La Svizzera del carbone
Simonetta Sommaruga 'molto delusa' per il mancato accordo sull'eliminazione del carbone alla conferenza sul clima: ma intanto la Confederazione è uno dei principali poli operativi dell'industria carbonifera
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Simonetta Sommaruga 'molto delusa' per il mancato accordo sull'eliminazione del carbone alla conferenza sul clima: ma intanto la Confederazione è uno dei principali poli operativi dell'industria carbonifera
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Simonetta Sommaruga 'molto delusa' per il mancato accordo sull'eliminazione del carbone alla conferenza sul clima: ma intanto la Confederazione è uno dei principali poli operativi dell'industria carbonifera
Al termine della conferenza tenutasi a Glasgow, Simonetta Sommaruga non l’ha mandata a dire. Ha abbandonato l’approccio diplomatico e ha criticato senza giri di parole quanto avvenuto nelle ultime ore del vertice, quando i Paesi consumatori di carbone – India e Cina in testa – hanno definitivamente annacquato l’idea di eliminare l’utilizzo del più inquinante dei combustibili fossili. “Riduzione graduale” anziché “eliminazione globale”: una piccola modifica lessicale, dal grande impatto reale tanto che, per Simonetta Sommaruga, in questo modo non si potrà raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C entro il 2100.
Bene ha fatto, quindi, la consigliera federale ad indignarsi. Non occorre però dimenticare che, per quanto riguarda il carbone, la Svizzera ha una responsabilità più impattante di quanto sembri. Certo, da tempo nella Confederazione non sono operose miniere di carbone e nemmeno centrali elettriche basate su questa fonte energetica. Non è sempre stato così e, malgrado vi sia ancora qualche partecipazione elvetica nelle centrali estere (tra cui quella dell’Azienda elettrica ticinese in Germania), da questo punto di vista possiamo anche ritenerci soddisfatti. D’altro canto, però, la Svizzera è un polo di primo livello nel commercio internazionale del carbone e di tutti i suoi derivati (antracite, coke, lignite, eccetera). Non solo: il numero uno mondiale è svizzero. Si tratta della Glencore di Baar, nel Canton Zugo. Un gigante che non solo commercializza, ma produce ed estrae attraverso le varie miniere che controlla in giro per il mondo, dall’Australia al Sudafrica, passando per la Colombia. Secondo le sue stesse cifre ha prodotto 106 milioni di tonnellate di carbone nel 2020.
Il carbone fa parte del DNA di Glencore che quest’anno ha annunciato di voler aumentare la produzione. D’altronde se il prezzo della tonnellata viaggiava attorno ai 50 dollari nel 2020, oggi è attorno ai 150 dollari. Ciò che permetterà a Glencore, e ai sui azionisti, di fare profitti enormi. Il nuovo CEO sudafricano Gayr Nagle, che quest’anno ha preso il posto del connazionale Ivan Glasenberg, per anni è stato il capo della divisione carbone. Non a caso, quindi, nel giugno di quest’anno, la multinazionale ha annunciato l’acquisto delle azioni di BHP e Anglo American nella loro joint-venture sulla miniera di carbone di Cerrejòn, in Colombia. Un’operazione da oltre mezzo miliardo di dollari effettuata in un contesto in cui diversi concorrenti stanno disinvestendo in questo settore. Una manovra che si scontra con gli annunci fatti in questi anni, indirizzati agli investitori e alla società civile, e volti a verdicare a colpi di annunci un’immagine macchiata dagli scandali.
Glencore è la più grande, ma non è l’unico gigante del carbone attivo in Svizzera, terra d’asilo delle multinazionali delle materie prime. Oltre al colosso di Baar abbiamo Trafigura, Mercuria, Gunvor e Vitol: tutte, oltre che il petrolio, commerciano carbone. Carbone che ha trovato una sua ragion d’essere anche in Ticino. La piazza luganese del commercio di materie prime sembra infatti essere orientata sul trading del combustibile fossile più dannoso per la terra. Tra Lugano e Paradiso sono decine le società specializzate nel commercio di questa materia prima. Addirittura vi è chi, come il gruppo Coeclerici è proprietario di una miniera in Siberia. L’azienda, basata in Italia, organizza da Lugano il trading e il trasporto a livello internazionale di tonnellate annue.
Se tutti gli abitanti della Terra vivessero come la popolazione elvetica, avremmo bisogno di tre Terre. Un dato che parla già da sé. Tuttavia, la responsabilità della Svizzera non si limitano alle materie prime consumate sul suo territorio. Si stima che circa un terzo del commercio mondiale di combustibili fossili (e quindi di carbone) avviene tra Zugo, Ginevra, Losanna e il Ticino. A questo andrebbe aggiunto anche l’impatto della piazza finanziaria e dei fondi d’investimento di banche e casse pensioni. L’impatto elvetico sulle emissioni globali di CO2 è quindi più grande di quanto non sembri. A volte, quando vogliamo fare i primi della classe, è bene ricordarselo.
Nell’immagine: la miniera di Cerrejòn, in Colombia
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