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Naufragi

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Redazione
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Kirill, il potere di Putin e l’ossessione...
• 25 Maggio 2022 – Redazione

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Di Teresa Simeone, Micromega

Quando parliamo di Stato laico, com’è noto, ci riferiamo a uno Stato che, diversamente da quello confessionale o etico, garantisce piena libertà di culto a tutti i cittadini senza interferire nelle loro scelte in materia di fede e tenendo ben distinti i due piani, quello religioso e quello politico. In tal senso, dobbiamo ancora molto a Locke che nella famosa Lettera sulla tolleranza teorizzava la separazione tra dimensione civile e dimensione religiosa, in virtù dei differenti obiettivi, garantendone le rispettive sfere di autonomia nell’evitare ingerenze dell’autorità politica in materia di fede e dell’autorità religiosa in ambito civile. È un lascito importante e, per noi occidentali, imprescindibile. Ciò che è peccato è da confinare nell’ambito religioso e non può e non deve essere configurabile come reato. È ovvio, e lo è da secoli; eppure non ovunque così scontato. Se si dà un’occhiata ai rapporti annuali sulla libertà religiosa di organizzazioni come The United States Commission on International Religious Freedom si resta sconcertati dal livello di violazioni realizzate o tollerate da parte di molti governi asiatici ed euroasiatici, africani, mediorientali. In alcuni di questi, come l’Iran o l’Arabia Saudita, si vive, a tutti gli effetti, sotto teocrazie in cui le posizioni di chi professa una religione diversa da quella ufficiale sono perseguite e in cui la blasfemia può essere punita addirittura con la morte.

Il principio di laicità, come garanzia di neutralità dello Stato e di libertà per ogni cittadino nello scegliere la propria condizione in base alla coscienza individuale, è un valore fondante europeo: risulta, perciò, davvero incomprensibile un atteggiamento all’interno dei confini, benché euroasiatici, come quello del patriarca di Mosca Kirill, stretto alleato del presidente Vladimir Putin (da lui definito nel 2012 miracolo di Dio, manco fosse un santo!), che ha giustificato l’invasione dell’Ucraina, considerata come una lotta “metafisica” tra la “santa Russia” e l’Occidente, vero dominio del male. Nel paese, erede dell’ateismo sovietico, si assiste ultimamente a un’alleanza tra trono e altare tanto solida quanto anacronistica. Le dichiarazioni del patriarca Kirill degli ultimi mesi risuonano come la testimonianza di un accordo che rimanda, in nome di una sudditanza della religione alla politica e di un suo uso strumentale da parte di quest’ultima, a posizioni antiche, già criticate da Crizia nel V secolo a.C. quando svelava il volto politico della fede e la sua funzione di supporto al controllo statale delle coscienze.

E, infatti, il patriarca di Mosca non ha esitato a sostenere la politica di aggressione di Putin, benedicendola come guerra contro la depravazione occidentale, assumendo un ruolo talmente schierato da far ventilare persino l’ipotesi (questa discutibilissima) di sanzioni da parte della Commissione europea (secondo le stime della rivista Novaya Gazeta, il Patriarca avrebbe dai 4 agli 8 miliardi di dollari), in quanto “responsabile del sostegno o dell’attuazione di azioni o politiche che minano o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, nonché la stabilità e la sicurezza in Ucraina”. Nella Federazione russa la Chiesa ortodossa ha influenza sulla popolazione e dunque diventa fonte di consenso e di legittimazione. In un sermone del marzo di quest’anno Kirill ha esplicitamente parlato di una battaglia contro i valori degenerati dell’Occidente, rappresentato dalle parate del gay pride: la lotta contro la libertà dei costumi e l’intolleranza verso gli omosessuali è una delle costanti nella sua azione patriarcale, tanto da spingerlo a paragonare il matrimonio tra persone dello stesso sesso a quelle approvate nella Germania nazista. Le sue posizioni omofobe e filoputiniane hanno diviso anche la stessa chiesa ortodossa, sia in Ucraina, come sarebbe in qualche modo scontato, ma anche in altre realtà come quella olandese. Quattrocento preti ucraini hanno recentemente denunciato il patriarca per la sua predicazione della dottrina del “mondo russo”, discostatasi dall’insegnamento ortodosso e passibile di eresia, e per aver sostenuto l’invasione russa. D’altronde è arrivato a dichiarare: “Noi non vogliamo combattere nessuno. La Russia non ha mai attaccato nessuno”, rimuovendo, probabilmente, dalla coscienza che il 24 febbraio la Federazione ha aggredito e invaso un paese sovrano.

È un segno del mutato atteggiamento, dopo decenni di difficile rapporto tra potere sovietico e chiesa ortodossa, del regime che ha incominciato a concedere spazi di libertà in cambio di una fedeltà che si è configurata come contaminazione diretta e coinvolgimento nelle organizzazioni di controllo poliziesco: secondo alcune fonti, Kirill sarebbe addirittura stato membro del KGB col nome di Mikhailov.

A prescindere da tali sospetti, ciò che turba è la sottomissione della chiesa ortodossa al potere di Putin e l’avallo della sua politica imperialista in netta contraddizione sia col mandato evangelico che con le attuali posizioni del pontefice romano. In questo è altresì evidente la differenza tra la Chiesa di Roma, cattolica e universale, e quella autocefala di Mosca, nazionalista e sodale col governo del nuovo zar, anzi prona al suo volere. A tale proposito, sorprende, in questi mesi, anche il relativo silenzio delle associazioni LGBT dalle quali ci si sarebbe aspettata una più ferma e massiccia condanna delle posizioni sessuofobiche del patriarca di Mosca. In ogni caso, di fronte a dichiarazioni come quella già ricordata nella Domenica del Perdono in cui ha stigmatizzato la civiltà dell’Occidente, sostenendo la necessità di lottare contro i modelli di vita promossi dalle parate gay, “progettate per dimostrare che il peccato è una delle variazioni del comportamento umano” e che “per entrare nel club di quei Paesi è necessario organizzare una parata del gay pride” rimane difficile pensare che il modello di religione da seguire possa essere rappresentato dalla sua Chiesa. Il processo di “denazificazione” con cui Putin ha giustificato l’invasione dell’Ucraina diventa, per Kirill, processo di “deomosessualizzazione”: nel suo integralismo religioso ha dimenticato il patriarca, così come lo ha rimosso Putin, che i nazisti, nei loro campi, oltre a ebrei, dissidenti politici, testimoni di Geova, sinti e rom rinchiusero ed eliminarono anche migliaia di omosessuali.

Noi saremo pure degenerati agli occhi di islamisti e ortodossi; di sicuro abbiamo criticità e contraddizioni tipiche delle società democratiche nonché meccanismi economici da rivedere e comportamenti immorali da emendare, ma abbiamo vissuto un illuminismo che ci ha dotati di anticorpi culturali al fanatismo e all’integralismo e che ci ha spinto alla difesa di valori come la tutela dei diritti umani, l’esercizio della democrazia, la laicizzazione della cultura, la possibilità del dissenso, la libertà di manifestazione del pensiero. Forse sono proprio queste libertà quelle da cui Putin e Kirill in realtà vorrebbero “purificarci”.

Immagine a cura della redazione






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