L’amazonizzazione del mondo
Se Amazon è sempre aperta, allora via libera ad avere aperti sempre anche i negozi
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Se Amazon è sempre aperta, allora via libera ad avere aperti sempre anche i negozi
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Se Amazon è sempre aperta, allora via libera ad avere aperti sempre anche i negozi
E allora andiamo a vedere alcuni aspetti della genealogia del nostro modello produttivo e consumativo (consumistico), del tutto irrazionale dal punto di vista della sostenibilità ecologica e del diritto delle future generazioni di vivere, domani, in un ambiente non devastato (ieri e oggi) da un capitalismo senza più freni (anche perché i governi, tutti, deliberatamente non vogliono tirare il freno o sembrano incapaci di farlo).
Sulle aperture flessibili dei negozi riprendiamo allora ciò che diceva Edward A. Filene, proprietario dei grandi magazzini di Boston e teorizzatore dei consumi di massa già negli anni Venti del Novecento: “Se le masse lavorano sedici ore al giorno, non saranno grandi consumatrici perché dormiranno durante le altre otto ore e la gente non compera mentre sta dormendo. Se devono comprare automobili, devono avere tempo per andare in giro. Questo è il significato della giornata di otto ore e della settimana di cinque giorni […]. La produzione di massa non è semplicemente produzione su larga scala. È produzione scientifica, pianificata, organizzata e gestita in modo da rendere possibile un altissimo tasso di produzione pro capite. Ciò di per sé riduce i costi. Ma se le economie non sono trasferite sul consumatore attraverso prezzi più bassi” e dandogli più tempo per consumare, “non si tratta di produzione di massa, perché non aiutano le masse a comprare quel che si produce”.
Ai tempi di Filene era necessario ridurre la giornata lavorativa per permettere all’operaio / forza-lavoro produttore di diventare operaio / forza-lavoro consumatore e così aiutare appunto le masse a comprare quel che si produce. Oggi si lavora di fatto h24 (al di là delle statistiche ufficiali), ma invece di ridurre gli orari di lavoro disconnettendo i dispositivi digitali che sono in realtà soprattutto mezzi di produzione capitalistica, si allungano/flessibilizzano gli orari di apertura dei negozi. Tutto sembra rovesciato rispetto a cento anni fa, ma non la logica del farci consumare tutto ciò che viene prodotto e che viene prodotto e fatto consumare non per soddisfare i nostri bisogni, ma quelli del capitale – e chi se ne importa della nostra sempre più pesante impronta ecologica sulla Terra. A questo si deve aggiungere che oggi, sempre grazie alle nuove tecnologie, ciascuno può/deve essere (in multitasking) allo stesso tempo (s)oggetto produttivo (anche di notte, generando dati) e consumativo h24 (anche di notte, potendo comprare via Amazon e simili). Trasformando appunto l’intera società e l’intero tempo di vita dell’uomo in tempo di lavoro e di consumo. E se Amazon è sempre aperta, allora anche i negozi devono esserlo…
E arriviamo agli anni Cinquanta del ‘900. Scriveva l’economista americano Victor Lebow: “La nostra economia incredibilmente produttiva ci chiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in autentici rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo […]. Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati a un ritmo sempre maggiore”. Da allora, il nostro mondo è stato modellato per raggiungere questo scopo capitalistico e noi siamo stati ingegnerizzati a comportarci in questo modo altrettanto capitalistico.
E quindi non basta Amazon, serve che anche i negozi fisici siano aperti sempre più a lungo e così aiutino lo svolgimento del nostro lavoro di consum(ism)o. Che deve diventare – che è da tempo diventato – uno stile di vita, con gli acquisti trasformati (da tempo) in un rituale della nuova religione del consumismo, quello dei Black Fridays, per intenderci; un rituale che trasforma appunto il consumare nel modo ormai unidimensionale per la realizzazione personale e spirituale di sé. Noi quindi dobbiamo diventare adoratori delle merci-feticcio, Narcisi innamorati non solo della nostra immagine riflessa – ieri nell’acqua e oggi nello specchio/schermo di un pc/smartphone – ma negli oggetti/merci su cui trasferiamo il nostro essere, non più di uomini sapiens, ma consumens.
E se quindi il management serve a pianificare (organizzare, comandare e sorvegliare) il nostro lavoro di produzione nelle imprese e nelle nuove fabbriche chiamate piattaforme digitali, il marketing e la pubblicità (l’organizzazione scientifica/tayloristica del consumare) servono a pianificare il nostro lavoro di consumo. Perché il libero mercato e la mano invisibile sono solo favole. In realtà il tecno-capitalismo è pianificatore all’ennesima potenza (facendo impallidire, al confronto, i piani quinquennali sovietici) e appunto per questa nostra pianificazione esistenziale e comportamentale servono management e marketing e oggi il digitale – per un mondo trasformato in mercato e in sistema tecnico.
E torniamo a Victor Lebow e al consumismo come realizzazione spirituale. In realtà, che il capitalismo fosse diventato ormai una religione lo aveva scritto il filosofo Walter Benjamin (1892-1940), già nel 1921: “Nel capitalismo può ravvisarsi una religione, vale a dire, il capitalismo serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime ansie, sofferenze, inquietudini, cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni. […] In primo luogo, il capitalismo è una pura religione cultuale, forse la più estrema che si sia mai data. Tutto, in esso, ha un significato solo nell’immediato riferimento al culto [appunto, consumare è come praticare un culto, con i suoi rituali, con i suoi luoghi sacri/centri commerciali, oggi con Amazon]. A questo è connesso un secondo tratto del capitalismo: la durata permanente del culto [oggi, consumare appunto h 24]. Non vi è alcun giorno feriale, alcun giorno che non sia un giorno festivo nel temibile senso del dispiegamento di ogni fasto sacrale, dell’estremo impegno del venerante. Questo culto, in terzo luogo, genera colpa [se non si consuma sempre di più, se non si acquista l’ultima novità, ci si sente in colpa, oppure esclusi…]. Il capitalismo è verosimilmente il primo caso di culto che non purifica ma colpevolizza. […]. In questo sta l’elemento storicamente inaudito del capitalismo, nel fatto che la religione non è più riforma dell’essere umano, ma la sua riduzione in frantumi”. E anch’esso in merce, in un sistema di merci.
Non ci credete? Leggete allora I persuasori occulti, di Vance Packard. Libro della seconda metà degli anni Cinquanta, sempre ristampato da Einaudi, ma attualissimo come non mai. Allora il marketing viveva di sondaggi e di focus group, oggi ci sono i dati e gli algoritmi predittivi e di accompagnamento. Ma la sostanza non cambia. È sempre pianificazione (organizzazione, comando e controllo) tecno-capitalista della vita e della società umane.
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