Per un pugno di voti
Cronaca politica ticinese, fra litigi, accuse incrociate e silenzi conniventi
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Cronaca politica ticinese, fra litigi, accuse incrociate e silenzi conniventi
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Cronaca politica ticinese, fra litigi, accuse incrociate e silenzi conniventi
Potremmo aggiungere che non diversamente si possa dire, in questi ultimi mesi, settimane, giorni, in relazione a quanto ci propone quotidianamente la cronaca politica ticinese.
Certo, a Lugano si sono succeduti in quest’ultimo periodo non pochi episodi (dal caso “Macello” stiamo parlando ormai di sei mesi a dir poco infuocati) che hanno nutrito accesi dibattiti ed aperti litigi fra partiti e fra singoli esponenti di uno stesso partito.
A Lugano, sostituito lo sceriffo con una sceriffa, ci si ritrova in un posto dove almeno sei giorni su sette è come stare in un saloon: il Polo Sportivo è ormai terreno di scontro quotidiano fra schieramenti insospettabili e stravaganti, in cui ciascuno spara le proprie cifre e dà del nemico (o dell’incompetente) un po’ a chiunque; ci sono consiglieri comunali che denunciano impiegati del comune; impiegati del comune che denunciano municipali per mobbing; municipali che rispondono a mezzo stampa (o con un cablo della domenica) che loro fanno quello che vogliono e in pieno diritto, e che se pubblicano un gazzettino pieno di taglie e tagliole non c’è municipio che glielo possa impedire.
Poi, il settimo giorno, che non è domenica, ma il “giovedì di Municipio”, escono comunicati in cui tutti sono allineati e compatti nel votare questo o quel credito, in attesa poi che la domenica, il settimanale di via Monte Boglia screditi questa o quella decisione altrui. Fra famiglie di notabili e clan di vario genere, è tutto un mezzogiorno di fuoco incombente, in un mondo in cui nessuno si fida di nessuno.
E cosa può pensare il cittadino elettore di un tale triste teatrino? Come può il cittadino elettore riporre nella politica e nei suoi rappresentanti una minima fiducia? Naturalmente il clima “pandemico” non aiuta, anzi, nelle sue manifestazioni più “estreme” soffia sulla brace di conflitti sociali sempre meno governabili e governati.
È sotto gli occhi di tutti come ad essere particolarmente in crisi siano oggi un po’ tutti i partiti, che in manco di progettualità e di figure trainanti autorevoli, si dibattono in faide interne e spaccature che trovano una soluzione (strumentale) solo nei casi in cui ci si debba e voglia pregiudizialmente ed opportunisticamente esprimere contro un altro schieramento.
Oppure, al contrario, quando si deve “fare quadrato” per difendere una propria scelta o l’operato di un proprio rappresentante che sale alla ribalta della cronaca offrendosi al fuoco incrociato degli altri partiti.
Di questo fenomeno, che beninteso è assolutamente “trasversale” e si manifesta in vario modo in tutti gli schieramenti, abbiamo avuto una recente triste rappresentazione in relazione all’inchiesta di “Falò” di giovedì scorso incentrata sulla testimonianza di alcune donne abusate da un funzionario del DSS ben noto in tutto il Cantone. Un dramma intimo, di una persona in grave e nefasta difficoltà relazionale che andava subito fermato e curato (se e fin dove possibile) sottraendolo da un contesto che gli ha permesso di commettere le peggiori nefandezze su ragazze minorenni il cui grido d’allarme (e di dolore) non è stato ascoltato per anni.
Nel merito è già intervenuta qui con passione e coraggio Simona Sala. Quello su cui vale forse la pena di soffermarsi ancora per un momento, proprio per non lasciar cadere nel vuoto le testimoniante raccolte con grande sensibilità dal settimanale della RSI e dall’ottima giornalista Anna Bernasconi, riguarda quanto il mondo politico ha fatto o meglio, finora, e da anni, non ha fatto per fermare prima la spirale di violenze ed intimidazioni del funzionario condannato e poi per rendere pubblica una chiara presa di posizione comune, condivisa, nei confronti di una simile, terribile vicenda.
Una vicenda, va detto e ribadito, che è tragica, umanamente devastante, ma che non ha un “colore politico”. Certo, nella fattispecie, il “clan dipartimentale” socialista cui apparteneva il funzionario condannato, è andato avanti troppo a lungo, fra sorrisi ed allusioni divertite, a lasciarlo fare, perché ad un certo punto, forse, denunciandolo, si sarebbe dovuto rivelare di non averlo fatto prima. Così si è proceduto di minimizzazione in minimizzazione, per pararsi le terga politiche e dipartimentali anche più che per difendere l’indifendibile funzionario. Certamente infliggendo un ulteriore enorme torto alle vittime.
Poiché tutti questi deprecabili risvolti sono noti da anni, sono emersi con tutta evidenza nel primo processo del 2019, poi nella seconda sentenza e nel successivo dibattito in Gran Consiglio sulla costituzione di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta (respinta con i voti di PS e Liberali), deve essere ribadito che dal PS deve giungere, al più presto, e con estrema chiarezza, una presa di posizione degna di tal nome relativa ai tanti, troppi silenzi che hanno accompagnato il percorso di abusi del funzionario condannato.
Dal Partito Socialista deve giungere un messaggio che non rappresenti una risposta politica agli attacchi di altri partiti, ma il riconoscimento, semplicemente etico ed umano, il rincrescimento e le scuse che le giovani vittime hanno il diritto di ottenere.
Ma c’è forse di più: in nome della dignità delle vittime andrebbe anche denunciata l’ennesima pratica di sciacallaggio messa in opera domenica scorsa dal settimanale della Lega, (vedi “Funzionario-abusatore del DSS “Falò” inchioda l’omertà ro$$a – Tra i superiori dell’innominabile c’è chi fa politichetta moraleggiante contro il PSE”) che, denunciando, legittimamente, i silenzi e le omissioni dipartimentali, ne ha fatto lo spunto per andare a colpire uno solo dei “superiori” del funzionario condannato: per nulla casualmente è così partito un tiro al bersaglio contro Martino Rossi, oggi rappresentante di spicco del Comitato per il NO al PSE.
Che si stia parlando di un caso terribile di violenza subita da giovani donne ed inflitta loro in spregio di un principio fondamentale di dignità e integrità umana diventa un puro dettaglio: conta qui che ad esserne l’autore sia un “papavero rosso” e che ad averlo (forse) protetto o tollerato, almeno indirettamente, ci sia, fra gli altri, un “nemico” da combattere con ogni mezzo, insieme agli “sfascisti bellinzonesi” e ai notabili luganesi: perché domenica si vota per il PSE!
Anche questa è una forma, grave e subdola, di violenza nei confronti delle giovani vittime del funzionario: ed è anch’essa una pratica politica vergognosa, un modo inaccettabile di strumentalizzare tutto e tutti, senza alcuna giustificazione, se non quella, disgustosa, del tornaconto per qualche miserrimo “pugno di voti”.
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