Lacrime di coccodrillo sull’elettricità
Senza un accordo con l'Europa Svizzera "sovrana" ma con le pile scariche
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Senza un accordo con l'Europa Svizzera "sovrana" ma con le pile scariche
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Senza un accordo con l'Europa Svizzera "sovrana" ma con le pile scariche
Si lacrima, e non sempre a torto, per certe liberalizzazioni concesse (manodopera, frontalieri) che ci avrebbero fatto perdere nei confronti dell’Unione europea la nostra sovranità (quella di riuscire ancora a decidere noi e quindi a governare le conseguenze che comportavano e comportano). Risulta quindi facile per Marco Chiesa, presidente dell’Udc nazionale, sostenendo che il suo partito aveva invece previsto tutto, definirle ora “lacrime di coccodrillo”. Anche se, per onestà di discorso, bisognerebbe accennare a chi era interessato a tutto questo e riconoscere che alcuni (un altro partito, un sindacato), imposero perlomeno delle “misure di accompagnamento” che prevedevano e correggevano in parte le conseguenze; quelle stesse misure che ancora ostinatamente difesero e accentuarono, indispettendo gli ambienti economici, nel sepolto “accordo quadro”. Ma si sa che ciò che viene da sinistra è per taluni, per definizione, non credibile o sporco.
Si lacrima in questi giorni per i prezzi dell’energia che salgono alle stelle e per i rischi nell’approvvigionamento elettrico. Stranamente non ci sono però lacrime, neppure di coccodrillo, su un’altra liberalizzazione, quella dell’elettricità, che era un perfetto copia-incolla svizzero dall’Unione europea. Tutti d’accordo, ad eccezione di una parte della sinistra, con alcuni radicali (come nel Ticino gli ex-consiglieri Argante Righetti o Sergio Salvioni), che lanciò un referendum, in difesa del servizio pubblico e di un bene primario che non poteva essere ridotto a una merce qualsiasi di un mercato. Respinta al primo colpo (2002), quella legge fu resuscitata pochi anni dopo cambiando il titolo: legge sull’approvvigionamento dell’energia elettrica.
Lacrimare serve però a poco o niente. Come avviene con la manodopera europea di cui volenti o nolenti non si può fare a meno e se ne approfitta anche spesso, lamentandosi con ipocrisia, come calmiere del mercato del lavoro o per i minori costi salariali (dumping), così anche con l’energia elettrica ci troviamo intrappolati in un contesto geopolitico che non si può ignorare o solo deprecare. Se non teniamo conto dell’Europa o se la consideriamo “colonizzatrice” per definizione (Marco Chiesa dixit), hanno dovuto dirci alcuni politici o alcuni esperti negli scorsi giorni, rischiamo di trovarci senza luce o al freddo quest’inverno. Ricordiamo che con l’Europa i negoziati per un accordo sull’elettricità risalgono al 2007 e l’ultimo ciclo di negoziati ha avuto luogo nel luglio del 2018: eterna Svizzera!
Ci sono in tutta questa vicenda che ora sta preoccupandoci almeno quattro paradossi.
Il primo è all’origine: quello di aver sposato senza pensarci troppo, quasi vent’anni fa la liberalizzazione di tutto e quindi anche del mercato elettrico, trascinati dal vento che imperversava in Europa (e i partiti neoliberisti e del niente Stato, come l’Udc, gongolavano; ma ci cascarono pure i socialisti, quelli dell’affidabilità, soggiogati dal mercato).
Il secondo si riscontra in una enorme contraddizione geopolitica. Con almeno 41 posti di “accoppiamento” (o congiunzione elettrica) alla frontiera la Svizzera è fisicamente connessa alla rete europea continentale più di qualsiasi altro paese. La Svizzera, e qui sta il paradosso, non vi è però collegata politicamente: non ha firmato sinora nessun accordo e risulta quindi assai problematica la coordinazione con i vicini europei.
Il terzo sta nella constatazione che la Svizzera, geograficamente al centro del continente europeo, aveva ancora qualche decennio fa, con una rete elettrica ben sviluppata e una notevole flessibilità di energia idroelettrica (la famosa “stella di Laufenburg”), un’importanza fondamentale, che oggi si è molto ridotta. Il motivo di questa degradazione è in buona parte dovuto alla dinamica che c’è invece stata nei paesi vicini. L’Unione europea ha continuato a rafforzare il suo mercato interno, mentre da parte svizzera (come per Swissgrid o altre imprese di elettricità o le stesse Agenzie di cooperazione dei regolatori dell’energia) ci si è via via esclusi. Come rilevava qualche tempo fa “Avenir Suisse” (quindi il “pensatoio” e la voce degli ambienti economici) “nel paesaggio elettrico europeo, il nostro paese è stato progressivamente relegato da statuto di protagonista-chiave a quello di spettatore impotente”.
Il quarto si raffigura in una storditaggine che domina da tempo la vita politica nazionale. Essa deriva non tanto dal benaltrismo (sono ben altri i problemi!) quanto dall’ignorare quelli che, sollevandoli, metterebbero in crisi le proprie ideologie, le proprie contraddizioni e ipocrisie, quelle posizioni elettoralmente feconde.
Esemplifichiamo. In materia di cooperazione con l’Unione europea l’argomento che va per la maggiore e raccoglie sempre consensi elettorali è quello della “sovranità”. In parole povere: con l’Ue noi rischiamo di perderla, ci viene sottratto il potere decisionale del popolo, delle nostre istituzioni democratiche. Quindi: meno impegnativa e condizionante sarà per la Svizzera la pur inevitabile cooperazione con l’Ue per i nostri interessi economici, meglio sarà. Non era ancora il caso dell’accordo quadro, dopo lunghi anni di maturazione, e per questo l’abbiamo buttato via.
Ora, per quanto riguarda il problema dell’eletttricità è tutto il contrario che si verifica: senza un accordo la Svizzera perderà sempre più “sovranità” (e non solo sulle sue reti di alta tensione). Il motivo è infatti che l’esclusione del nostro paese dagli organi di coordinamento europei ha ripercussioni che possono essere gravi o persino fatali sulla sicurezza della nostra rete elettrica e sull’approvvigionamento elettrico. E non è solo conseguenza che può arrivare. Infatti sta arrivando perché lo statuto di Paese terzo della Svizzera comporta già flussi di carico non pianificati (loop flows, in gergo) che hanno messo e metteranno a repentaglio la stabilità del sistema e ci porrà sempre più di fronte ad una oscillazione continua dei prezzi. Quando si sa che il consumatore ha bisogno di un prezzo stabile per un bene di prima necessità. E allora quali lacrime piangeremo con la mitica sovranità, sempre più nuova Fenice?
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Lo afferma, in questa intervista, Massimo Filippini, professore di economia politica all’USI e al Politecnico di Zurigo