Elly Schlein: “Basta tartassare il lavoro, è ora di aumentare le imposte sulle rendite”
La leader Pd parla chiaro, non certo di vestiti o di armocromia: «Il decreto 1° maggio? Rende i lavoratori ricattabili e ruba il futuro ai giovani”
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La leader Pd parla chiaro, non certo di vestiti o di armocromia: «Il decreto 1° maggio? Rende i lavoratori ricattabili e ruba il futuro ai giovani”
Di Annalisa Cuzzocrea, La Stampa
Il primo maggio di Elly Schlein è a Portella della Ginestra, «perché quella strage è un simbolo della lotta di lavoratrici e lavoratori». Ieri era alla commemorazione dell’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, «persone il cui impegno continua a insegnarci qualcosa: una lotta non solo contro ogni mafia, ma per la giustizia sociale, l’emancipazione, il miglioramento delle condizioni materiali». La segretaria del Pd non vuole più dire una parola su vestiti, consigli e armocromie. Né vuole commentare le intrusioni nella sua vita privata, gli attacchi violenti che certa destra le ha riservato. Le interessa – piuttosto – il senso profondo di questa festa a partire da un posto come la Sicilia. «Se non arriva prima lo Stato a dare risposte a chi fa più fatica – dice a La Stampa, in questa sua prima intervista a tutto campo a un quotidiano – arriva la ricattabilità, e si insinuano le mafie».
Fin qui i simboli. Inattaccabili, potenti. Ma nella sostanza, che progetto ha il suo Pd per i lavoratori italiani?
«La prima questione è dire basta al lavoro povero e al lavoro precario. Ci sono milioni di lavoratrici e lavoratori che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. In Spagna hanno limitato i contratti a termine con un patto tra imprese e sindacati, la direzione è questa e avrebbero dovuto insegnarcelo anni di crisi economica e di tassi di disoccupazione allarmanti tra le donne e i giovani, soprattutto a Sud».
La lotta al precariato, invocata perfino dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appare destinata alla sconfitta in un’epoca in cui i lavori tendono a scomparire e la riconversione è obbligata.
«Ma c’è una prima battaglia fondamentale: quella di una nuova legge sulla rappresentanza che rafforzi la contrattazione collettiva e spazzi via il primo nemico, i contratti pirata, accordi firmati per legittimare lo sfruttamento. Accanto a questo, chiediamo di fissare un salario minimo, una soglia sotto la quale non si possa chiamare lavoro quel che è sfruttamento».
Qual è la soglia?
«La nostra proposta riconosce a tutti il trattamento economico complessivo dei contratti collettivi più rappresentativi e al contempo chiede di condividere con le parti sociali una soglia minima legale, 9 euro e 50, sulla quale siamo disponibili a un confronto».
Su questo sembrava potesse esserci un’intesa tra tutte le opposizioni, dall’Alleanza verdi-sinistra italiana passando per i 5 stelle fino ad Azione di Calenda, ma finora è emersa solo la competizione a chi l’ha detto prima o ha la proposta migliore. Ci sono ancora spazi per una battaglia comune?
«Assolutamente sì. I disegni di legge sono stati calendarizzati in Parlamento, i gruppi ci possono lavorare in commissione e continua a essere un tema su cui unire le forze».
Siamo un Paese dalle mille crisi industriali e con sempre meno salvagenti e la sinistra italiana non sembra attrezzata ad affrontare il problema. Il Pd è accusato di essere lontano dai luoghi del lavoro tradizionali come le fabbriche. La nostra ultima intervista, risalente a più di un anno fa, molto prima della sua corsa alle primarie del Pd, riguardava la battaglia delle lavoratrici della Saga Coffee. La questione tanto annosa quanto ineludibile è: come si torna a parlare agli operai, agli impiegati a mille euro al mese, agli ultimi della catena?
«Da vicepresidente dell’Emilia-Romagna ero lì, con loro, sull’Appennino bolognese, al fianco di una lotta che è durata molti giorni e molte notti e la lotta paga sempre. Servirà molto impegno per ricostruire fiducia dopo gli errori fatti, negli anni precedenti, anche dal Partito democratico».
A partire dal Jobs Act, che ha lacerato il Pd al suo stesso interno e che forse ancora lo divide.
