NFT, se li conosci li eviti
A Lugano la kermesse di un mercato virtuale di cui nessuno sentiva il bisogno. Tanto meno l'ambiente
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A Lugano la kermesse di un mercato virtuale di cui nessuno sentiva il bisogno. Tanto meno l'ambiente
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A Lugano la kermesse di un mercato virtuale di cui nessuno sentiva il bisogno. Tanto meno l'ambiente
In questi giorni la città di Lugano, dopo le manifestazioni promozionali per Bitcoin, Ethereum e quant’altro, ha diritto ad un’altra cripto-ubriacatura collettiva sotto forma di una “NFT Fest”, alla quale naturalmente non fanno mancare la loro presenza e il loro patrocinio le autorità cittadine, sindaco in testa. NFT è un’altra di quelle parole con le quali volenti o nolenti bisogna fare i conti, ma è difficile spiegare in breve di cosa si tratti. Diciamo che sono dei certificati digitali che si possono vendere e comperare utilizzando le criptovalute. Fin qui tutto bene, ma cosa certificano? Beh, tutto e niente. Soprattutto niente. Ma non è un problema: incuranti degli enormi costi ambientali e di possibili danni collaterali (umani e sociali) tutta una serie di personaggi (in parte radunati nella nostra bella “capitale delle criptovalute”) ha trovato il modo di speculare alla grande anche sul nulla. Certo, c’è chi ci guadagna (molto) e chi ci perde (molto). Ma a chi importano gli sfigati (clima compreso)?
I problemi posti dal mercato degli NFT sono stati ben riassunti dal fotografo Andy Day, che si riferisce in particolare agli aspetti collegati al mercato dell’arte, uno dei primi terreni di caccia degli speculatori digitali.
La creazione e lo scambio degli NFT (così come quello delle criptovalute) sono attività altamente energivore. Per difendersi i loro fautori sostengono che “anche i frigoriferi consumano energia”, ma – a parte la netta sproporzione – dimenticano che anche le tecnologie tradizionali sono sottoposte a pressioni affinché diventino più verdi, e questo non è certo un buon motivo per aggiungere altre fonti di consumo. Le criptotecnologie inoltre sono presentate dai loro sostenitori come una trovata rivoluzionaria che ci libererà dalla corruzione e dai vincoli dei sistemi finanziari centralizzati, dandoci la libertà che ci dicono di desiderare. Dato il suo potenziale “rivoluzionario” l’estrazione di bitcoin dovrebbe richiedere di piantare alberi, non di alimentare centinaia di migliaia di computer affamati di elettricità.
Questa non è una rivoluzione. È come inventare un’auto volante che costa meno di mille dollari ma funziona con orsi polari appena nati, o creare un nuovo farmaco che raddoppierà la durata della vita, ma richiede di recarsi in ciò che resta della foresta pluviale di Sumatra e massacrare 50 oranghi solo per iniziare.
Un certo cambiamento nei consumi sta forse avvenendo, ma molto lentamente, e a volte ci si chiede se per finire stia avvenendo davvero. Ethereum [la criptovaluta “luganese” particolarmente utilizzata per gli NFT, ndr] sarebbe “a pochi mesi” dal passaggio dalla cosiddetta “proof-of-work”, affamata di energia, alla “proof-of-stake”, molto più ecologica, ma è bene ricordare che Ethereum è “a pochi mesi” da questo passaggio da più di sette anni. Anche la piattaforma NFT Nifty Gateway si era impegnata a diventare neutrale dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica entro la fine del 2021, ma non risulta che questa promessa sia stata mantenuta.
Nel difendere l’uso di energia della loro piattaforma i proprietari di Nifty Gateway ripetono la classica lamentela: le tecnologie e i sistemi esistenti non sono criticati così severamente. Questo infinito benaltrismo ci riporta a quanto detto prima: se è nuovo, dovrebbe essere migliore, non altrettanto dannoso – se non 10 volte peggiore – di quello che già esiste. Non basta dire “eh, e allora l’aria condizionata?”.
