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Dal nostro corrispondente da Mosca

Fino alla crisi in Bielorussia del 2020, l’approccio della politica estera russa era basato essenzialmente su due perni: 1) le relazioni politiche e diplomatiche con i rappresentanti ufficiali degli Stati 2) le relazioni con partiti politici e movimenti. Un approccio rigidamente realista e “westfaliano”. 

Il primo perno ha iniziato ad incrinandosi dopo l’indebolimento delle relazioni con l’Occidente. Attualmente non esiste alcun confronto diretto e ufficiale tra Russia e paesi occidentali, mentre le rispettive delegazioni diplomatiche si sono assottigliate al minimo. La Russia ha al contempo annunciato un’offensiva politica verso intere regioni del mondo (vedi l’Africa, e nell’immediato futuro l’America Latina) che prevede un approccio “anticolonialista”. Formalmente ovvio: la Russia, essendo debole dal punto di vista finanziario, è in grado di poter scambiare servizi di sicurezza locali (attraverso i servizi della Wagner) e la costruzione di infrastrutture. Ottenendo come ‘compenso’ materie prime per lo sviluppo delle sua tecnologia, e a beneficio delle casse statali: quindi uranio, litio e oro.

Per Vladimir Putin, l’idea del multipolarismo e del multilateralismo si associa del resto al tentativo dichiarato di mettere in discussione l’egemonia politica e finanziaria degli Stati Uniti. E in tale senso viene inteso a Mosca anche il progetto dei BRICS (i paesi in via di sviluppo, associazione informale a cui in un vicino futuro dovrebbero aggiungersi altre nazioni, fra cui Iran e Sud Africa).

Per quanto riguarda il secondo aspetto, i rapporti con i partiti politici è sempre stato demandato formalmente dal Cremlino alle relazioni stabilite dal partito del presidente “Russia Unita”, anche se si deve sottolineare che anche nella Russia post-sovietica i confini tra partito maggioritario e Stato sono sempre rimasti labili. Un ruolo di “ponte” e di “facilitatore” viene giocato, inoltre, dal Partito Comunista di Gennadij Zjuganov, che intrattiene rapporti diretti con diverse formazioni comuniste su scala internazionale.

In Europa, soprattutto nell’ultimo ventennio, Mosca ha steso una rete di rapporti privilegiati con le formazioni di orientamento populista e di estrema destra (Alternative für Deutschland, il movimento di Marine Le Pen, la Lega di Salvini, Vox in Spagna, eccetera). L’affinità ideologica sui cosiddetti valori “tradizionali”, insieme all’euroscetticismo, sono stati i cardini di questa strategia.  Ciò non sembrava però aver turbato i sonni di molte formazioni politiche che formalmente si autodefiniscono di “sinistra” (Cuba, Nicaragua, Venezuela), che da sempre hanno stretti rapporti con la Russia, inizialmente in nome di un “pragmatismo” che risale almeno al sostegno di Fidel Castro all’invasione della Cecoslovacchia nel 1968.  

La guerra in Ucraina, per i suoi obbiettivi militari e strategici, ha radicalizzato i riferimenti teorici e politici dell’intero establishment russo. Prova ne sono alcuni articoli usciti per la rivista “Rossija v globalnoj politike” (“La Russia nella politica globale”), diretta da un think-tank direttamente legato al Cremlino. In un articolo a più firme intitolato significativamente “Valori conservatori come ponte tra Russia e Occidente” si tracciano i riferimenti ideologici dell’ “ideologia new-con” del Cremlino. Non si tratta semplicemente del rilancio dell’idea della Russia come “Terza Roma”, o dell’euroasiatismo, bensì di una vera a propria “ri-brandizzazione” in salsa russa delle idee dei neonazisti europei degli Anni Sessanta: in particolare quelle della “Jeune Europe” di Jean Thiriart e dell’“Impero Europa” di Leon Degrelle.

L’approccio “eurasiatisto” si concilia abbastanza bene con quello neo-isolazionista di Vadim Tsymburskij, che ha proposto l’idea dell'”Isola Russia”:  stando alla sua impostazione, le civiltà sono popoli, o gruppi di popoli, i cui Stati controllano un habitat sufficientemente separato nella disposizione geografica del mondo. Tsymburskij, già nei primi Anni Duemila, riteneva quindi che un’alleanza con l’Iran e la Cina fosse importante per la Russia, perché la rafforzerebbe nel confronto con i suoi rivali geopolitici, Stati Uniti ed Europa. 

A tutto questo va aggiunta la “pista bizantina” di Alexander Panarin, che teorizzava a l’inevitabilità di un duro confronto “tra civiltà e barbarie”. La “barbarie” può provenire dall’interno di una cultura estranea a quella russa, e pertanto, secondo la logica di Panarin, i “barbari” includono ovviamente e in particolare i “fondamentalisti liberali”.

Paradossalmente però tutte queste suggestioni si intrecciano nel prolifico laboratorio di Parigi, in quella nebulosa della “Nuova Destra” fondata da Alain De Benoist alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Uno dei principi metodologici della “Nuova Destra”, come noto, è il “gramscismo di destra”: esso rappresenta, essenzialmente, un’inversione dell’equazione marxista di Antonio Gramsci, e insiste sul valore della cultura, non “proletaria” però, ma “autenticamente europea”. Inoltre, Benoist e i suoi amici, considerano il socialismo e il liberalismo come miti falsi e obsoleti che devono essere sconfitti: un orizzonte anti-illuministico, che però non trovò mai spazio nel fascismo mussoliniano. 

È degno di nota il fatto che in un video intitolato Né a Lampedusa né a Bruxelles, essere europei  – pubblicato dall’Institut Iliade, un altro think tank della Nuova Destra – si sottolinea che le “Torri del Cremlino” rappresentano uno dei simboli della civiltà europea. 

Tuttavia questi comuni riferimenti e suggestioni ideologiche non hanno condotto a una posizione univoca sulla guerra in Ucraina dell’estrema destra (quella tradizionalmente liberal-conservatrice si è schierata senza molti dubbi con l’Ucraina) che sull’argomento si è invece profondamente divisa, così come è del resto successo alla sinistra. Si tratta di un ‘gap’ non è facilmente colmabile, che finisce col rendere contraddittoria la tattica putiniana. Anche perché l’Ucraina si candida all’interno dell’ Unione Europea, se e quando vi entrerà, a schierarsi con i settori più conservatori (Polonia e Stati baltici in primis) della stessa UE.

Comunque questa dinamica anti-occidentale e anti-illuministica, promossa ormai decisamente da Mosca, può diffondersi solo in un quadro di crisi storica dell’Europa, dove il richiamo ai valori dell’uguaglianza sociale è diventato sempre più formale, e dove il conseguente svuotamento della democrazia non è solo una percezione. 

È dentro questa crisi che il putinismo e l’ideologia della “Nuova Destra” possono fare proseliti. Per disinnescarli occorre non solo resistere all’espansionismo russo, ma rilanciare il progetto di un’Europa finalmente matura nel suo processo di integrazione: unita, democratica ed egualitaria. 

 Nell’immagine: Но я больше не доверяю итальянцам! (Però non mi fido più degli italiani!) 






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