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Cinzia Sciuto, Micromega

 

Primi anni Duemila, facoltà di Filosofia, Villa Mirafiori, Roma. Il professore chiede a tutti gli studenti di lasciargli numero di cellulare e indirizzo e-mail per creare un elenco degli studenti del corso e far circolare le informazioni in maniera veloce. Nella sala si alzano alcune manine per segnalare che “no, prof., io la mail e il cellulare non ce l’ho” e via a sciorinare argomenti sulla tecnologia che rovina i rapporti umani e che “a cosa servono mail e cellulare se c’è già l’indirizzo di casa e il telefono fisso” ecc. ecc. Non so che fine abbiano fatto quegli studenti, so di certo però che oggi – a meno che non si siano ritirati in un qualche eremo sui monti – un indirizzo e-mail e un cellulare (con ogni probabilità uno smartphone) ce l’hanno di certo.

Le innovazioni tecnologiche sono un po’ come le “innovazioni” evoluzionistiche: se funzionano, rimangono e si perpetuano, se non funzionano spariscono senza lasciare traccia. E questo in maniera del tutto indifferente rispetto a quello che noi ne pensiamo: se una tecnologia soddisferà un qualche bisogno sarà destinata a rimanere, fino a quando sarà sostituita da una nuova tecnologia che lo soddisferà meglio.

Accadrà anche con l’intelligenza artificiale? Io penso proprio di sì, ma in ogni caso non sarà il nostro giudizio morale (o moraleggiante) a deciderlo, ma solo la sua capacità di risolvere meglio di altri strumenti dei problemi. Nel dubbio sarà bene iniziare a conoscerla a fondo fin da subito per non farci cogliere completamente impreparati quando ce la ritroveremo accanto senza neanche accorgercene (anzi, ce l’abbiamo già affianco e non ce ne stiamo accorgendo).

Faccio uno di quei mestieri che più di altri è esposto agli stravolgimenti che può portare l’intelligenza artificiale. Potrei dunque arroccarmi nella posizione di difesa a oltranza dell’unicità della creatività umana e rifiutare in blocco questa nuova tecnologia. E invece, proprio perché mi riguarda molto da vicino (qualcuno paventa addirittura che potrebbe togliermi il lavoro), ho deciso che voglio conoscerla meglio, capirne le potenzialità (e, ovviamente anche i rischi). Le osservazioni che seguono sono frutto di un po’ di sperimentazioni con ChatGPT, il servizio di OpenIA, che come sapete è attualmente inaccessibile dall’Italia perché la società ha deciso di sospenderlo in seguito a un provvedimento urgente del Garante per la protezione dei dati che segnalava lacune in materia.

Quando si parla di IA tutti pensano immediatamente alla produzione di testi al posto nostro e di solito vengono prontamente evocati i rischi di questo uso: quello di studenti che presentano lavori scritti dall’IA è il più classico. Ora, scrivere testi al posto nostro è certamente uno degli usi di questo strumento (e quello che presenta maggiori profili di problematicità), ma non è l’unico e, nel nostro settore, neanche il più importante.

In tutti i lavori, inclusi quelli “creativi”, intellettuali, immateriali ci sono in realtà una serie di mansioni a basso tasso di creatività, ripetitivi e noiosi che però hanno bisogno di un alto livello di competenze. Prendete per esempio, nel mio ambito, la correzione delle bozze: un lavoro tra i più odiosi (almeno per me), che pure tocca fare (e che ahimè si fa sempre di meno), che è piuttosto ripetitivo e che però implica un elevato livello di competenza linguistica. ChatGPT è in grado, per esempio, di correggere errori di battitura, grammaticali, di ortografia e, se glielo chiedete, anche di suggerire miglioramenti stilistici. Non avete idea delle condizioni in cui certe volte arriva un testo in una redazione: se ChatGPT mi dà una mano “ripulendolo” dagli errori e me lo restituisce corretto, in modo che io poi possa leggerlo senza inciampare continuamente in apostrofi al posto degli accenti, inutili doppi spazi, errori ortografici, o frasi assolutamente senza capo né coda non potrebbe essere un buon alleato nel mio lavoro? Mi direte: ma per quello c’è già il correttore di Word. Sì, per quasi tutto quello che fa ChatGPT c’è un “omologo” che già conosciamo, ma il modo in cui l’utente interagisce con ChatGPT cambia tutto perché si può dare alla chat un livello di istruzioni molto complesso, per esempio dicendo: “Correggi gli errori di ortografia e grammatica in questo testo, tranne che nelle frasi fra virgolette”, perché magari nelle frasi fra virgolette gli errori sono voluti. Capite la differenza?

