La politica energetica, fra sanzioni e crisi climatica
Un dibattito complesso e necessario troppo spesso impugnato per ragioni politiche o per favorire interessi economici - Di Paolo Rossi, consulente strategie di mercato energetico
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Un dibattito complesso e necessario troppo spesso impugnato per ragioni politiche o per favorire interessi economici - Di Paolo Rossi, consulente strategie di mercato energetico
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Un dibattito complesso e necessario troppo spesso impugnato per ragioni politiche o per favorire interessi economici - Di Paolo Rossi, consulente strategie di mercato energetico
”Grande è la confusione sotto il cielo”, affermava Mao Zedong, “quindi la situazione è eccellente!”. Il rischio di avere tanti argomenti a disposizione in ordine sparso, è però quello che nessuno capisca più niente e alla fine ad approfittarne siano i soliti furbi. Tipica la discussione sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, alimentata nei mesi scorsi da una società di pubbliche relazioni, FurrerHugi, per incarico di alcuni potentati legati ai partiti nazionalisti. Un pericoloso esempio di democrazia alla Bannon, che rischia di manipolare l’opinione pubblica invece di informarla perché prenda decisioni consapevoli.
Per evitare pericolose confusioni o dotte discettazioni aperte solo agli iniziati, mi limiterò a trattare la preoccupazione relativa agli strumenti capaci di garantire a medio termine una produzione di energia sufficiente in Svizzera.
Gli obiettivi da perseguire in questo ambito sono i seguenti:
Va detto subito che non basta essere eccellenti in uno di questi ambiti per essere la soluzione adatta.
Il solare, da solo, non garantisce una risposta a tutti e quattro gli obiettivi, ma solo a tre (immissioni atmosferiche, costo e, parzialmente, dipendenza dall’estero). Il fotovoltaico non è infatti una produzione stabile e programmabile ed è stagionalmente dipendente.
Nemmeno il nucleare sa rispondere a questi quesiti. Se da un lato riduce le emissioni di CO2 (ma solo parzialmente, a causa dell’estrazione e del trattamento dell’uranio), dall’altro non riduce la nostra dipendenza dall’estero (né uranio, né torio sono reperibili da noi), né assicura un livello di prezzi competitivo: Flamanville, la centrale nucleare francese che ha in costruzione un terzo reattore, di nuova generazione, doveva andare in rete nel 2012 ma non lo è ancora adesso; doveva costare 3 miliardi di euro ne costa a tutt’oggi 19. Inoltre dal profilo dei rischi avere la sicurezza dell’approvvigionamento garantita da un’unica centrale, significa che se questa esce dalla produzione, per qualsiasi ragione (senza arrivare all’incidente nucleare), il paese rischia il black out.
Nemmeno le varianti leggere del nucleare (che usano il torio invece dell’uranio) sono un’alternativa reale. Se ne parla da almeno 20 anni, ma non hanno mai superato la soglia della fase di studio e comunque non rispondono ai 4 criteri citati in entrata (in particolare, dipendenza dall’estero e costi).
Bisogna quindi pensare una politica su più vettori, il cosiddetto “mix energetico” composto da idroelettrico, eolico e solare in primis, ma che premi anche la biomassa, che rappresenta una risorsa locale e abbondante a dimensione europea. Inoltre bisogna spingere sulla ricerca, basti vedere quello che il Paul Scherrer Institute e l’EMPA stanno creando nell’ambito dei carburanti sintetici.
Tutto questo all’interno di un nuovo contesto digitale, che permetta, con l’utilizzo di algoritmi, di regolare al meglio i processi, limitando le sfasature tra produzione e consumi e utilizzando il potenziale di stoccaggio che i veicoli elettrici mettono e metteranno in maniera crescente, a disposizione.
Quanto disegnato è il quadro proposto dal Consiglio Federale, forse solo con la sottovalutazione del ruolo della biomassa, del digitale e del peso (positivo) dei veicoli elettrici: e allora perché tanto clamore?
In realtà, la discussione cui assistiamo è tutta politica, nasce dalla rottura dell’accordo quadro con l’Europa, dall’annuncio di Parmelin relativo ad una possibile penuria energetica, che ha reso insicura l’opinione pubblica e fatto da detonatore alla campagna stampa coordinata dalla citata agenzia di PR, sul nucleare. Una vera e propria campagna per influenzare l’opinione pubblica sull’opportunità di riconsiderare la necessità di mantenere in funzione le centrali ancora funzionanti e sostenere la costruzione di una nuova centrale.
Per contrastare questa campagna basterebbe levare il divieto di utilizzare tecnologia nucleare. Sarebbe solo un atto simbolico. Nella pratica non succederebbe nulla, perché gli indicatori tecnici ed economici, come detto all’inizio di questo contributo, non sono affatto favorevoli al nucleare e gli investitori, i veri assenti da questo dibattito, hanno mostrato tutto il loro dubbi sulla prospettiva di investire 19 miliardi in un’unica centrale.
In conclusione l’obiettivo di questa discussione non è in verità la sicurezza dell’approvvigionamento, come si vorrebbe far credere, ma l’unica posta in gioco sono le elezioni del 2023. Per fortuna il Paese vero è rappresentato da una maggioranza che si impegna a realizzare la strategia energetica 2050, dai cittadini che investono nel solare e nell’uso intelligente dei consumi, dai politici che creano le condizioni quadro, dagli imprenditori che promuovono centrali di potenza al servizio dell’industria, dai centri di ricerca che sperimentano nuove tecnologie che assicureranno redditi e posti di lavoro alla nostra economia in futuro.
Nell’immagine: una centrale a biomassa in Italia
di Nicola Schoenenberger, Gran Consigliere I Verdi
Etica e politica, un rapporto che dovrebbe essere riconsiderato, magari pure “resuscitato” in un contesto in cui tutto pare lecito, tranne fare opposizione