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Di Matteo Castellucci, Linkiesta

Alla fine arriva Sergio. Dal Quirinale Mattarella ha alzato la cornetta per riportare la concordia nelle relazioni diplomatiche con l’Eliseo dopo il pasticciaccio sui migranti. Il presidenzialismo francese ha questo vantaggio, si sono sprecati i commenti, e cioè che il centralino è lo stesso: un’istituzione può piatire per conto dell’altra, come avvenuto per la mancata telefonata di Palazzo Chigi. Poliziotto buono, poliziotto cattivo.

La Francia per molti versi è un modello. Banalmente, lì non governano i populisti. I nostri hanno una evidentissima parte di demerito. Nella redistribuzione delle colpe (quella dei profughi, purtroppo, è un miraggio) sono azionisti di maggioranza: per l’interpretazione creativa del diritto del mare, per la sadica crudeltà di temporeggiare decine di giorni prima dello sbarco “selettivo”, quasi il criterio per concederlo fosse l’esaurimento dei viveri a bordo. Per aver scavalcato la controparte e forzato l’annuncio di un compromesso.

Hanno offerto a Emmanuel Macron un pretesto, anche a considerare quella di Parigi una overreaction. Siamo sicuri lo sia? Giorgia Meloni era volata a Bruxelles, folgorata sulla via del «ci vuole una gestione europea» e poi, alla prima occasione utile, la linea vetero-salviniana dei porti (semi)chiusi è costata all’Italia l’isolamento. Pare tramontata la suggestione di un fronte meridionale con Grecia, Cipro e Malta, specializzata nei respingimenti illegali.

Il Mediterraneo non ha l’esclusiva, sono risaliti i flussi lungo la rotta balcanica. Lo scontro con la Francia sul mare nostrum ha però permesso a Macron di sfogarsi in politica estera per nascondere i problemi domestici. Intrappolato in una maggioranza parlamentare relativa, è incalzato da Le Pen e Zemmour. Gli alleati teorici di Meloni sono in preda a un cortocircuito: plaudono la dottrina Piantedosi e al tempo stesso insorgono per le sue conseguenze.

È l’incomunicabilità degli egoismi nazionali. Che invece collimano nel vergognoso patto tra Francia e Regno Unito per impedire gli sbarchi Oltremanica. Downing Street ha accettato una tariffa al rialzo, settanta milioni di sterline contro i cinquantaquattro del 2021, per comparare un maggior dispiegamento di polizia frontaliera (più quaranta per cento), pattugliamenti congiunti con personale britannico, droni e nuovi sistemi di sorveglianza per impedire le partenze.

In pratica, Macron si fa pagare da Londra per fare il gendarme. Tratta l’Italia come la Gran Bretagna tratta lui. Manca solo un assegno. Poliziotto buono, poliziotto cattivo. Mentre Politico motteggia sulle affinità elettive con il neoprimo ministro inglese Rishi Sunak, l’accoglienza resta un problema europeo, nonostante i tentativi comunitari di esternalizzarla. Due degli ultimi casi: l’Austria non riesce a trovare alloggio alla sua quota di rifugiati, anche perché i governatori si oppongono; in Olanda il partito del premier Mark Rutte è l’unico a opporsi a una legge per dare fondi ai Comuni che ospitano migranti.

Sono i Piantedosi d’Europa. È un problema storico dei Paesi cosiddetti frugali, per l’austerity anche quando si tratta di salvare vite umane. Come dire: quella meloniana non è purtroppo un’anomalia. Pure la «bromance tra banchieri» di Macron e Sunak, che non hanno certo nomea di sovversivi, è nei fatti un blocco navale. Non nel Mediteranneo, nella Manica. Dove in passato sono morti ventisette migranti: i francesi non hanno ascoltato le richieste di soccorso, aspettavano che il barchino entrasse nelle acque territoriali britanniche.

È la più atroce esemplificazione dell’approccio degli Stati membri finora. Temporeggiare, finché qualcun altro non si farà carico del fardello. Ma così sarà sempre troppo tardi.

Nell’immagine: il campo migranti di Calais nel 2015 (Christian Payne, Flickr)






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