Un altro ambito in cui può dare una grossa mano è la ricerca. Voi direte: vabbè, ma per quello c’è già internet! Ma lo dite perché non avete ancora usato ChatGPT. La differenza è che si può interrogare la chat con linguaggio naturale e, soprattutto, che l’intelligenza artificiale ti restituisce una risposta dotata di senso e argomentata. È anche una risposta completa? No di certo. Ma perché, la tua personale ricerca su internet lo è? È una risposta corretta? Dipende. Su temi sui quali la chat dispone di una mole sufficiente di dati, le risposte sono piuttosto affidabili, ma su altro può prendere grossissime cantonate e per questo NON sostituisce una ricerca accurata con riscontro incrociato delle fonti, ma può essere un buon punto di partenza o una utile integrazione. È una risposta “neutra”? No di certo, perché dipende da un sacco di cose, tra cui naturalmente il modo in cui è stata “addestrata” l’IA e le informazioni che ha avuto a disposizione (che comunque sono infinitamente più numerose di quelle che hai tu anche solo perché lei ha avuto accesso a internet in tutte le lingue, mentre tu se va bene cerchi in una-due lingue al massimo e comunque ci metteresti una vita intera a “leggere” le informazioni che lei ha acquisito durante il suo addestramento. Che, attenzione, per quanto riguarda ChatGPT per il momento è fermo a settembre 2021, per cui se cercate informazioni aggiornate non le troverete).

Ancora un esempio di utilizzo proficuo dell’IA: farsi un’idea del contenuto di un testo. ChatGPT ha infatti una elevata capacità di comprensione dei testi, per cui se gli chiedi di farti un riassunto di un testo (da qualunque lingua in qualunque lingua) è altamente probabile che tu ottenga un risultato del tutto dignitoso; così come se gli chiedi di tirarti fuori una precisa informazione da dentro un testo molto lungo (e non come con il sistema “cerca” di Word nel quale devi usare una parola esatta, ma potendo porre domande naturali e complesse come per esempio: “C’è un passaggio nel testo in cui l’autore parla degli effetti del cambiamento climatico sulle coste?”).

Quello per cui ChatGPT e gli altri sistemi di chat basati sull’IA NON vanno usati – e che è invece praticamente l’unica cosa su cui si stanno concentrando i loro detrattori – è la produzione ex novo di testi complessi su argomenti di cui non sappiamo nulla, e sui quali dunque non possiamo fare le doverose verifiche. Mentre può essere un valido aiuto per costruire testi standard e ripetitivi con informazioni che forniamo noi.

Allora tutto bene? Nessun problema all’orizzonte? Ma neanche per sogno. Di problemi questa tecnologia ne pone tantissimi a partire da quello, enorme, del suo addestramento che è ovviamente condizionato dalle fonti a cui è stata esposta (e a cui sono esposti i lavoratori, in carne e ossa, che devono selezionare e catalogare le informazioni da dare in pasto all’IA, come ha svelato un’interessante quanto inquietante inchiesta del Time), come anche il tema del cambiamento radicale che l’integrazione di questa tecnologia introdurrà in alcuni settori, con conseguenti impatti sui lavoratori (tema annosissimo che si ripresenta a ogni avvento di una nuova tecnologia in grado di sostituire parte del lavoro umano).

Poi c’è un punto centrale – che riguarda anche l’uso in generale di internet, dei social, degli smartphone – è cioè  che l’IA è uno strumento che per essere usato correttamente implica un alto livello di competenze sia intellettuali sia prettamente linguistiche. Le sue risposte dipendono moltissimo dalla nostra capacità di porre domande in modo preciso, completo, accurato, competente e pertinente. E per poter usare le sue risposte abbiamo bisogno di robusti strumenti per valutare, ponderare, integrare, smentire anche i risultati della ricerca dell’IA e soprattutto per mantenere il controllo sul nostro lavoro, senza delegare all’IA responsabilità che sono solo nostre. Certo, se questi strumenti non ce li abbiamo, sono guai. Esattamente come sono guai quando si usa internet senza la minima educazione digitale, cosa che ahimè capita troppo di frequente.

Per chi, come me, lavora nell’ambito della comunicazione il tema principale che l’uso dell’IA pone è quello della responsabilità e della trasparenza. Esattamente come avere a disposizione internet non ci esime dal verificare le notizie e le fonti, così avere a disposizione l’IA non ci esime dal verificare che le informazioni che ricaviamo da essa siano corrette. Perché, ChatGPT o meno, i responsabili dei contenuti che offriamo ai nostri lettori siamo noi.

PS: Questo articolo, con questi precisi contenuti e in questa precisa forma, non avrebbe potuto scriverlo ChatGPT, e infatti l’ho scritto io. Per scriverlo ho usato anche Chat GPT, in particolare per due cose: 1) modificare una frase che aveva una brutta ripetizione per la quale non trovavo un’alternativa; 2) per verificare che io avessi scritto informazioni corrette su ChatGPT stesso. Per trasparenza segnalo che non ho apportato nessuna modifica al testo alla luce delle osservazioni di ChatGPT, tranne che nella frase di cui al punto 1. Forse l’uso di avvertenze come questa potrebbe essere uno dei metodi per integrare l’intelligenza artificiale nella comunicazione in futuro?

Nell’immagine: “read a book”- leggi un libro- Da un cartoon di Josh Gosfield






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