“Nel momento in cui devo presentare le mie dimissioni, desidero dirle quanto questa missione mi abbia appassionata”. Sono parole “rocardiane” quelle indirizzate con garbatissimo malcontento dall’ormai ex capo del governo francese Elisabeth Borne al capo dello stato Emmanuel Macron: educato dissenso come fu quello con cui, in circostanze simili, nel 1991 Michel Rocard si era congedato da François Mitterrand. Ma la Quinta Repubblica è guidata da un “sovrano repubblicano”, un monarca che tutto può decidere. Anche, dicono i francesi, di usare un proprio premier come un “fusibile”, valvola di scarico cha si può facilmente sostituire in base alle proprie necessità, ai propri calcoli, e anche alle proprie preoccupazioni.
“Ritrovare l’audacia” era stato lo slogan scelto dal capo dell’Eliseo nel suo discorso di fine anno, e tutti capirono che il mandato di madame Borne era ormai al capolinea. Appunto, il “fusibile” da sostituire. Non per cattiva condotta, o risultati insoddisfacenti per il capo dello Stato, di cui anzi è stata fedele esecutrice: in particolare portando a termine, in una ventina di mesi assai turbolenti, due riforme assai contestate o contrastate: quella delle pensioni, con relative proteste di massa; e la riforma della legge sull’immigrazione, con una stretta che ha soddisfatto persino l’estrema destra della Le Pen, che in parlamento, con abile mossa, l’ha approvata, mentre, anche per questo indesiderato supporto, esponenti del partito del presidente mugugnavano e segnalavano, anche con polemiche dimissioni, la loro assoluta contrarietà (compresa, sembra, quella della dimissionata).
Deciso a cambiar passo, Macron non poteva perciò affidare il ‘cambiamento’ (se tale sarà davvero) alla prima ministra uscente. Ma neppure ai “tenori” del suo schieramento (Renaissance), i vari Darmanin, Beaune, le Maire che ne hanno scandito i primi sette anni di ‘regno’. No, Macron, in evidente crisi di popolarità, ha proceduto a una sostituzione fino a poco tempo fa impensabile, al tempo stesso logica e sorprendente. Sorprendente perché ha scelto come primo ministro Gabriel Attal, che a 34 anni sarà il più giovane capo di governo nella storia di questa Repubblica (togliendo il primato a Laurent Fabius), così come lo stesso Macron fu il più giovane dei suoi presidenti; e scelta logica, perché fra tutti i papabili è proprio Attal il più…macroniano della sua squadra. Una fotocopia, si direbbe.
Per fedeltà, per assonanza, per stile, compresa un po’ di quella patina di altezzosità e freddezza che viene spesso rimproverata al suo capo. Ma che per il momento non lo danneggia affatto, premiato com’è dalla sua efficienza, dalla sua spettacolare carriera, dalla fama di gran lavoratore, e dal fatto di essere brillante, convincente, preparato. Per nulla a disagio nel confronto con i rivali: lo ha recentemente dimostrato in un dibattito televisivo, durante il quale ha messo in difficoltà Jordan Bardella, astro nascente dello schieramento della Le Pen (“Rassemblement National”), che nonostante i suoi 28 anni è gia stato designato capolista del partito alle prossime elezioni europee di inizio giugno. Dunque apparentemente perfetto, Gabriel Attal, per tentare di raggiungere il primo compito che gli affida il suo presidente: fermare la forte crescita dell’estrema destra francese, che a fine 2023 i sondaggi davano in vantaggio di consensi. E dopo questo traguardo, quello fondamentale: impedire alla le Pen stessa la conquista dell’Eliseo, precluso a Macron che ha già ‘consumato’ i due mandati concessi dalla costituzione. Ed eventualmente lanciare proprio il giovane talento alla sua successione nel 2027.
Ma di “audacia” e di talento ne occorrerà parecchio per questo doppia operazione, in un paese attraversato da profonde faglie e contrapposizioni sociali-politiche-ideologiche. A giudicare dalle prime reazioni, la scelta a Palazzo Matignon di Attal (omosessuale senza complessi, brillante curriculum scolastico, madre discendente dalla nobiltà russo-bianca, padre di religione ebraica e produttore di film di grande successo) è stata accolta favorevolmente dalla maggioranza dei francesi: “Da più del cinquanta per cento”, assicurano le prospezioni del conservatore “Le Figaro”; solo un venti per cento gli è dichiaratamente ostile; il resto non lo è pregiudizialmente. Ma quali sono le carte politiche che il giovane talento può mettere sul tavolo, e quali i rischi di inciampare lungo un percorso comunque accidentato?
I vantaggi: dopo una serie di impegni nei palazzi del potere e già portavoce efficace del governo, in appena sei mesi come ministro dell’Istruzione Gabriel Attal ha ‘vellicato’ a suo favore la destra moderata post-gollista (Les Républicains), con interventi in cui ha insistito su disciplina e merito scolastici; è poi nota l’ammirazione nei suoi confronti di Nicholas Sarkozy e di altri esponenti del partito repubblicano; è dunque credibile il suo dichiarato proposito di ricompattare quel fronte, o quella ‘disciplina repubblicana’, che in passato per bloccare il cammino alla destra xenofoba decideva di alzare un muro, un’alleanza invalicabile per impedirle l’accesso ai poteri locali e a quello supremo; infine un passato di militante socialista, che in un momento di letterale ‘inesistenza politica’ del partito socialista, e di difficoltà della gauche radicale di Jean-Luc Mélenchon (gli ”Insoumises”), potrebbero portargli simpatie anche da quella parte di elettorato. Un mix di elementi che del resto, in pochissimo tempo, lo avevano già portato in cima alle preferenze dei francesi.
E i rischi? Soprattutto uno: non riuscire a darsi un profilo che non sia del tutto sovrapponibile a quello di Macron, di esserne semplicemente una copia, e quindi di non riuscire a riequilibrare anche l’azione presidenziale in favore di quella rotta di maggiore sensibilità sociale che il “suo” presidente aveva solennemente promesso (ma poi non concretizzato) inaugurando questo suo secondo e ultimo mandato. “Vaste programme”, avrebbe detto il generale de Gaulle.
Nell’immagine: il primo gesto di Gabriel Attal (perfettamente coreografato in questa fotografia): una visita agli alluvionati del Pas-de-Calais