«Si tratta di errori che hanno prodotto fratture con il mondo del lavoro, ma torniamo alla proposta: limite ai contratti a termine, legge sulla rappresentanza, salario minimo, poi abolizione degli stage gratuiti, una battaglia dei giovani democratici che ha il supporto di tutto il partito. Ho raccontato spesso di una giovane ingegnera della provincia bergamasca che nonostante una laurea molto professionalizzante ha dovuto mandare più di 200 curricula e la maggior parte delle offerte che le sono arrivate erano di stage gratuiti. Con quelli non ci paghi l’affitto. C’è una politica paternalista che prende in giro i giovani che non ce la fanno a uscire di casa senza considerare i salari troppo bassi, il lavoro troppo precario. Il governo ha cancellato anche i 330 milioni di supporto per gli affitti, che chiediamo di ripristinare perché il diritto alla casa è parte della stessa storia. E c’è un nesso anche con la denatalità, che la maggioranza a parole dice di voler combattere».
Perché a parole? Ci saranno anche nel decreto primo maggio nuove agevolazioni per chi ha figli.
«Perché se pensano che bastino gli incentivi fiscali, non hanno capito nulla. Come pensano di rispondere alle giovani generazioni che hanno contratti che durano uno o due mesi e non sanno se ce l’avranno il giorno dopo? Come possono pensare che basti uno sconto sulle tasse per metterli in condizione di non aver paura del futuro? È la precarietà a comprimere i consumi e pregiudicare la possibilità di avere una famiglia per chi la vuole. Aggiungo un altro tassello, c’è da scrivere le nuove tutele del lavoro digitale».
Su questo non sono stati gli stessi sindacati a restare indietro? Più attrezzati a difendere le tutele del lavoro novecentesco e invece inermi davanti all’algoritmo?
«C’è un ritardo, ma abbiamo visto passi avanti importanti nel tentativo di sindacalizzare impieghi costruiti per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri, per fare in modo che non si incontrino mai, che entrino solo in competizione. Non è accettabile che un rider nel 2023 esca di casa senza assicurazione, senza tutela della malattia, sfruttato a cottimo».
Cosa proponete?
«Che vengano rafforzati gli elementi di trasparenza degli algoritmi che dettano legge su quei lavoratori. In altri Paesi si è già cominciato a trattare. Perfino l’Unione europea ha votato perché ci sia la presunzione di un lavoro di tipo subordinato per i dipendenti delle piattaforme. E poi c’è la questione sicurezza, lo dico agli appassionati del tema che stanno al governo e che quando si tratta di sicurezza sul lavoro spariscono. Anche su questo si deve fare molto di più. Con investimenti in prevenzione, responsabilizzazione delle aziende, formazione dei lavoratori. Ci sono centinaia di idonei a fare gli ispettori che ancora aspettano di essere assunti».
Siete pronti a votare contro il decreto primo maggio, anche se conterrà tagli al cuneo fiscale e aiuti alle famiglie?
«Il decreto annunciato è una provocazione insopportabile. Ruba il futuro alle prossime generazioni ed è una sentenza di condanna alla precarietà. Il taglio del cuneo è nettamente insufficiente, se pensiamo che nel primo trimestre di quest’anno l’inflazione ha superato di ben 7 punti l’aumento delle retribuzioni. Si parla di estendere i voucher e liberalizzare i contratti a termine, è l’esatto contrario di ciò che serve. Si dà anche la possibilità di derogare alla contrattazione con accordi tra le parti: ma non ci sono parti alla pari tra chi può offrire lavoro e chi ne ha bisogno. Con questo decreto i lavoratori saranno più ricattabili. E aggiungo che la convocazione dei sindacati la sera prima, mettendoli davanti a decisioni già prese, è un affronto ai lavoratori e alle lavoratrici».
Giorgia Meloni ha detto: “Vogliamo onorare in questo giorno di festa i lavoratori e le risposte che attendono”.
«Ma non ci sono risposte. Servirebbe una vera riduzione delle tasse sul lavoro che non può che avvenire attraverso un tabù della destra: il riequilibrio della distribuzione del prelievo fiscale complessivo e una vera lotta all’evasione. Il governo, aumentando la soglia del contante, strizzando l’occhio a chi evade con i condoni, sta facendo il contrario. Hanno fatto interventi, penso all’estensione della flat tax per gli autonomi, che calpestano il principio dell’equità orizzontale. A parità di reddito hai lavoratori dipendenti e pensionati tassati oltre i 40 per cento e autonomi al 15».
