Disruption? No, grazie!
In Svizzera esiste uno Swiss Institute for Disruptive Innovation. Qual è il suo scopo? Dal sito leggiamo che esso (corsivi nostri) “identifica, studia ed esplora le opportunità e...
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In Svizzera esiste uno Swiss Institute for Disruptive Innovation. Qual è il suo scopo? Dal sito leggiamo che esso (corsivi nostri) “identifica, studia ed esplora le opportunità e...
• – Lelio Demichelis
Il disagio giovanile tra repressione, isolamento e qualche idea per affrontarlo in modo diverso - Di Bruno Brughera, membro coordinamento contro il CECM
• – Redazione
Documenti e rapporti mettono in luce le lacune delle piattaforme nel contrastare la diffusione della fuorviante retorica anti-emergenziale
• – Redazione
Il paradosso della sinistra e la mente democratica
• – Silvano Toppi
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
In tutta Europa le forze di estrema destra stanno diventando sempre più forti. Difesa della famiglia tradizionale e dei confini nazionali sono i temi che le uniscono
• – Redazione
Il Primo Pilastro (AVS) batte 9 a 0 il Secondo Pilastro (PP o Casse pensioni)
• – Delta Geiler Caroli
Molte delle cose che avvengono online sono “vere” come quelle che avvengono nel mondo fisico. E talvolta altrettanto dolorose
• – Redazione
Dopo sei mesi di repressione che hanno trasformato la Russia in una dittatura, un tribunale di Mosca ha decretato la morte di “Novaya Gazeta”, il giornale di Politkovskaja e Muratov - Mai come ora persone, media e organizzazioni dissidenti sono vittime delle autorità e dei tribunali
• – Redazione
Quanto occorrerà attendere prima che qualcuno riesca a fare davvero qualcosa in favore degli uiguri?
• – Loretta Dalpozzo
Queste citazioni ci permettono di fare qualche riflessione sulla filosofia dell’innovazione tecnologica, poi cercheremo di capire cosa si intende con disruption.
Partiamo dalla neolingua che da decenni accompagna ogni promozione dell’innovazione tecnologica da parte delle imprese. Neolingua (e rinviamo anche a 1984 di Orwell) perché sostituisce la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, rendendo impossibile ogni altra forma di pensiero che non sia, nel nostro caso, pro-innovazione tecnologica a prescindere dalla sua sostenibilità sociale e ambientale e dalla sua effettiva utilità. E pensiamo alle parole usate sopra: epocale, paradigma, rivoluzione, potenziale di crescita. Ma pensiamo a smart-working, che sembra tutto nuovo e appunto smart (il suono stesso della parola evoca qualcosa di piacevole e intelligente), ma che è in realtà il vecchio lavoro a domicilio di cui scriveva già Marx e dove l’innovazione è solo nel mezzo di connessione (la rete, un algoritmo/app) che permette di organizzare, comandare e sorvegliare (come ieri) i dipendenti che lavorano da casa; pensiamo ad Amazon, per eccellenza il nuovo che avanza e che non si deve fermare secondo lo storytelling tecno-capitalista ma che, a parte un po’ di algoritmi si basa sulle vecchie vendite per corrispondenza nate negli Usa nel lontano 1872; pensiamo (ci ripetiamo, scusate) alla propaganda capitalista e tecnologica degli anni ’90 del ‘900, secondo la quale grazie alle nuove tecnologie avremmo lavorato meno, fatto meno fatica e avuto più tempo libero da dedicare alle cose belle della vita, mentre oggi (e non è stata una eterogenesi dei fini ma lo sviluppo inevitabile dell’essenza della tecnica) ci ritroviamo invece a lavorare e a consumare h24, con ritmi esasperati di lavoro – un pessimo taylorismo digitale invece della magnificata e propagandata Industria 4.0 – con non più solo il nostro lavoro ma tutta la nostra vita (relazioni, pensieri, emozioni, eccetera) messa a profitto da imprese private, attraverso i dati che noi produciamo in rete. Se volessimo usare Marx, potremmo dire che, grazie alle nuove tecnologie ormai siamo a un pluslavoro (quasi) totale, per la massimizzazione del plusvalore capitalistico (farci lavorare gratis: la più grande magia del capitale).
E rivoluzione. Che non è quella politica e sociale francese (illuministica) del 1789; che non è quella per abbattere lo sfruttamento capitalistico (direbbe sempre Marx), ma quella tecnologica del capitale che innova incessantemente a prescindere dai reali bisogni umani e da ogni principio di responsabilità e di precauzione verso la biosfera e le future generazioni, per soddisfare solo il proprio desiderio compulsivo di accrescere incessantemente il proprio profitto privato – e sempre Marx scriveva di un imprenditore “fanatico della valorizzazione e che costringe l’umanità a produrre per amore del produrre”.
E da rivoluzione arriviamo a disruption, che è oltre la vecchia distruzione creatrice di Schumpeter e tipica dell’imprenditore di un tempo ma che già allora era in realtà più distruzione (soprattutto di biosfera e di società) che creazione. Cosa significano dunque disruption e innovazione distruttiva? Disruptiva è una innovazione che crea un nuovo mercato e una nuova rete di valori e alla fine interrompe un mercato esistente, sostituendo aziende e prodotti. Significa (SIDI) una tecnologia che sconvolge i processi esistenti e produce un cambiamento significativo nei sistemi economici e sociali. E già da qui si evidenzia la non democraticità della disruption, perché imposta da imprese private che vanno però a sconvolgere – a prescindere appunto dalla democrazia e dal consenso di coloro sui quali impatta la disruption – i sistemi economici e sociali, imponendosi come un dato di fatto e così appunto violando tutti i principi di democrazia e di libertà. Un caso su molti, ancora Amazon, dove un solo uomo, Jeff Bezos, ha sconvolto a livello planetario – e molto velocemente, grazie alla tecnologia digitale – tutto il sistema della piccola e media distribuzione, oggi arrivando a mettere in crisi anche la grande distribuzione organizzata; e questo senza farsi minimamente carico delle conseguenze economiche e sociali prodotte, massimizzando anzi i profitti per sé e sfruttando in massimo grado il lavoro e le persone – con la correità di noi consumatori compulsivi.
E “disruption viene dal latino disrumpere, che vuol dire rompere, spezzare, mandare in frantumi”, ricorda Éric Sadin nel suo La siliconizzazione del mondo. L’irresistibile espansione del liberismo digitale (Einaudi). La disruption cioè distrugge, manda in frantumi (lo dice il nome stesso); ma si veste di innovazione, di rivoluzione, soprattutto di neolingua e questo la rende il nuovo che non si deve fermare. In realtà essa è sempre il vecchio nichilismo del capitale con altro nome; è sempre il vecchio sfruttamento dell’uomo e della biosfera – è la morte della democrazia. Disruption esprime cioè un processo molto stupido – molto simile alla guerra e alla concorrenza – soprattutto molto irresponsabile e socialmente e ambientalmente insostenibile. Produce una sconfitta esistenziale dell’uomo, ancora secondo il filosofo Sadin. Che aggiunge: “Disruption è il nome di questa sconfitta, una catastrofe che rovescia la nostra società dalle fondamenta, alla velocità della luce e in nome dell’interesse di pochi, e istituisce fin da subito il grado zero dell’immaginazione umana”.
Disruption? No, grazie!
Nell’immagine: un celebre fotogramma dal film “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick (1971)
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