USI e costumi ticinesi: quando il successo diventa ingombrante
Non smette di far discutere lo strappo fra il Consiglio dell’USI ed il rettore Boas Erez
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Non smette di far discutere lo strappo fra il Consiglio dell’USI ed il rettore Boas Erez
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Non smette di far discutere lo strappo fra il Consiglio dell’USI ed il rettore Boas Erez
Invece di lasciar giungere Boas Erez alla conclusione del suo secondo mandato di rettore dell’USI (fra un anno e mezzo) e permettergli così di coronare un percorso che è da tutti considerato di notevole successo, si è arrivati a decretare la fine del suo rettorato entro un paio di settimane, giusto il tempo di “salutarlo” (come no) nel dies academicus del 7 maggio prossimo.
Delle dimissioni improvvise di Boas Erez dal ruolo di rettore dell’USI per “divergenze di vedute sulla gestione amministrativa dell’Università” hanno parlato un po’ tutti, con la premessa (ma tu guarda) che la faccenda era nell’aria e che gli attriti erano ben noti fra gli addetti. L’unico a non aver detto ancora nulla in proposito è proprio lui, il diretto interessato, che si è negato diplomaticamente ed elegantemente ad ogni tipo di dichiarazione. Ed il suo è forse il più rumoroso dei silenzi, in questo momento.
Non ci permette, infatti, di capire niente di più di quanto si sia riusciti a desumere dal criptico comunicato del Consiglio dell’USI, dalle dichiarazioni della sua presidente Monica Duca Widmer, così come dalle reazioni colte al volo sia a livello di politica cantonale che comunale.
Anzi, proprio da Duca Widmer e da Manuele Bertoli sono arrivate dichiarazioni che lasciano perlomeno perplessi. Nelle interviste proposte al “Quotidiano” della RSI, per esempio, la presidente del Consiglio dell’USI, alla domanda relativa ad un presunto “braccio di ferro” personale fra lei ed il rettore, non nega per nulla che ci sia stato, ma afferma che, nell’antagonistico esercizio, non è uscito né un vincitore né un vinto, poiché Boas Erez ha condiviso la designazione di un nuovo “Direttore operativo” e rimarrà comunque come docente di matematica. Tutto è stato fatto nel bene dell’Università, che deve moltissimo a Boas Erez. Appunto, e allora?
Manuele Bertoli, dal canto suo, pur sedendo di diritto in ben due dei consessi decisionali dell’USI, ovvero il Consiglio dell’USI e la Fondazione per le Facoltà di Lugano dell’USI, e dunque pur avendo un ruolo importante e decisionale, dichiara che lui ha fatto da “mediatore” fra le parti ed ora prende atto della decisione. Ma l’avrà anche decisa? L’ha condivisa?
Curiosa, restando in ambito cantonale, la posizione del granconsigliere UDC Edo Pellegrini, Presidente della Commissione parlamentare di controllo su USI e SUPSI, che alla “Regione” si dichiara all’oscuro di tutto, dicendo che nulla faceva presagire una tale decisione, neanche dopo un incontro fra le parti dello scorso 6 aprile.
Altre voci, fra il sorpreso e il rammaricato, le ha raccolte anche “La Domenica” del CdT: dall’ex-sindaco Giorgio Giudici (“Da un’università che insegna comunicazione non poteva esserci modo peggiore di comunicare”) a Mauro Baranzini (“Non so perché non si sia riusciti ad affiancare un ottimo amministratore a un rettore eccezionale”) è un corollario di commenti che non sembrano per nulla in linea con la decisione presa; Fabio Merlini, direttore della Scuola universitaria federale per la formazione professionale della Svizzera italiana (SUFFP), si spinge a trovare una spiegazione non priva di aspetti inquietanti: «Oggi siamo tutti confrontati con un mercato della formazione che rende più difficile di un tempo il compito educativo e operativo. Anche in ambito accademico c’è una concorrenza molto forte, basti pensare alla progressiva trasformazione del pubblico degli studenti in un pubblico di clienti. Questo significa che il sapere deve stare dentro un mercato. Una logica che può generare più facilmente dissidi a livello di conduzione».
Dal “pubblico di studenti” siamo dunque al “pubblico di clienti”: insomma, l’Università, quella che si vorrebbe laboratorio di formazione e cultura sta dentro il mercato, e forse Boas Erez, che perseguiva esplicitamente in questi ultimi tempi anche altri obiettivi, a cominciare dal più vivo e fruttuoso rapporto fra Istituto e Territorio per togliere all’Università l’immagine di torre d’avorio, ecco, forse non si è mostrato sufficientemente sensibile alle “esigenze del mercato”.
Anzi, fra i suoi “torti”, proprio nell’ottica di una diversa predisposizione verso la città ed il territorio da parte della sua gestione, vi è stato quello, rilevato ed enfatizzato in vario modo, a cominciare dal solito “Mattino”, di essersi messo all’ascolto e a disposizione in quanto mediatore nei confronti delle rivendicazioni dell’autogestione nel post-29 maggio.
Una questione, quella della “vicinanza” di Boas Erez all’autogestione (in verità tutta da analizzare e soprattutto da leggere in termini, appunto, di mediazione e di coinvolgimento personale, non istituzionale) che è stata strumentalmente già impugnata da Paride Pelli nel suo fondo del CdT di sabato 23.4.22 per dire, in buona sostanza che chi va al Molino s’infarina, insomma che un rettore che si siede in assemblea con i molinari, la sanzione se la va poi a cercare.
Le tesi di Pelli hanno poi trovato adeguata e (questa sì) prevedibile eco nella prima e nella terza pagina del “Mattino”, in cui, una volta di più, Lorrendo Quadri (ci si passi, per una volta, l’utilizzazione del suo repertorio stilistico) parla di “siluramento”, di “rottamazione”, esultando per l’allontanamento di Boas Erez, definito “protettore dei brozzoni autogestiti”.
Eccoci così ripiombati nel “paese reale”, quello della politichetta spicciola, delle esecuzioni sommarie, dei giudizi lapidari, poco importa se fedeli ai fatti. L’Università è quella voluta da Bignasca, ci ricorda Quadri, e come tale va gestita, non certo lasciandola in mano ad un rettore “dalla forte personalità”, poco incline al compromesso, sempre per dirla con Paride Pelli.
Che Boas Erez abbia condotto l’Istituto ai successi che tutti gli riconoscono e nello stesso tempo cercasse, a modo suo forse, nuovi modelli di organizzazione socio-culturale per una “Lugano aperta”, questo conta poco, visto che a contare sono i conti, gli aspetti amministrativi, per un CU in cui ci si guarda bene dal mettere altrettanto in discussione le competenze di chi lo presiede, e per opinionisti di vario genere (sempre con occhio attento alla politica) che impugnano subito la penna come una baionetta, con varie gradazioni di eleganza.
Peccato, perché i quasi 4000 studenti dell’USI di oggi, che pagano mediamente 4000 franchi all’anno di retta (8000 per gli stranieri) si meriterebbero un istituto che, adeguate fin che si vuole le sue strutture amministrative, continui comunque ad essere anzitutto quello che è diventato in questi venticinque anni: un polo di formazione, ricerca, cultura a livello internazionale. Un’eccellenza, nonostante le logiche da provincia che lo circondano e che potrebbero condizionarne tristemente il futuro.
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