Mi spiace dirvelo: gli NFT non vi danno necessariamente la proprietà dell’oggetto digitale che state acquistando. Un NFT è un oggetto autoreferenziale fatto di semplici bit che dichiara che voi possedete l’oggetto che dite di possedere. Se gli NFT potessero contenere un’opera d’arte vera e propria gli artisti disporrebbero di un sistema utile per certificare digitalmente l’origine e la proprietà intellettuale delle loro creazioni. Invece, secondo l’opinione di molti artisti, è solo “un nuovo metodo per sfruttare i professionisti della creatività”.
Nella stragrande maggioranza dei casi un NFT non contiene effettivamente un’opera d’arte digitale, né dà diritto a nessuna forma di effettiva proprietà. È unicamente l’equivalente di… una figurina da collezione. Quello che si compera (o si rivende) è un semplice link.
Gli NFT creano artificialmente la scarsità in un mondo, quello digitale, in cui tutto è abbondante e illimitato. E dove c’è scarsità c’è profitto. Una semplice, insignificante immagine jpeg – ad esempio – acquista valore, invece di essere infinitamente priva di valore. E tu sei stupido se non cerchi di approfittarne. Non è questo il modo in cui gli NFT avrebbero dovuto funzionare. Il fatto che siano stati fatti funzionare in questo modo è un’ulteriore prova delle enormi speculazioni in atto.
Non sorprende che gli individui e le istituzioni che ignorano volontariamente l’impatto ambientale degli NFT abbiano anche tendenza a prendere decisioni aberranti in materia di etica.
Il British Journal of Photography – una delle più antiche istituzioni fotografiche del mondo – ha venduto il suo account Twitter con più di un quarto di milione di follower a un commerciante di NFT, distruggendo la propria reputazione in una notte. La corsa al denaro è un triste atto d’accusa sia per il mondo dell’arte tradizionale, sia per il pasticcio che sta cercando di sostituirlo.
Peggio ancora è l’esempio dell’Associated Press, la cui incursione nel mondo degli NFT l’ha portata a pensare che fosse appropriato vendere l’NFT abbinato ad un video che mostra un gommone pieno di migranti al largo della Libia. Il titolo di uno degli articoli diceva: “Approfittando della sofferenza”. Non sorprende che l’AP abbia rapidamente ritirato la vendita. L’iniziativa NFT dell’AP viene presentata come un mercato in cui gli appassionati possono “acquistare il pluripremiato fotogiornalismo contemporaneo e storico dell’agenzia di stampa”. La vendita di fotografie di soggetti come la guerra, la carestia, i disastri naturali e i rifugiati è discutibile e nel mondo dell’arte è tutt’altro che una novità. L’immagine è stata a lungo una merce da comprare e vendere, ma le NFT annunciano un nuovo livello di ipercapitalismo altamente distillato che aggiunge uno strato di mercificazione e speculazione alla sofferenza delle persone. Una cosa mai sperimentata prima. Abbinare un’immagine ad un NFT riduce quell’immagine al suo potenziale finanziario, strappandola ulteriormente dal suo contesto di artefatto culturale socialmente impegnato.
Il mondo dell’arte tradizionale fa lo stesso? Senza dubbio, ma su questa scala? E trasforma tutto in un lotto messo in vendita in un’asta costruita su un sistema basato sulla paura di mancare un’occasione di guadagno molto simile al meccanismo delle catene di Sant’Antonio? Uno dei principali laboratori di stampe londinesi sostiene che il 94% delle stampe viene venduto perché la gente vuole qualcosa di bello da appendere al muro, e quindi non entra mai in un mercato speculativo; al contrario, senza eccezioni, un NFT è uno strumento quasi unicamente finanziario nel momento stesso in cui nasce.
Tutti abbiamo ogni giorno sensazioni di paura, di incertezza o di dubbio. Il valore delle criptovalute si basa invece sulla convinzione che esse abbiano una forza tale da non lasciare spazio ad altro che alla positività. Questa positività, fatta di pacche sulle spalle, congratulazioni e saluti entusiasti, è incessante e crea dipendenza.
