Il dovere della memoria
30 anni fa cominciava la guerra nei Balcani. Tragico simbolo, Sarajevo. Dzemil vi perse il fratello ancora bambino. Lo cerca in migliaia di foto ottenute dai reporter di guerra
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30 anni fa cominciava la guerra nei Balcani. Tragico simbolo, Sarajevo. Dzemil vi perse il fratello ancora bambino. Lo cerca in migliaia di foto ottenute dai reporter di guerra
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30 anni fa cominciava la guerra nei Balcani. Tragico simbolo, Sarajevo. Dzemil vi perse il fratello ancora bambino. Lo cerca in migliaia di foto ottenute dai reporter di guerra
È il 3 maggio del 1995. Dzemil, 12 anni e Amel, 16, i fratelli Hodzic, come sempre giocano con gli altri ragazzi del quartiere, nonostante la guerra e le sirene. Giocano giochi semplici: biglie, una pallina da tennis, rincorse e chiacchiere. I ragazzetti sanno che dai tetti dei palazzi tutt’intorno sono seguiti dall’occhio allenato dei cecchini che in qualsiasi momento potrebbero premere il grilletto, ma non se ne curano. Come è normale e giusto che sia per dei ragazzi di quell’età. Hanno sempre vissuto lungo il famigerato Viale dei cecchini, la Sniper Alley, e la guerra che sta devastando quella che un tempo era la Yugoslavia, è ormai entrata a pieno titolo nelle loro vite, trasformandosi in dolorosa quotidianità.
Poi, all’improvviso, quel grilletto qualcuno lo preme davvero. Senza preavviso la pallottola di piombo attraversa Sniper Alley e sibilando si conficca nel giovane corpo di Amel, che sulle prime non comprende e barcolla smarrito. Dzemil invece capisce subito, si precipita a cercare una coperta, chiama la madre Ulfeta, appena rientrata dal turno come infermiera, e insieme corrono all’ospedale. Amel muore. E Dzemil, oltre a crescere in un attimo, in qualche modo abdica alla vita, cercando ogni giorno il fratello nelle uniche due foto rimastegli. Per molti anni non piange, sopravvive, a caccia di un senso, laddove forse non vi è modo che un senso vi sia.
Quel grumo di disperazione, sconforto e solitudine rimane incastonato nel giovane uomo per quasi un quarto di secolo, fino al giorno in cui decide di affrontare il mostro del passato, di una guerra che ha rappresentato la dissoluzione della famiglia così come l’aveva conosciuta e avuta. Hodzic comincia dapprima a scrivere la cronaca di quel tragico 3 maggio 1995. A quella storia intima segue il desiderio di trovare delle testimonianze di quanto avvenuto, anche perché come sottolinea Hodzic, nel frattempo di guerre ce ne sono state tante altre, e la gente dimentica molto in fretta. Il bosniaco, che oggi lavora come documentarista per Al Jazeera, comincia a contattare i 240 reporter presenti a Sarajevo negli anni della guerra, chiedendo di potere disporre dei loro materiali fotografici. Le foto arrivano in grandi quantità, e Hodzic organizza un sito web (sniperalley.photo) e diverse piattaforme social per i più giovani (Twitter, Instagram e Facebook) su cui esporre le foto, per offrire una testimonianza cruda e palpitante della vita in guerra, ma anche per dare modo alla corposa diaspora bosniaca di potersi confrontare con il proprio passato da ogni angolo del mondo.
Il progetto Sniper Alley è oggi dotato di ben 80 archivi fotografici, disponibili a tutti e gestiti da Hodzic, che ogni volta che riceve un nuovo invio, si precipita ad analizzare ogni dettaglio di ogni immagine, spinto da una parte dal desiderio che non si “dimentichi questa guerra così come nessun’altra guerra” e dall’altra dalla speranza (che non morirà mai, come dice), di trovare uno scorcio, anche casuale o sfocato, dell’amato Amel.
Dzemil Hodzic guardando quelle foto ha recuperato una forma di serenità, o perlomeno la capacità di guardarsi indietro, portandosi appresso tutti coloro che ne condividono la sorte di sopravvissuto. “Noi di Sarajevo siamo stati fortunati. Le fotografie testimoniano quanto è accaduto, per non dimenticare, per non potere un giorno rinnegare. In Siria le cose stanno diversamente; là i fotografi non sono ammessi, ma domani chi racconterà la loro, di storia?”.
Immagini da sniperalley.photo – Nella foto del titolo Dzemil Hodzic
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