Francesco Hoch – La musica come metafora del cambiamento sociale
Breve incontro con il compositore ticinese alla viglia del concerto a lui dedicato in occasione dell'80mo anniversario
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Breve incontro con il compositore ticinese alla viglia del concerto a lui dedicato in occasione dell'80mo anniversario
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Breve incontro con il compositore ticinese alla viglia del concerto a lui dedicato in occasione dell'80mo anniversario
Di Veniero Rizzardi, musicologo
Francesco Hoch, a 80 anni, non ha smesso di perseguire una ricerca appassionata che ha iniziato fin dagli anni dello studio. Stimolato precocemente dall’esperienza della pittura astratta e dalle tendenze della musica radicale che si sviluppava in Europa e in USA negli anni ’60, Hoch dal Ticino si sposta a Milano, dove entra in Conservatorio. Si diplomerà in canto e in composizione, ma subito è a contatto con il pensiero critico di un compositore tormentato come Franco Donatoni. Frequenta poi i corsi internazionali di Darmstadt e studia con Sylvano Bussotti, Karlheinz Stockhausen e György Ligeti.
Hoch si è dunque formato a contatto con i maestri della generazione del 1920-30, quella che nel dopoguerra si era sentita investita della missione storica di contribuire a un rinnovamento integrale dei linguaggi, con tutto il carico di problemi che ciò comportava. Fare musica in modo nuovo significava interrogarsi sul perché la si fa, e un giovane artista che si formava in quel momento si trovava naturalmente a mettere il proprio artigianato alla prova della sua funzione sociale.
Hoch concepisce da subito la sua musica come un fatto politico, ma non come veicolo di un contenuto, bensì come modello di azione. Improvvisare collettivamente, oppure mettere a confronto diversi modi di scrittura, ricercare i possibili rapporti fra particolare e generale, sono tutte caratteristiche con cui Hoch descrive i suoi tentativi di formare nuovi linguaggi per la musica come metafore del cambiamento sociale.
Più tardi questo programma muterà: il tramonto delle speranze di un rinnovamento della società sottraggono per Hoch senso al fare musica e, dopo una fase di silenzio, gli apparirà il problema di come conciliare questa perdita di senso con il bisogno soggettivo, l’urgenza di esprimersi ancora e nonostante. Nasceranno così le opere ‘postume’, che caratterizzano ormai gli ultimi trent’anni della sua produzione: è la musica di un ‘impietoso presente’ a cui Hoch ostinatamente torna a cercare di opporre qualche forma di critica, «con occasionali immersioni dei meandri della ‘navigazione a vista’».
Nell’immagine: Francesco Hoch
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