“Rivedo la storia di mia madre – Chi critica il potere di Kadyrov viene messo a tacere”
Stavolta in Russia si sono levate proteste contro l’aggressione della giornalista Elena Milashina, ma è un’operazione di facciata: la regola a Grozny resta la stessa
Ci risiamo. Per l’ennesima volta in Russia è stata ferocemente aggredita una giornalista. Elena Milashina della “Novaja Gazeta” e l’avvocato Aleksandr Nemov avevano appena lasciato l’aeroporto della capitale cecena Grozny e si stavano dirigendo verso il tribunale per ascoltare la sentenza nei confronti di Zarema Musaeva. L’imputata nel frattempo è stata condannata a cinque anni e sei mesi di prigione. Musaeva, accusata di frode, è la moglie di un ex giudice federale ceceno e madre di due oppositori che hanno criticato il capo della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov. Va da sé che il processo è stato montato a scopi politici: non troppo tempo fa lo stesso Kadyrov aveva definito terroristi sia la donna che i restanti membri della sua famiglia. «Il futuro di quella famigliola sarà finire in carcere o sotto terra», aveva sentenziato Kadyrov, parlando dei parenti dell’incriminata. «Finché sarà vivo anche solo un ceceno, la sua famiglia non potrà godersi la vita in pace, da quanto è infangato l’onore di ogni singolo membro del nostro popolo». Lo stesso trattamento lo aveva riservato a Milashina, arrivando a definirla «subumana». Elena si occupa di Cecenia ormai da molto tempo e, di fatto, è l’unica giornalista in Russia che, in seguito alla morte di mia madre Anna Politkovskaja, aveva deciso di lavorare in quella zona, malgrado gli enormi rischi. Tantissime sono le pagine che ha dedicato alle violazioni dei diritti umani nella Ciscaucasia. Tuttavia ha cominciato ad acquisire una certa notorietà quando ha scritto delle numerose persecuzioni a danno delle minoranze sessuali.
È evidente che l’ennesimo caso di rappresaglia nei confronti di chi si permette di criticare l’autorità di Kadyrov fosse diventato l’oggetto del suo lavoro di giornalista. Va anche ricordato che in Cecenia, al fine di esercitare pressione sugli oppositori, è pratica comune rifarsi sui loro parenti. Soprattutto muovendo accuse penali totalmente inventate. L’automobile in cui si trovavano la giornalista e l’avvocato è stata fermata lungo il tragitto verso il tribunale da altre tre macchine, i due sono stati sequestrati da uomini armati e con passamontagna neri che li hanno minacciati con una pistola, presi a calci e picchiati con dei tubi. Tutta l’attrezzatura tecnica di cui erano in possesso è stata distrutta. Entrambi gli aggrediti sono in osservazione in ospedale. L’avvocato ha anche riportato ferite da coltello.
L’accaduto ha inaspettatamente causato una reazione deflagrante sui media russi. Alcuni deputati della Duma, funzionari e altri colletti bianchi hanno cominciato a inondare la rete di commenti sull’accaduto usando toni estremamente accusatori. Il portavoce del presidente russo Dmitrij Peskov è intervenuto immediatamente per comunicare che Putin era stato subito informato dei fatti. Quando hanno chiesto al Cremlino di commentare l’episodio, Peskov ha affermato che si tratta di «una gravissima aggressione, a cui occorre rispondere con provvedimenti decisi e su cui bisogna indagare». Nel frattempo l’ombudsman ceceno Mansur Soltaev, invece, ha preferito parlare di «atti diversivi e provocatori ai danni della Repubblica cecena».
Non è una novità. I colpevoli sono, come sempre, i nemici della Cecenia. E, di conseguenza, i nemici di tutta la Russia. Ma Kadyrov per ora ha preferito tacere e non rilasciare dichiarazioni. A distanza di qualche ora dall’aggressione, il capo del Comitato investigativo della Russia Aleksandr Bastrykin ha incaricato il suo omologo ceceno di acclarare i fatti accaduti a Grozny e di stilare un rapporto. Ma non di promuovere una causa penale. Come mai? Acclarare l’accaduto e basta? È anche probabile che a qualcuno dicano di no col ditino… “No, no! Così non si fa!” Ma sappiamo benissimo che “deve” andare esattamente così. Ci sono altri che hanno vissuto queste situazioni sulla propria pelle e sanno già come andrà finire anche questa volta. Bisogna comunque ricordare che la Cecenia oggi è uno Stato nello Stato, che continua a osservare costumi medievali e in cui le leggi della Russia, di cui la Cecenia fa parte, semplicemente non vengono applicate. Può essere considerato normale il fatto che una delle regionidi un Paese enorme possa vivere secondo leggi e regole proprie? Così stanno le cose ormai da tanti anni. Inoltre la Cecenia e il suo capo, Ramzan Kadyrov, ricevono regolari e cospicui finanziamenti provenienti dal bilancio federale. Ma nessuno che si lamenti.
Mentre l’esercito regolare russo distrugge l’Ucraina e bombarda la sua popolazione, i rappresentanti dell’«amichevole» popolo ceceno picchiano le donne per strada, umiliandole. Perché è di questo che si tratta: il capo rasato è sinonimo di enorme umiliazione per la cultura cecena. Purtroppo non è la prima volta che ho la sensazione che Milashina stia seguendo la triste traiettoria che aveva percorso mia madre, Anna Politkovskaja. «Ormai ho perso il conto delle volte in cui ho ricevuto delle minacce pubbliche da parte di Kadyrov», aveva detto qualche anno fa la giornalista. Infatti non è la prima volta che cade vittima di aggressioni. L’ultima volta era successo sempre nella capitale cecena, lo scorso 2020. Anche allora la giornalista era arrivata a Grozny per occuparsi delle sue inchieste giornalistiche.
Se penso alla mia esperienza personale, sono purtroppo sicura che di questo reato alla fine non risponderà nessuno. Nonostante la sorprendente reazione dell’opinione pubblica e dei giornalisti putiniani che, sulla scia delle dichiarazioni di funzionari e deputati, hanno espresso il loro sdegno. Qualora invece volessimo provare a osservare dall’alto quello che è successo, dovremmo banalmente constatare che oggi è stata l’ennesima, “solita” giornata in Russia. Qualcuno è stato picchiato e mutilato e l’ennesima persona innocente è finita in carcere per ragioni squisitamente politiche. Nulla di nuovo, la situazione è stabile. Non cambia niente.
Traduzione di Andrea Bertazzoni
Nell’immagine: Elena Milashina al rientro a Mosca dopo l’aggressione subita in Cecenia