Prima, da Budapest, capitale di un nazionalismo dichiaratamente razzista e illiberale, ha scandito che non bisogna solo tutelare patria e famiglia, ma che occorre “difendere” anche… Dio. Tornata in Italia, di fronte alle “brutte” immagini da Lampedusa, ai drammatici numeri degli arrivi (quasi mille sbarchi al giorno nell’ultima settimana), e al fallimento della sua politica anti-immigratoria, Giorgia Meloni ha dichiarato la guerra agli ultimi (anzi ultimissimi: in fuga da guerre, miseria, dittature e torture) che ad occhio e… croce non sarebbe proprio negli auspici dell’altissimo. Guerra ai profughi, insomma, “perché ne potrebbero arrivare decine di milioni dall’Africa”, annullando “le nostre identità nazionali”. La solita solfa del progetto di “sostituzione etnica”, e niente che sappia di approccio umanitario-integrativo.
Quindi navi militari italiane ma possibilmente europee in campo (pardon, nelle acque del Mediterraneo) dopo aver fatto il necessario per delegittimare e gli interventi del soccorso delle organizzazioni onlus); rapida costruzione nella Penisola di nuovi centri di raccolta, pensati e realizzati dal genio dell’esercito, sistemati in zone assai periferiche e pochissimo abitate, praticamente “carceri” chiuse e affidate a una stretta sorveglianza, mica come i “mollaccioni” dei buonisti catto-comunisti. Ma, ancora, allungamento fino a 18 mesi del periodo di ” detenzione “ per verificare se siano legittime le richieste di asilo; un nuovo vigoroso sforzo per arrivare a quei rimpatri forzati che nessuno è riuscito finora a realizzare, vista la reticenza e più ancora l’opposizione dei paesi d’origine, nonché la diffusa mancanza di accordi bilaterali in materia; naturalmente nuovo slancio nella repressione degli “schiavisti-commercianti di uomini”, ‘crimine universale’ platealmente deciso e finora auto-firmato unicamente dal governo di Roma. Fanno ormai testo, dalle parti di Palazzo Chigi, l’ultima “soluzione inglese” ideata del premier britannico di origine… indiana ma miliardario per matrimonio, Rishi Sunak (che i “suoi” richiedenti l’asilo li ha posteggiati e rinchiusi su una enorme nave-prigione), o la “soluzione australiana” di alcuni anni fa (deportazione su un’isola deserta).
Come per altri problemi, più che cercare soluzioni possibilmente discusse e condivise, si gonfiano i muscoli. I chiassosi “rave” dei giovani? Trasferiti d’autorità nell’ambito dell’illegalità, con relative condanne penali e sanzioni economiche ai non adempienti. La maternità surrogata? Proibita “internazionalmente” (sempre per autarchico provvedimento italico), e figli relativi cancellati dall’anagrafe e quindi dal riconoscimento da parte dello Stato. Gli stupri di gruppo nella degradata periferia di Caivano e a Palermo, o gli omicidi perpetrati da ragazzini napoletani che nei vicoli del capoluogo siciliano ballano l’omicida danza della “paranza”? Subito dimostrativi mega-blitz delle forze dell’ordine, arresto pure per i minorenni che sgarrano anche per reati minori, sequestro dei cellulari ai colpevoli, in carcere o “solo” multati (vedremo) i genitori ritenuti complici se i figli non si presentano a scuola; naturalmente , nemmeno un cenno al rafforzamento di strutture sociali, al numero degli operatori sociali, all’aiuto maggiorato da destinare al miglioramento complessivo degli istituti scolastici, a un ripensamento di quartieri-ghetto disegnati quasi a voler favorire un insano sovrappopolamento, su territori abbandonati dalle autorità, dove regna la legge del più forte, e dove la prima preoccupazione di moltissime famiglie è mettere in tavola pranzo e cena. Più strumenti repressivi – nell’opinione pubblica spacciati con relativo successo – e sempre meno tentativi di una politica più attenta, equa, sociale e inclusiva.
Così, ora, tocca a quelli che si ostinano a chiamare clandestini, naturalmente sempre “palestrati” (e i bambini?), come li definisce il Salvini che a Pontida accoglie Marine le Pen; o “residuali” come assai umanitariamente il ministro degli interni Matteo Piantedosi ha tecnicamente classificato i poveracci che si salvano dalle stragi in mare.
Il momento politico ha evidentemente il suo peso dietro la ‘faccia feroce’ rispolverata dalla “sorella d’Italia”. La campagna per le europee è già cominciata (anche se si voterà in primavera ‘24), sistema elettorale proporzionale senza coalizioni, quindi un corpo a corpo in cui ogni partito si conta, e soprattutto nella destra-destra sono sciabolate: e dalla Lega partono “amorevoli” bordate all’alleata Meloni. La più infamante per lei è “il fallimento” che i lumbard le rinfacciano per i suoi tentativi proprio in materia di immigrazione, quindi dell’accordo firmato con il presidente-dittatore della Tunisia Saied, uno xenofobo violento, che praticamente incita i suoi concittadini all’odio verso i nerissimi subsahariani africani, e ne fa uccidere e torturare molti dal suo esercito di frontiera. Quasi un miliardo di euro in aiuti per la disastrata nazione maghrebina, se non fate partire i fuggiaschi che cercano i barconi per approdare in Europa, aveva promesso a Saied la premier italiana, che si era portata dietro la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen ormai specializzatasi nell’accompagnamento delle trasferte della Meloni nelle tappe più delicate (o inutili o infruttuose) , naturalmente accompagnate da generosa claque mediatica. Ma a Tunisi i soldi dell’Europa non arrivano, e a maggior ragione i porti di Sfax e dintorni continuano a imbarcare migliaia di persone, con meta soprattutto Lampedusa.
Flop totale. Peggiore dell’esito dell’intesa miliardaria (a carico dei contribuenti europei) fra Angela Merkel il turco Erdogan sui rifugiati siriani bloccati sulla porta della rotta balcanica, accordo che ha messo un’UE ricattabile nelle mani non proprio rassicuranti del neo-sultano di Ankara. In definitiva, un’Europa più che partecipe del tragico fallimento della politica di accoglienza. Che avrebbe, se ce l’ha, un’unica eventuale soluzione: un negoziato collettivo europeo con i paesi da cui parte un’umanità disperata, il varo di un vero ‘aiuto a casa loro’, e l’istituzione di “corridoi umanitari” che rendano sicuri i viaggi della speranza sempre più spesso diventati viaggi di tragedie e lutti. Inoltre, la revisione degli obsoleti accordi di Dublino sulla regola della ‘nazione di primo approdo’, per cui non possono essere che i primi paesi rivieraschi dell’UE (Italia, Grecia, Malta, Spagna) a dover gestire l’approdo e l’accoglienza del grande flusso migratorio. Ma sapete com’è: il vociante Salvini, da titolare degli interni, partecipò a una sola riunione ministeriale sulle dieci che a Bruxelles cominciarono a discutere la revisione di quel trattato. Elettoralmente fa più comodo che il problema rimanga. Fin quando non diventa il tuo problema. “In democrazia guai a cavalcare le paure”, ha raccomandato Mattarella. Figurarsi. Voce nel deserto.
Nell’immagine: rifugiati a Lampedusa