L’ambigua comunicazione tra Pechino e Washington
Dopo numerosi tentativi falliti di disgelo, a che punto sono le frizioni tra le due super potenze? E quanto dobbiamo preoccuparci?
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Dopo numerosi tentativi falliti di disgelo, a che punto sono le frizioni tra le due super potenze? E quanto dobbiamo preoccuparci?
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Dopo numerosi tentativi falliti di disgelo, a che punto sono le frizioni tra le due super potenze? E quanto dobbiamo preoccuparci?
È passata poco più di una settimana dall’incontro mancato tra Cina e Stati Uniti a Singapore, nell’ambito della conferenza sulla sicurezza. Sono passati quattro mesi da quando un caccia americano ha abbattuto un pallone di sorveglianza cinese al largo della costa della Carolina del Sud. Un incidente che ha spinto il Segretario di Stato statunitense Blinken a posticipare un suo viaggio in Cina e sono passati sette mesi dalla stretta di mano tra il presidente cinese Xi Jinping e il leader americano Joe Biden al G20 di Bali, in Indonesia, che ha riacceso le speranze per il tanto auspicato riavvicinamento tra Pechino e Washington.
C’era grande attesa a Singapore per il primo discorso sulla scena internazionale del neo-ministro della difesa cinese Li Shangfu, ancora di più dopo la sfiorata collisione nello stretto di Taiwan tra una nave da guerra cinese e un cacciatorpediniere americano. A Singapore Li Shangfu ha criticato il ritorno della mentalità da guerra fredda nella regione dell’Asia-Pacifico, aggiungendo che Pechino cerca il dialogo piuttosto che il confronto. Parole in contraddizione con il suo rifiuto di incontrare formalmente il segretario alla difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, che 24 ore prima aveva espresso preoccupazione per la mancanza di dialogo diretto con Pechino, essenziale per evitare conflitti.
È importante sapere che Li è stato oggetto di sanzioni statunitensi per il suo coinvolgimento nell’acquisizione di aerei da combattimento avanzati e sistemi di difesa missilistica russi dal 2018. La Cina ha insistito affinché le sanzioni imposte a Li venissero revocate, prima di qualsiasi incontro tra i leader della difesa.
Ogni anno al vertice di Singapore, conosciuto come Shangri-La dialogue, emergono i disaccordi su chi è il vero aggressore nella regione e chi invece promuove la pace, ma per la prima volta quest’anno si è saputo anche che, mentre nell’albergo 5 stelle della città stato, lo Shangri-La appunto, Austin e Shangfu si lanciavano frecciatine, poco lontano in una serie di incontri segreti, i funzionari di numerose agenzie di intelligence, compresi quelli di Cina e Stati Uniti, si stavano parlando in modo costruttivo. Prove di dialogo non insolite, ma cruciali quando la diplomazia formale è in difficoltà.
Di colloqui positivi ce n’erano stati alla vigilia del vertice, più precisamente tra il segretario al commercio statunitense Gina Raimondo e la controparte cinese Wang Wentao. A Washington, a fine maggio, si era tenuto il primo incontro bilaterale a livello di gabinetto da febbraio. Si sperava che tale incontro potesse gettare le basi per un riavvicinamento anche tra i due ministri della difesa.
L’incontro dei capi del commercio è nato dai colloqui del 10 e 11 maggio tra il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan e il massimo diplomatico cinese Wang Yi. Avevano deciso di riprendere i colloqui tra alti funzionari, durante una conversazione a Vienna di ben otto ore.
È risaputo che per ricostruire i canali di comunicazione, è più facile iniziare con le discussioni economiche su cui si è allineati e questo sebbene ci siano poche prospettive per una svolta nella tecnologia avanzata e in altre questioni economiche. Infatti, mentre Washington ha rafforzato i controlli sulle esportazioni di semiconduttori avanzati verso la Cina, Pechino ha represso il produttore di chip statunitense Micron Technology.
La fiducia tra le parti è quindi ai minimi storici e i segnali di apertura rimangono fragili ed incerti. Il dialogo è quasi impossibile sulla questione di Taiwan, sulla concorrenza tecnologica appunto, sulle tensioni nel mar cinese meridionale.
Secondo gli analisti più pessimisti, quanto successo a Singapore conferma che Pechino non è più interessata a tenere colloqui a alto livello con il governo degli Stati Uniti, perché l’amministrazione Biden ha dimostrato arroganza, incompetenza ed ignoranza sulla cultura e la storia cinesi. Incomprensione, cattiva comunicazione, la lettura sbagliata delle intenzioni reciproche, sono alla base di molti conflitti.
Eppure, se le indiscrezioni dell’ultima ora sono corrette, il Segretario di Stato americano Anthony Blinken si recherà a Pechino a fine settimana, rilanciando il tentativo di stabilizzare le relazioni posticipato lo scorso febbraio. A complicare il viaggio potrebbe essere questa volta la notizia riportata dal Wall Street Journal secondo cui la Cina avrebbe raggiunto un accordo segreto con Cuba per stabilire una struttura di intercettazione elettronica sull’isola a circa 160 km dalla Florida.
Giovedì il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca ha affermato che il rapporto non era accurato, pur esprimento “vere preoccupazioni” per le relazioni della Cina con Cuba.
Nei prossimi mesi, le due potenze potrebbero optare per un approccio finalizzato a gestire le differenze e limitare i rischi di un escalation. Difficile dire se Joe Biden sentirà l’urgenza di migliorare i rapporti con la Cina nella fase finale del suo mandato. Si vocifera che Xi Jinping potrebbe fare un’apparizione al vertice dell’APEC (Asian-Pacific Economic Cooperation) a San Francisco in novembre. Se questa è l’intenzione, per evitare imbarazzi e tensioni, è necessario che la comunicazione migliori prima dell’autunno. La finestra di opportunità è breve.
Nell’immagine: l’incontro tra Xi Jinping e Joe Biden al G20 di Bali
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