Un tetto sbagliato e un grave silenzio
Ex-Macello, rivelazione della ‘Domenica’ del Corriere del Ticino: hanno abbattuto il tetto e l’edificio ‘sbagliati’, e hanno taciuto
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Ex-Macello, rivelazione della ‘Domenica’ del Corriere del Ticino: hanno abbattuto il tetto e l’edificio ‘sbagliati’, e hanno taciuto
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Ex Macello. Tutto tace, ma tutto parla. Tace la magistratura, e giustamente. Ma c’è un altro silenzio, assolutamente non giustificabile e politicamente pesante come un macigno, o come le macerie prodotte dalle ruspe intervenute nella notte del 29-30 maggio. Un silenzio squarciato oggi dalla notizia pubblicata in esclusiva dalla ‘Domenica’ del Corriere del Ticino.
In sostanza: il ‘tetto pericolante’ – motivo e pretesto per sbriciolare un edificio del centro autogestito – non era… il tetto giusto. Non era affatto in condizioni problematiche, non rappresentava quel pericolo invocato dalle versioni ufficiali per un intervento di forza che, venne spiegato, doveva evitare che la copertura crollasse sugli stessi molinari: i quali, si dava per certo e scontato, dopo la simbolica occupazione dello stabile Vanoni in Via Simen, sarebbero tornati nel centro di Viale Cassarate, avrebbero tentato di forzare un eccezionale cordone di polizia, e riuscendovi (sic) si sarebbero riappropriati dell’edificio a rischio della propria incolumità, con conseguenze gravi anche in termini di mantenimento della sicurezza cittadina.
Non poteva rappresentare una minaccia, perché era il tetto sbagliato. Scrive infatti l’autore della rivelazione, Andrea Bertagni: “il tetto dell’edificio che la notte del 29 maggio è stato abbattuto non era quello veramente pericolante, anche perché il soffitto era stato puntellato, proprio dalla Città, ed era anche isolato… Un tetto pericolante però c’è davvero nell’area dell’ex Macello, ma è ancora in piedi, perché nemmeno sfiorato dalle ruspe”. Se confermato – ma possiamo credere che, anche per come è riportata, la notizia è stata ben verificata – non proprio un errore da poco, tutt’altro che irrilevante: sia per le indagini in corso sia per la ricostruzione di responsabilità, contraddizioni, semi-verità e semi-bugie con cui si è tentato di alzare una cortina di fumo, cortina fumogena necessaria ad una serie ufficiale di motivazioni e assunzione di responsabilità che da subito ha fatto acqua da tutte le parti, e ora ci mancava pure… il tetto sbagliato dell’edificio sbagliato in una decisione comunque sbagliata. Naturalmente sarà stato uno sfortunato… malinteso in un momento di comunicazioni convulse, o sarà stata la distrazione e la fretta… degli operai convocati quel sabato sera, ricorderete, in orari più che sospetto. Oppure, oppure: guarda caso, quello tirato giù era l’unico stabile del complesso che eventualmente poteva essere abbattuto nell’area dell’ex Macello, gli altri essendo edifici protetti per legge.
Ma l’aspetto più discutibile, diciamo scandaloso e inquietante, sta sul versante tutto politico di quest’ultima scoperta. Dalla notte delle ruspe all’apertura dell’inchiesta della magistratura (che formalmente impone ‘bocche cucite’ ai convocati a Palazzo di giustizia) passarono trenta giorni. Un intero mese per… tacere una verità, quella dell’errore del tetto e della demolizione dell’edificio sbagliato, che non poteva essere ignorata (perché altrimenti sarebbe ancora più grave), già nelle ore immediatamente successive ai fatti, dai ‘decisionisti’ municipali e cantonali. Sapevano e hanno taciuto. Chi ne era era al corrente nell’esecutivo cittadino, a Bellinzona, ai vertici della polizia? Si saprà, c’è il diritto di sapere. La trasparenza sta alla base della correttezza democratica. Non è una bella parola che la politica, di qualunque parte, possa invocare a corrente alternata, e in base alla propria convenienza del momento.
Il testo letto durante la manifestazione di ieri a Bellinzona da Luca Torti, coordinatore del Comitato contro la guerra e contro il riarmo
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