La lunga strada delle proteste in Iran
Dopo un periodo di duri scontri e di forte repressione, la situazione interna all’Iran sembra immobilizzata - Intervista a Paola Rivetti
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Dopo un periodo di duri scontri e di forte repressione, la situazione interna all’Iran sembra immobilizzata - Intervista a Paola Rivetti
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Dopo un periodo di duri scontri e di forte repressione, la situazione interna all’Iran sembra immobilizzata - Intervista a Paola Rivetti
Di Carlotta Mingardi, Pandorarivista.it
Alla luce della feroce repressione messa in atto dalle autorità della Repubblica Islamica negli ultimi mesi, che ruolo vede, se lo vede, per la comunità internazionale?
Paola Rivetti: Credo che negli ultimi anni la comunità internazionale non abbia giocato bene le proprie carte. Da quando gli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, decisero di uscire unilateralmente dal Joint Comprehensive Plan of Action – JCPOA, il Piano congiunto di azione globale, noto anche come accordo sul nucleare iraniano, in Occidente è avvenuto uno spostamento su posizioni di chiusura verso l’Iran. L’Europa aveva negli ultimi venti-trent’anni mantenuto un atteggiamento di dialogo condizionato che aveva portato a risultati molto importanti, come lo stesso JCPOA. Il collasso dell’accordo ha determinato, di fatto, il fallimento del tentativo di costruire un’architettura di sicurezza per la regione che includesse la Repubblica Islamica, con la conseguenza di aver spinto l’Iran ancora di più tra le braccia della Russia. Ciò è evidente soprattutto nei teatri di guerra in Siria e Ucraina, dove gli apparati militari e industriali dei due Paesi sono profondamente intrecciati.
Inoltre, questo cambio di atteggiamento non è andato a beneficio della popolazione iraniana (o siriana o ucraina): quella che di fatto è stata un’involuzione autoritaria dello Stato iraniano degli ultimi anni non è a mio parere slegata dall’allontanamento dell’Europa e della comunità internazionale da Teheran e dal parallelo avvicinamento di Mosca. Di conseguenza, penso che il ruolo che può giocare la comunità internazionale sia limitato: nel caso dell’Iran, più si isola il Paese, meno si hanno leve per esercitare pressioni su di esso. Ritengo, invece, che la società civile possa avere un ruolo abbastanza importante e di impatto, anche vista l’attenzione mediatica che ha saputo veicolare sull’Iran. Ci sono diversi fronti su cui la società civile europea può fare la differenza.
Siamo infatti di fronte a una priorità estremamente pressante: ci saranno presto, anzi già ci sono, come abbiamo visto in Turchia e nei Balcani, alle porte d’Europa, tantissime iraniane e iraniani che scappano dal Paese in cerca di protezione e rifugio. Un’azione che chieda con forza l’apertura dei confini, usando questa situazione come grimaldello a favore anche di altre nazionalità, avrebbe un impatto notevole. Che si chieda quindi che si aprano più corridoi umanitari, che venga rivista la lista dei Paesi sicuri – tra i quali figurano l’Afghanistan e la Siria, incredibilmente –, che vengano istituite più borse di studio per studenti e studentesse, per colleghi e colleghe, a favore di chi si trova in Iran e deve andarsene, o di chi già vive all’estero ma in condizioni precarie; che si chieda di semplificare la burocrazia per la richiesta e il rinnovo del permesso di soggiorno nei Paesi europei. Questo avrebbe, a mio avviso, un impatto benefico e reale sulla vita di tante persone.
Che impatto ha la situazione interna al Paese sugli equilibri regionali, alla luce dei rapporti con la Russia nel conflitto siriano, ma anche con altri attori regionali come Israele e Arabia Saudita?
Paola Rivetti: Credo che questi siano stati mesi di grande paura per molti governi nella regione, anche quelli rivali all’Iran. Ad un certo punto, sembrava davvero che la sollevazione popolare potesse trasformarsi in una rivoluzione, portando con sé un elemento di elevatissima incertezza e precarietà. Inoltre, andando per ipotesi, essendo questo un movimento con forti espressioni anti-patriarcali e rivoluzionarie, non ci sarebbero stati governi lieti di avere in atto una rivoluzione femminista a qualche chilometro di distanza.
Ciononostante, anche lasciando da parte le ipotesi, bisogna ricordare che l’Iran fa parte di un sistema di sicurezza che, di fatto, dopo lo scossone iniziato nel 2010-2011, si è stabilizzato, pur incancrenendosi su crisi e guerre, come per esempio quella siriana e yemenita. L’apparire di un elemento di potenziale destabilizzazione ha sicuramente causato paura. Per esempio, il successo del movimento iraniano nel raggiungere un cambiamento sistemico nel Paese avrebbe implicato, per i Paesi sostenuti dagli Stati Uniti e rivali dell’Iran, perdere la ragione per la quale gli Stati Uniti ricoprono ancora un ruolo di protezione verso di loro. Per questo ritengo che la prospettiva di un possibile cambio strutturale in Iran non fosse gradita a nessuno, soprattutto se frutto di un sollevamento popolare autonomo e femminista.
Infine, siamo all’interno di un processo di rafforzamento dei rapporti tra Russia e Iran, anche a causa dell’aggravamento della crisi ucraina e della rivalità tra Russia, Europa e Stati Uniti. In questo senso, il Medio Oriente oggi, anche a causa di quello che è successo in Iran e di come ha ulteriormente polarizzato la comunità internazionale, almeno a parole, potrebbe diventare un ulteriore teatro di questa rivalità. In questo contesto, resta da vedere quali saranno le reazioni al recente accordo tra Iran e Arabia Saudita, promosso dalla Cina.
Paola Rivetti è professoressa associata di relazioni internazionali presso la Dublin City University
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