Un arabo salverà il ‘soldato Benjamin’?
Netanyahu potrebbe cercare il sostegno di un partito islamista che definì “terrorista”
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Netanyahu potrebbe cercare il sostegno di un partito islamista che definì “terrorista”
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Netanyahu potrebbe cercare il sostegno di un partito islamista che definì “terrorista”
Ed infatti, se nelle prossime ore i contatti sottotraccia non riusciranno a produrre una svolta, lo stallo politico post-elettorale potrebbe protrarsi più di altre volte. Il verdetto delle urne non poteva essere più significativo del rompicapo politico israeliano: due blocchi (destra-destra e centro-sinistra) che però non raggiungono la maggioranza parlamentare di 61 seggi. Sperava, Benjamin Netanyahu, che i successi, in primis la riuscita campagna vaccinale anti-Covid, sarebbero stati sufficienti ad allungare senza eccessivi tormenti la sua carriera politica di premier più longevo nella storia dello Stato ebraico. Macchè, la frammentazione del mosaico politico nazionale si è persino aggravata.
Un fenomeno che storicamente ha le sue radici nella progressiva avanzata dei partiti religiosi. Iniziata una ventina di anni fa. E che si è cristallizzata con la crisi profonda, quasi la scomparsa, di quella classe laburista di origine ashkenazita (cioè di matrice occidentale) che aveva governato nei primi decenni della nazione. Tre successivi sviluppi hanno sgretolato l’antica stabilità: la massiccia immigrazione degli ebrei sefarditi, provenienti dai paesi arabi; poi l’ “Aljia” (“il ritorno”) di migliaia di famiglie dalla Russia; quindi, in tempi più recenti, appunto la crescita delle componenti confessionali ultra-ortodosse. Innesti che hanno rafforzato la destra nazional-annessionista (dei territori palestinesi). Ma in un grumo di interessi, identità, ambizioni diversificate, che ne hanno impedito una qualche forma di compattezza elettorale.
Ecco su quale sfondo va collocato l’odierno pasticcio post-elettorale. Con una complicazione in più: la frattura fra gli arabi israeliani, che rappresentano il 20 per cento della popolazione, e non vanno confusi con i palestinesi di Cisgiordania e Gaza. Cosa accade in quel campo politico in passato compatto e puntualmente tenuto a distanza da qualsiasi governo, sia di destra che laburista? Accade che, allo stato delle cose, soltanto un accordo col partito arabo-islamista di Raam (4 seggi), a cui è stato promesso di tutto, Netanyahu avrebbe la certezza matematica di conservare la sua poltrona di primo ministro, e forse salvarsi dal processo per corruzione che è dietro l’angolo. Gli stessi, quelli di Raam, che, ricorda lo scrittore Abraham Yehoshua, fino a poco tempo fa “venivano definiti, soprattutto da Netanyahu, sostenitori del terrorismo”. Saranno dunque i “terroristi” a salvare il “soldato Benjamin”?
I contrari, che abbondano nei due blocchi contrapposti, potrebbero ancora impedire questo matrimonio contro natura, paradossale. E per troppi aspetti illogico. Ma è nota la metafora della rana e dello scorpione. Il secondo convinse la prima a trasportarlo al di là dello stagno. A metà percorso lo scorpione punse la rana con il suo pungiglione avvelenato. “Ora annegheremo entrambi, dove sta la logica?”. “Perché – fu la risposta dello scorpione – in Medio Oriente c’è mai stata logica?”
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