Il saluto “GM” (apparentemente solo l’abbreviazione di “good morning”) utilizzato dagli adepti è un modo rituale per sentirsi parte di una comunità, creando una mentalità “noi siamo diversi da loro, siamo noi quelli che stanno creando un nuovo mattino”. Farne parte significa andare verso la realizzazione del proprio potenziale, grazie alla propria conoscenza privilegiata della tecnologia e al proprio impegno per la causa. I non credenti vengono trattati con sorrisi accondiscendenti e commenti del tipo “rimani curioso” e “siamo qui per accoglierti non appena sarai pronto”. L’attrattiva è ovvia: chi non vuole sentire un flusso quotidiano di complimenti per il proprio lavoro, per quanto terribile possa essere?
Queste comunità parasociali – guidate dall’individualismo e dalla speculazione e avvolte dal caldo e tenero bagliore della creatività – sono resistenti alle critiche, riluttanti a contemplare la possibilità che il loro mercato sia costruito su fondamenta di sabbia e su una nozione immaginaria di valore che alla fine dovrà essere più che ridimensionata. Questo è il Web 3.0 e, a differenza del Web 2.0, le connessioni sociali non sono guidate dal desiderio di essere sociali, ma dal desiderio di vendere.
Cercare di convincere la comunità NFT che la criptovaluta non è un’utopia positiva è un compito impossibile, poiché la sua cultura spesso non lascia spazio alla discussione sugli innumerevoli problemi della criptovaluta. Un sostenitore ha spiegato la sua decisione deliberata di ignorare la miriade di difetti degli NFT in questo modo: “da 10 anni a questa parte non sono mai stato più felice, grazie agli NFT. Me li terrò ben stretti”.
Sotto questa patina di incessante ottimismo si nasconde un sistema in cui dilagano i furti e i riciclaggi, e in cui la quantità di violazioni del copyright è monumentale: fino all’80% di tutti gli NFT coniati su alcune piattaforme. Tutto questo è ben documentato, così come le innumerevoli altre attività criminali ed eticamente deplorevoli che hanno luogo ogni giorno. I difensori degli NFT sostengono che si tratta di cattivi soggetti che approfittano del sistema, dimenticando che questo sistema è stato progettato proprio per essere sfruttato.
Tempo fa l’esperto di nuove tecnologie Ed Zitron ha scritto un eccellente articolo che ha colto perfettamente molte preoccupazioni e frustrazioni sull’uso degli NFT. Senza dubbio, spiega, ci sono storie di successo di artisti che hanno guadagnato seriamente con la loro arte per la prima volta grazie al mercato delle NFT, e c’è una lunga lista di aspetti positivi. Tuttavia, scrive, “questi sono drammaticamente superati dai danni e dai rischi che queste tecnologie causano”.
Si tratta di un sistema costruito appositamente per sfruttare il prossimo, finanziato e controllato per definizione da persone estremamente ricche, che non prevede protezioni o strumenti per aiutare coloro che ne vengono danneggiati.
Negli anni ’60 Marshall McLuhan coniò una frase che ci ha aiutato a capire come funziona la comunicazione moderna: “Il medium è il messaggio”. La piattaforma attraverso la quale comunichiamo ha la stessa importanza – se non di più – del messaggio stesso, dando così forma a ciò che viene comunicato. Se il mezzo è una speculazione, una catena di Sant’Antonio (e lo è davvero), una sorta di religione, una frode dilagante, una manipolazione del mercato e un furto di opere di artisti su vasta scala, qual è il messaggio?
In questo mondo molte cose, arte compresa, si riducono a transazioni, strumenti di speculazione finanziaria basati sulla smania di guadagno. Gli NFT esistono solo per convincervi a convertire i vostri sudati dollari in una moneta magica che ha bisogno di tutti i babbei che riesce a trovare per poter crescere.
Articolo tradotto e adattato dalla redazione
A chi desiderasse approfondire l’argomento consigliamo il documentario “Line Goes Up – The Problem With NFTs” del regista Dan Olson, disponibile (in inglese) su YouTube
Nell’immagine: alcune delle vignette digitali della serie “Bored Ape Yacht Club”. Numerosi NFT collegati a queste immagini (di gusto quantomeno discutibile) sono stati venduti all’asta per importi da capogiro, fino all’equivalente di 3’408’000 dollari per un solo esemplare. Oggi il loro valore sul mercato degli NFT non supera le poche decine di migliaia di dollari.
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