La televisione di domani sarà connessa, personalizzata e irriconoscibile
Più scelta, meno coesione sociale. Proprio quello che ci voleva
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Più scelta, meno coesione sociale. Proprio quello che ci voleva
• – Redazione
Cambiano i modi, ma pensiero unico e modello esistenziale preconfezionato sono alla base dei due sistemi
• – Lelio Demichelis
Quelle dei leader spesso sono solo parole. Una frase che vuole segnare un solco: tra chi è attivamente impegnato nella causa climatica e chi la corteggia per interessi di comodo
• – Redazione
Dedicata a tutti quelli che usano gli stessi metodi. Ma non tutte le "bestie" vengono al pettine.
• – Franco Cavani
Partenze eccellenti. Un necessario appello a ritrovare un ruolo autonomo, e qualche visione
• – Marco Züblin
Almeno 227 attiviste e attivisti in difesa della terra e dell’ambiente uccisi nel 2020. Il numero più alto per il secondo anno consecutivo
• – Redazione
Piace poco agli ambienti economici e finanziari, ma funziona e sta meglio di quanto si voglia far credere
• – Silvano Toppi
Secondo il ministro UDC, Il consiglio federale ‘si crede Dio’ e ha fallito sul fronte sanitario; ma per il governo ‘non c’è nulla da dire’
• – Redazione
I media ticinesi e la «realtà da condominio»
• – Enrico Lombardi
Svizzeri indifferenti alla ‘crisi dei sottomarini’ tra Stati Uniti e Francia, qualcuno ne sorride: sbagliano, ne dovremmo invece trarre qualche insegnamento
• – Jacques Pilet
Più scelta, meno coesione sociale. Proprio quello che ci voleva
Tutto cambia affinché nulla cambi vale anche per la televisione? Il vecchio e il nuovo si inseguono, i contenuti da uno schermo passano all’altro così come gli utenti, i nuovi formati cercano di attrarre le nuove generazioni: consumatori fugaci. Ma nonostante tutto la Tv resta il media più seguito.
La televisione, posta davanti al divano in soggiorno ( anche secondo i dati rilevati nell’ultimo anno, quello “pandemico”), continua a governare le nostre ore di svago e informazione, tallonata dal resto degli schermi. Tuttavia, ciò che è cambiato e continuerà a cambiare sarà ciò che consumiamo attraverso quello schermo che in precedenza aveva la piena egemonia della televisione tradizionale: quella conosciuta come trasmissione lineare.
Ma ormai di lineare rimane poco perché oggi dominano le app: YouTube, Facebook, WhatsApp, Instagram, Twitter, Snapchat, Skype, Dropbox, Subway Surfers, LinkedIn, Uber e Google Maps, solo per citarne alcune, che coprono le attività del nostro quotidiano e hanno cambiato il modo di lavorare, interagire, comunicare, raccogliere e diffondere informazioni su persone, luoghi, eventi ecc.
La generazione Z, quella dopo i millennials, secondo il sito Statista si sposta verso nuovi spazi sociali come fonti di notizie mentre la generazione più giovane è molto più propensa ad usare Instagram, YouTube, Snapchat e, sì, TikTok, per ottenere le notizie. Secondo il Reuters Institute report, Instagram è destinato a superare Twitter come fonte di notizie principale tra i giovani consumatori, con il 75% dei giovani sotto i 25 anni che dicono di usare la piattaforma per le notizie e principalmente se in formato video. Infatti, le app preferite per le notizie sono per lo più piattaforme video-first. La generazione Z, dunque, è più propensa a informarsi tramite video (57%) rispetto al testo (43%).
Il punto è che oggi chiunque può produrre video e quindi Tv, o almeno chiunque può immaginare di competere con i grandi player: è il mondo digitale dove la diretta Tv è stata inghiottita da Internet, e si fruisce dovunque e con una miriade di gadget.
Franco Siddi, in qualità di presidente di TuttiMedia ha recentemente sottolineato che guardare al futuro non significa cancellare il passato e che salvaguardare il bene pubblico dell’informazione è soprattutto compito di Rai, Bbc ecc. «Oggi ci troviamo di fronte all’algoritmo – ha scritto nelle pagine di Media Duemila – il tema dell’opinione pubblica si pone in termini diversi. I media hanno sempre avuto un ruolo importante, e continueranno ad averlo se servono solo ed esclusivamente la verità. Grazie ai media si è formata l’opinione pubblica, praticamente scomparsa adesso, e che deve diventare di nuovo importante per la nostra società. Solo da questo punto, dalla riappropriazione del proprio ruolo, può ripartire il giornalismo, anche perché c’è sempre bisogno di giornalisti e di informazione».
