Myammar straziato e cultura dell’impunità
I generali birmani soffocano nel sangue la protesta pacifica, insufficienti le sanzioni internazionali
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I generali birmani soffocano nel sangue la protesta pacifica, insufficienti le sanzioni internazionali
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I generali birmani soffocano nel sangue la protesta pacifica, insufficienti le sanzioni internazionali
Tra i ranghi militari c’è chi si è ribellato all’ordine di uccidere ed è fuggito nei paesi vicini, ma un ammutinamento di massa è improbabile. Il capo dell’esercito Min Aung Hlaing non dà segni di cedere alle pressioni o di avere una coscienza morale. Ha organizzato una serata di gala nella giornata delle forze armate, domenica, quando nel resto del Paese 114 persone disarmate venivano uccise dalle sue truppe.
Tenere il conto dei morti è difficile in un paese che blocca internet e perseguita attivisti e giornalisti. Il numero di omicidi extra giudiziali, di rapimenti ed arresti, che avvengono nella notte o nei villaggi più remoti, rischia di essere ben più alto. I militari sono determinati a terrorizzare la propria gente finché non si rassegnerà all’idea che sono loro a disegnare il futuro del Paese. Se penso ai progressi visti negli ultimi 15 anni, ai giovani pieni di speranze, ora del tutto distrutte, è straziante.
Ma cosa se ne fa il popolo birmano del nostro orrore e della nostra indignazione? A cosa servono davvero le ripetute dichiarazioni di denuncia scritte dalla comunità internazionale? Finché Cina e Russia continueranno a sostenere il regime militare, a fornire le armi, finché l’India rimarrà silenziosa e i governi occidentali continueranno ad incontrarsi per discussioni infruttuose, imponendo sanzioni limitate, finché i paesi del sud-est asiatico, che conservano i soldi dei generali nelle loro banche e con cui commerciano, non eserciteranno pressione concreta su un membro del gruppo regionale a cui appartengono, è impossibile vedere una risoluzione della crisi. Con più di 400 morti per mano della giunta militare, quando finisce il tempo delle parole?
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