una torbiera pullula di vita e fissa il CO2 attraverso la fossilizzazione, quindi nel tempo; non si può semplicemente piantare una foresta altrove per sostituirla. Un discorso analogo vale per la rimozione di terreni agricoli: ci possono volere fino a mille anni per rendere fertile un terreno che non lo è più. Come si vede, questi calcoli non tengono conto né della storia né del valore intrinseco dei siti naturali. Ci sono stati alcuni tentativi di valutare il costo della nostra inazione nel preservare l’ambiente, ma dobbiamo andare molto oltre. In sostanza, è impossibile monetizzare la biodiversità.
Cosa pensa si possa fare per migliorare le cose?
Il lavoro dei ricercatori è fondamentale, perché proteggiamo ciò che conosciamo. Dobbiamo quindi continuare lo sforzo educativo, in modo che il maggior numero possibile di persone comprenda i meccanismi della biodiversità e se ne appropri. Un altro punto che vorrei sottolineare è la necessità di una pianificazione a livello nazionale per gli impianti di produzione energetica. Non ha senso prendere decisioni solo a livello locale, senza guardare al quadro generale. Infine, vorrei citare i risultati di uno studio che ha dimostrato che gli abitanti delle città scelgono istintivamente una vista dalle loro finestre rivolta ad aree di maggiore biodiversità. Dovremmo quindi insistere nel proteggere ciò che ci piace e aiutare le persone ad apprezzare la varietà degli esseri viventi.
Traduzione a cura della redazione e approvata dall’autore
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