Il Ticino che sognava la Silicon Valley (e ora punta sulle criptovalute)
Un Cantone che un tempo si lanciava in progetti che si sono anche concretizzati e che oggi pare puntare al bingo del magico mondo dei bitcoin
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Un Cantone che un tempo si lanciava in progetti che si sono anche concretizzati e che oggi pare puntare al bingo del magico mondo dei bitcoin
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Un Cantone che un tempo si lanciava in progetti che si sono anche concretizzati e che oggi pare puntare al bingo del magico mondo dei bitcoin
Si può sorriderne pensando a ciò che era già allora e a ciò che è poi diventata quella Valle Californiana che aveva preso il nome dal silicio con cui si producevano i primi microcircuiti. Non solo perché centro di una rivoluzione tecnologica ed anche “culturale” (basterebbe pensare a Apple, Facebook, Google), ma per una sua caratteristica particolare: essere il paradiso delle start-up ( dal termine inglese “partire, mettersi in moto”; avvio, cioè, di una nuova impresa, con un proprio progetto innovatore o diverso), accettando anche o rischiando, in pratica, che su cento tentativi di start-up (con relativi finanziamenti) solo un terzo poteva finire per avere qualche buona sorte o il successo.
In articoli di giornale e poi in interviste televisive (mi si perdoni l’immodestia) ponevo proprio questo interrogativo: nell’economia ticinese, dato e non concesso che abbiamo spirito imprenditoriale (il rapporto Kneschaurek ne rilevava la forte carenza), sovrabbondando però in capitale-risparmio in fuga dall’Italia, ma sempre così ammalati di solido mattone (sempre investimento principale), sempre così impostati politicamente sull’attrazione di imprese estere con il giochetto eterno degli sgravi fiscali, con manodopera frontaliera a buon mercato (e, quindi, a scarso valore aggiunto), come e quanto si era disposti ad accettare quella filosofia californiana e, come assetto bancario-finanziario, a correre quel tipo di rischio all’investimento? A domanda, sorriso di compatimento. Oppure: ci penserà lo Stato, se va male.
Eppure, quei politici di allora oggi, più che mai, appaiono ammirevoli. Avevano perlomeno dei sogni e non navigavano in turpulinature da terno al lotto o in sgoggiolinature da “grasso che cola”, come si direbbe in buon dialetto (traduzione dall’inglese “trickle down effect”) affidandosi a quella che sembra l’unica scienza economica dominante in Ticino, quella della ricchezza da attrarre perché si diffonde verso il basso, accontentando tutti.
Oggi, ad esempio, a chi ricorda quei tempi arditi e speranzosi colpisce una constatazione che sembra mischiare utopia, magia, spirito di iniziativa, realismo ed anche alto senso del bene comune. A tre professionisti medici che sedevano in quei tempi in Gran Consiglio – due dell’area di sinistra, solitamente ritenuta molto questuante ed economicamente poco affidabile (parlo del prof. Giorgio Noseda, ch’ebbe anche parte di primo piano nella costituzione dell’Ente ospedaliero cantonale; parlo del prof. Franco Cavalli, oncologo) e uno dell’area liberale (parlo del prof. Tiziano Moccetti, cardiochirurgo) – hanno dato vita, per enorme valore aggiunto, per spirito e risultati di ricerca, per creazione di posti di lavoro altamente qualificati, per alto senso del bene comune (potremmo dire specifico per il genere stesso di ricerca e di attività) a tre delle più impensabili, migliori, efficienti (per risultati), internazionalmente riconosciute e apprezzate e interpellate realizzazioni che abbia sinora conosciuto il piccolo Ticino: l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB), l’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana (IOSI), l’Istituto Cardiocentro Ticino (ICT). Insomma, fatti, non parole.
Un’altra considerazione ci suggerisce tuttavia l’attualità ritornando a quel mito ticinese di allora, la Silicon Valley, e ciò che sono riusciti a realizzare alcuni politici di allora: è saltata l’altro ieri, con gran fragore, la Silicon Valley Bank, specializzata nel capitale di rischio. Chiusa amministrativamente dalla Federal Deposit Insurance Corporation, l’autorità di garanzia dei depositi americani, quando i clienti hanno cominciato a ritirare massicciamente i loro fondi in dollari. Si tratterebbe del maggior fallimento bancario americano dopo la grande crisi del 2008; 175 miliardi di dollari in ballo. Le vere vittime sono appunto le start-up da dieci a cento impiegati che non possono più pagare i salari.
Dove sta una delle cause principali del fallimento della Silicon Valley Bank? Non sta nel rischio assunto con le start-up. La banca aveva annunciato di dover vendere 21 miliardi di dollari di titoli finanziari. E c’entrano le criptovalute. Perché quella banca era legata ad altra banca, la Silvergate, “la banca delle criptovalute”, la cui rete di pagamento SEN era utilizzata dai principali attori del settore, delle piattaforme di scambio maggiore come Coinbase e Kraken o fondi come Galaxy Digital o emettitori di cripto stabili (stablecoin, ancorati al dollaro per definirsi stabili).
È interessante rilevare come la procuratrice generale dello Stato di Nuova York, Letitia James, abbia dichiarato: “Una per una, stiamo prendendo misure contro le società di criptomonete che ignorano sfrontatamente le nostre leggi e mettono sempre più in pericolo gli investitori”. È risultato che la Silicon Valley Bank era diventata una banca di ripiego per i clienti della Silvergate, la banca delle criptovalute, messa in liquidazione, e ne ha subito il contraccolpo.
La criptosfera non manca mai di nuvole nere. L’aspetto un po’ tragicomico della faccenda è che il Ticino che un tempo pensava di diventare la Silicon Valley delle piccole e medie imprese altamente tecnologiche, coraggiose e innovatrici e con politici che, su quell’onda ardimentosa, con risultati concreti ottenuti e soprattutto duraturi nel tempo, hanno comunque creato molto di buono; oggi quel Ticino e la sua principale città, si trovano come proposte straordinarie innovative, tutte paracadutate da chi sa chi e da chi sa come, le criptovalute. Le quali, con le loro strutturali precarietà, instabilità e volatilità, stanno mettendo a repentaglio persino la mitica Silicon Valley, proprio la culla dell’informatica. Certo, tra il sognare la Silicon Valley e le sue start-up, riuscendo comunque in quello spirito a concretare qualcosa, e il sognare etereamente un bingo con le criptovalute, una differenza c’è, in termini politici e in termini culturali.
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