I dipendenti hanno tutele che gli autonomi devono pagarsi.
«Noi proponiamo un approccio di tutele universali, a partire dagli ammortizzatori sociali che devono valere anche per gli autonomi, come il Pd ha ottenuto per l’assegno unico per i figli. I lavoratori non vanno messi gli uni contro gli altri, è la cosa che la destra sa fare meglio. Mentre non fa nulla sulle rendite finanziarie e immobiliari, che sono tassate meno di chi lavora o fa impresa».
Ha ragione il segretario della Cisl Sbarra, servono nuove tasse sulle rendite finanziarie? O questo è diventato un tabù non solo della destra, ma anche della sinistra?
«Serve una redistribuzione perché se pensiamo a quando è nata l’Irpef c’erano 32 scaglioni. Si sono ridotti a 4, il sistema si è già appiattito abbastanza, ma ogni appiattimento lo pagano sempre le fasce più povere e le classi medie. L’idea di abbassare le tasse a tutti nasconde la volontà di abbassarle ai ricchi facendo mancare le risorse e i servizi ai poveri».
È quello che sta accadendo sulla revisione del reddito di cittadinanza o serviva una riforma che distingue gli inoccupabili da chi un lavoro può trovarlo e magari – incentivato dall’assegno – non lo cerca adeguatamente?
«C’è una ferita aperta nel Paese destinata ad aumentare. Abbiamo avuto un incontro con la Caritas e una rete di associazioni che si stanno occupando sul campo del sostegno alle persone più povere e ci hanno raccontato della paura diffusa rispetto al venir meno dell’unico strumento di sostegno al reddito che questo Paese si è dato. Sicuramente si poteva migliorare, dal punto di vista delle politiche attive e poi seguendo le indicazioni fornite dalla commissione guidata da Chiara Saraceno, ma in un Paese come l’Italia non si può negare uno strumento di sostegno al reddito che – lo dice l’Istat – ha impedito a un milione di persone in più di scivolare verso la povertà assoluta nel periodo della pandemia. Il governo riduce drasticamente le risorse contro la povertà».
Povertà assoluta che è in aumento.
«Oggi in Italia quasi una persona su dieci è povera e davanti a questo il governo di Giorgia Meloni ha come priorità fare uno spezzatino del reddito di cittadinanza per piantare bandierine ideologiche negli occhi delle fasce più fragili. Come sempre, la destra pensa a contrastare i poveri, non la povertà. Che ritiene una colpa individuale e non il risultato di profonde cause sociali e di politiche da cambiare. Mi chiedo in che Paese vivano. Con un Def che taglia su sanità, scuola e welfare. Con l’incapacità di portare avanti i progetti del Pnrr che servirebbero cambiare e fare ripartire questo Paese. Sono quelli che mentre parlano di denatalità, mettono in discussione la realizzazione di asili nido fondamentali per contrastare le diseguaglianze e per evitare che il carico di cura continui a pesare sulle spalle delle donne».
In Italia per la prima volta una donna guida il principale partito di governo e un’altra il principale partito di opposizione. Eppure, non riesce a crearsi una minima alleanza virtuosa che ci faccia uscire da quell’indecoroso ultimo posto in Europa, Grecia a parte, in quanto a occupazione femminile. L’opposizione potrebbe fare di più in questo senso?
«Durante il question time con la premier ho proposto il congedo paritario, come hanno fatto in Spagna, tre mesi pienamente retribuiti non trasferibili tra genitori. Serve a redistribuire il carico di cura e a incentivare il lavoro femminile più di qualsiasi sgravio. Se ne vogliono discutere siamo qui, lo possiamo fare e approvare anche abbastanza in fretta. Loro per ora, grazie alla manovra e all’intervento su opzione donna, hanno solo saputo lasciare 20mila esodate che stanno ancora aspettando di poter andare in pensione».
Un Pd che ha abbandonato la strada del Jobs Act e che è considerato più radicale e più “di sinistra”, è in grado di cercare un’alleanza virtuosa con le imprese e con l’industria?
