L’Afghanistan al cinema
Due magnifiche pellicole d’animazione raccontano con brio e profondità le vicende umane di giovani afghani: stasera al Lux ‘My Sunny Maad’, e dibattito
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Due magnifiche pellicole d’animazione raccontano con brio e profondità le vicende umane di giovani afghani: stasera al Lux ‘My Sunny Maad’, e dibattito
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Due magnifiche pellicole d’animazione raccontano con brio e profondità le vicende umane di giovani afghani: stasera al Lux ‘My Sunny Maad’, e dibattito
Molto simili nella forma e anche per un certo modo di leggere la guerra, i due film ricordano il fortunato Valzer con Bashir, film d’animazione israeliano scritto e diretto da Ari Folman nel 2008, in cui si narrava la “perdita di memoria” o mancanza di ricordi da parte di alcuni soldati che avevano partecipato al massacro di Sabra e Shatila nel 1982.
Sia Flee sia My Sunny Maad raccontano una storia a doppia dimensione, come spesso accade quando di mezzo vi è un conflitto che si riverbera sulla popolazione inerme. Da una parte troviamo così la cornice dei grandi avvenimenti geopolitici che hanno ridotto una delle perle del Medioriente in un cumulo di macerie e dolore, e dall’altra una società oppressa al proprio interno, in virtù di antiche e severe leggi legate a patriarcato e decoro.
Il protagonista di Flee è il giovane afgano Amin, oggi cittadino danese in procinto di sposarsi con il suo compagno di vita, che poco prima di convolare a nozze si sottopone a un doloroso e tormentato viaggio nel passato, e racconta la propria storia a Jonas, regista del film, nell’intento di ripercorrere la sua vicenda umana partendo dalle radici (in questo ci sembra forte la somiglianza con il film di Ari Folman, che in Valzer con Bashir raccontava quanto emergeva dalle sedute psicanalitiche di chi aveva “dimenticato” il proprio passato). Oggi Amin vive in Danimarca, ma è il frutto umano di una biografia (fino al film rimasta segreta) che ha visto lo smembramento di una famiglia e subìto l’oppressione russa in alcune delle sue molteplici e sempre fantasiose forme.
Protagonista del toccante e al contempo divertente My Sunny Maad è invece la giovane Helena-Herra, che per amore di Nazir lascia Praga alla volta di Kabul, dove verrà catapultata all’interno di una famiglia numerosa e contrassegnata da un desiderio di progresso e libertà contrapposto alle ferree leggi patriarcali e sociali. Herra, che in cerca di una vita semplice (e in fondo, l’obbedienza, è in grado di rendere semplice qualsiasi vita, poiché esclude la libertà della scelta) ha lasciato agi, carriera e forse anche la propria identità, si rende conto invece che certe convinzioni e certe consuetudini, il buon senso e il desiderio di progresso non possono nulla, ma anche che decenni di guerra hanno reso la violenza endemica nella società afghana. My Sunny Maad è tratto dal romanzo Frišta della giornalista Petra Procházková, per anni colpita da un divieto di ingresso in Russia, dopo avere narrato delle guerre di Cecenia con dovizia di particolari, e amore di verità.
Se all’inizio di questo articolo affermavamo che il travaglio dell’Afghanistan ha oggi più che mai diritto di attenzione, e questi film ce lo ricordano mettendo in campo esseri umani, prima che strategie di invasione e conquista, è pur vero che in un modo o nell’altro la Russia c’entra anche qui, confermandosi ancora una volta (anche se non ve n’era bisogno) come grande, disordinata burattinaia, capace, laddove interviene, di lasciarsi alle spalle più spesso che non, caos, disperazione e dolore.
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