Salvare il bene pubblico dell’informazione vale ieri come oggi, il punto è che abbiamo bisogno di una nuova centralità della televisione, come ha ben detto Alberto Marinelli (prorettore alla Sapienza) per sottolineare le profonde trasformazioni nel modo di guardare la televisione: «Oggi parliamo di un’esperienza che supera i modelli e i formati della Tv tradizionale e apre a una straordinaria molteplicità di pratiche, scenari di consumo, schermi, interazioni sui social media».
Il protagonismo delle audience connesse
«Non è più una realtà di nicchia ma è un fenomeno trasversale rispetto alle generazioni: se è vero che sono generazione Z e millennials (quelle più giovani) a caratterizzarsi per la maggiore innovatività, tutti i pubblici mostrano comunque comportamenti esplorativi sia rispetto all’ambiente tecnologico in cui si accede a contenuti televisivi sia rispetto alle pratiche social.
L’audience vuole contenuti sempre disponibili, modellati rispetto ai suoi diversi bisogni, svincolati dal palinsesto, per passare da uno schermo all’altro, da un contesto all’altro, da un tempo di consumo a un altro. I contenuti oggi circolano e si condividono, liberi da vincoli e barriere: è l’era del fluid viewing.
Ipertesto, interattività e connettività diventano le parole chiave perché dobbiamo ridefinire l’utente che da passivo diventa attivo e richiede un contenuto adeguato alla sua nuova forma. Questa potrebbe essere la chiave principale del prossimo sviluppo perché questo tipo di coinvolgimento porta un’emozione nuova, posiziona l’utente al centro dell’opera invece di lasciarlo alla periferia. L’interattività è centrale.
La narrativa ipertestuale dà un potere in più all’utente, stimola anche la sua curiosità e di fatto lo fa divenire coautore. Secondo David Rokeby, artista di nuovi media canadese, invece di creare contenuti statici di musica o pittura, nell’era digitale diviene fondamentale costruire nuovi strumenti e condividere l’opera con l’utente.
Questo potere non è limitato all’intrattenimento e infatti provoca problemi nella cultura della post-verità, perché la possibilità di pubblicare immediatamente è la tentazione irresistibile di prendere il controllo della parola. Questo è il nucleo, o meglio, il centro della criticità della Rete: da una parte dà la spinta ai prodotti commerciali che accelerano l’economia dell’informazione, dall’altra provoca la conseguenza imprevista di una cacofonia derivante dalle tante voci che si alzano su soggetti diversi.
De-coesione sociale
Secondo la studiosa canadese Regina Rini c’è differenza fondamentale tra una notizia “positiva” e una notizia “negativa” sulla Rete. Una notizia positiva raggiunge un piccolo pubblico. Una notizia negativa è letta da migliaia di persone e fa scattare un meccanismo virale. Le fake news sono sempre esistite ma oggi sono velocissime, istantanee, i lettori non hanno modo di difendersi e riflettere. Chi potrebbe riflettere non ha più un contesto avendo messo la propria memoria nel telefonino. Molte volte c’è addirittura l’indifferenza alla verità.
La verità, la verifica, interessa o non interessa? Questo è un nuovo angolo di riflessione perché la televisione del futuro potrebbe dover ritornare sulla qualità del contenuto e indurre a nuovi livelli di riflessione che i giovani stanno perdendo.
Non c’è niente di più condivisibile delle emozioni. È per questo che i social media hanno esteso il mondo della comunicazione come un sistema limbico sociale creando gruppi di interesse a sostegno di un messaggio, di una persona o di un programma. Oggi sono la fonte principale degli audit, in particolare Audiweb con la sua misurazione specifica. Ma la dittatura degli audit può impedire la necessaria metamorfosi della Tv.
La conclusione è un inizio perché, sotto sotto, speriamo che quelle espressioni creative che trovano per ora ospitalità in YouTube – o più recentemente in Facebook – e si caratterizzano per la forma breve, l’inquadratura e il montaggio ottimizzati per la fruizione da piccolo schermo e, soprattutto, per l’esplorazione di formati del tutto innovativi (web series, vlog), restino fuori dalle produzioni delle televisioni che hanno il compito di educare, narrare per permettere, anche, la formazione di un’opinione pubblica.
Questo testo è la postfazione di Derrick de Kerckhove e Maria Pia Rossignaud al volume “Storytelling digitale. La produzione audiovisiva 4.0”, a cura di Simone Arcagni, Luiss University Press, 2021.
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