«Stiamo incontrando le organizzazioni datoriali. Su una serie di punti c’è convergenza, su altri chiaramente ci sono idee diverse, ma è un confronto che vogliamo consolidare perché ci sono obiettivi comuni del Paese che vanno portati avanti insieme. Penso a un grande piano industriale di conversione ecologica e trasformazione digitale, a partire dal Pnrr, con investimenti che riducano le emissioni. Penso alle politiche per favorire la creazione di lavoro di qualità, perché come ha detto il presidente Mattarella il precariato stride con gli obiettivi della crescita e per questo è il primo problema da affrontare».
Come risponde a chi la ritiene rappresentante di un ambientalismo radicale e quindi pericoloso?
«Sono radicali le aziende di Elettricità futura che chiedono spesso inascoltate di essere mese in condizione di investire 320 miliardi da qui al 2030 per creare nuova energia rinnovabile, creando secondo le loro stime 540mila posti di lavoro? Sono radicali le comunità energetiche grazie alle quali si otterrebbe il doppio risultato di ridurre le emissioni e dimezzare le bollette?».
Forse si tratta di capire cosa si può fare subito e su cosa bisogna andare per gradi, come per le auto o il termovalorizzatore a Roma.
«Stiamo perdendo talmente tanto a fare questo dibattito in Italia che all’estero il settore dell’automotive si sta già attrezzando e la riconversione ecologica, con la riprofessionalizzazione e la creazione di nuove competenze, è già realtà. Suggerisco che l’Italia abbandoni il ruolo di quella che chiede sempre proroghe e che invece si chiedano le maggiori risorse che servono per accompagnare le nostre imprese alla decarbonizzazione e per efficientare il nostro patrimonio di edilizia pubblica e privata dal punto di vista energetico».
L’ha delusa l’atteggiamento di competizione del M5S di Giuseppe Conte, che definisce il Pd un partito di potere?
«Posso dire che noi continuiamo a sentire il bisogno, dopo la sconfitta di settembre e delle ultime regionali, di provare a unire le forze nelle nostre differenze sui terreni di battaglia comune: la difesa della sanità pubblica, il contrasto al progetto Calderoli di autonomia differenziata, la scuola pubblica, il salario minimo, la conversione ecologica. Noi continueremo su questa strada perché è chiaro che se mettiamo avanti i temi su cui non siamo d’accordo, manchiamo alla responsabilità che abbiamo verso chi ci vota di costruire in prospettiva un’alternativa alle destre, che ogni giorno peggiorano le condizioni di vita materiali delle persone. Alle amministrative stiamo facendo il possibile per costruire alleanze a partire da un progetto. Lo faremo in Molise e ne siamo felici perché possiamo vincere e portare un cambiamento».
Con i 5 stelle restate divisi sulla questione della guerra in Ucraina. Lei dice sì alla difesa del popolo ucraino, ma no a un aumento della spesa militare, anche se oggi ci sono oggettivamente nuovi pericoli.
«Da quando è scoppiata l’invasione criminale di Putin nei confronti dell’Ucraina abbiamo sempre tenuto la stessa posizione: è giusto sostenere il diritto alla difesa del popolo ucraino. Mi convince meno infilare in questo dibattito la questione dell’aumento lineare della spesa militare in tutti i Paesi europei perché io sono una federalista europea convinta: penso che serva una difesa comune e che la si farà soltanto se i governi avranno la volontà politica di condividere le competenze e gli investimenti su un settore di cui sono molto gelosi. La strada non è aumentare la spesa militare di ogni singolo paese europeo, ma risparmiare facendo insieme ricerca e investimenti».
Da quando è segretaria ci sono stati tre addii nel Pd. Una parte dei cattolici del partito sono a disagio davanti alle sue parole sulla gestazione per altri, che non la vede contraria. C’è il rischio di un Pd che perde completamente la sua ala di centro e lasci indietro anche pezzi di elettorato? Lavorerà per evitarlo?
«Si tratta di scelte individuali che comunque dispiacciono, si vede che si sentivano più vicini ai partiti di Renzi e Berlusconi. Il Pd ha appena fatto un congresso che ci ha dato un mandato preciso: tenere insieme la comunità democratica, continuare a curarne il pluralismo, ma non rinunciare più a una direzione chiara. Credo sia per questo che tante persone stanno tornando e più di 20mila si sono iscritte per la prima volta».
Quindi?
«Quindi lavoreremo per valorizzare tutte le culture fondative. Dal mondo cattolico, anche fuori dalla politica, si sta alzando una forte voce di opposizione a quel che il governo sta facendo contro le persone migranti e contro i poveri. C’è un terreno comune».
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