Passata la festa, gabbato lo santo
Di Andrea Sala, Maurizio Cerri, Mauro Piazza, Fiorenzo Ardia Siamo quattro cittadini del Luganese, abbiamo superato da poco i sessant’anni. Siamo preoccupati per quanto sta...
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Di Andrea Sala, Maurizio Cerri, Mauro Piazza, Fiorenzo Ardia Siamo quattro cittadini del Luganese, abbiamo superato da poco i sessant’anni. Siamo preoccupati per quanto sta...
• – Redazione
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Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Siamo quattro cittadini del Luganese, abbiamo superato da poco i sessant’anni. Siamo preoccupati per quanto sta succedendo. Sentiamo conoscenti e parenti a cui vengono proposti contratti di lavoro indecenti, molti hanno paura di denunciare quanto gli viene proposto. Sentiamo la storia di persone che fuggono dal loro paese, trattate senza umanità e che non trovano la solidarietà dovuta. Siamo confrontati con una situazione ambientale che appare sempre più compromessa. Viviamo in una città dove trionfa la speculazione edilizia.
L’avventura del Molino non è mai stata una nostra priorità, anche se le abbiamo sempre riconosciuto il diritto di esistere, come dimensione culturale alternativa, politica, luogo di idee, di crescita individuale e collettiva. L’episodio della demolizione di una parte del complesso dell’ex Macello non ci ha lasciati indifferenti. L’abbiamo interpretata come un abuso di potere, una reazione fuori misura. Per questo abbiamo partecipato al corteo di protesta dello scorso 6 giugno. C’erano persone di diverse generazioni e di svariate appartenenze sociali e politiche. Il clima disteso favoriva la discussione. Quanta ingenuità nei nostri dialoghi, eravamo convinti che il Municipio, questa volta, avrebbe dovuto ammettere di aver commesso un errore.
Nelle settimane successive: tanti articoli, il problema dei permessi, l’amianto, le decisioni, le responsabilità, le dichiarazioni contrastanti, gli assordanti silenzi.
E noi, fiduciosi, sempre convinti che la Legge avrebbe fatto Giustizia. Quel che è successo, invece, è che la Legge ha legittimato la demolizione, definendola un’azione necessaria all’incolumità “dei cittadini e degli autogestiti”. All’inizio eravamo stupiti, increduli. Ma cos’era successo? Ma com’era possibile che ciò potesse accadere in una società moderna e democratica?
Il passo successivo è stato il bisogno di condividere la nostra perplessità. Gabbati sì, ma non supini.
L’albero di Natale al centro della Piazza Riforma ci è sembrato il luogo ideale per esprimere il nostro disappunto. Abbiamo scritto delle letterine a Gesù Bambino, affinché ci aiutasse a capire. Non abbiamo nulla da nascondere, volevamo essere un po’ provocatori, un po’ ironici, l’abbiamo fatto per proteggere il senso critico e la capacità di pensare e per non arrenderci alla pigrizia o all’indifferenza.
Speravamo di mettere un po’ in crisi i responsabili di quelle macerie. Speravamo di incoraggiare altri ad esprimere i loro dubbi. Purtroppo, i bigliettini sono stati rimossi. Una cosa è certa: abbiamo l’amaro in bocca, ci sentiamo feriti e sfiduciati verso chi ci governa. E questo è molto preoccupante.
Quanto agli avvenimenti di questi giorni non fanno che confermare l’esistenza di un problema irrisolto.
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