Le rivolte delle banlieue sono spiegate meglio nelle pagine che non trattano delle rivolte. Il Consiglio di Stato ha dato ragione alla Federazione calcio francese contro il ricorso di una ventina di calciatrici musulmane cui è stato impedito di giocare con lo hijab, il velo, e nonostante la Federazione mondiale lo consenta. Poche settimane fa, a Grenoble, fra febbrili discussioni, è stato ammesso nelle piscine comunali l’uso del burqini – il costume da bagno per donne che lascia scoperti solo viso, piedi e mani, e vietato nella gran parte del paese. E intanto si ragiona se proibire nelle scuole le vesti tradizionali islamiche, il qamis ai ragazzi e la abaya alle ragazze, poiché si stanno diffondendo sempre più velocemente. La radicalizzazione spaventa, come ha raccontato un preside al Figaro, senza porsi il problema che della radicalizzazione andrebbero indagate le cause e non cassati gli effetti: significa sbagliare di molto la mira. E dopo tanti anni i francesi dovrebbero avere compreso che combattere l’identità degli immigrati, dei loro figli e nipoti di seconda e terza generazione, significa rafforzargliela fino alla radicalizzazione. Questo è il metodo francese, l’assimilazionismo: se vuoi essere francese, devi fare tutto quello che fanno i francesi. E la pietra angolare è la legge sulla laicità, che non tollera l’esibizione in contesti pubblici di simboli religiosi, fra cui ormai rientrano gli abiti. Ma se la legge è spinta fino a dire che cosa si può indossare e che cosa no, è una legge assertiva come la religione e più della religione diventa integralista. Poi a integralismo si risponde con integralismo.
Nell’immagine: bikini e burqini