Quanto è difficile difendere la dignità del proprio lavoro
Oggi la giornata di mobilitazione dei dipendenti pubblici contro il taglio delle pensioni
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Oggi la giornata di mobilitazione dei dipendenti pubblici contro il taglio delle pensioni
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Oggi la giornata di mobilitazione dei dipendenti pubblici contro il taglio delle pensioni
Diciassettemila dipendenti (vogliamo aggiungere, forse, considerando i nuclei famigliari, 35-40 mila persone), sono toccate/i dalle previste misure di riduzione del tasso di conversione che porterà ad una riduzione delle pensioni per gli affiliati all’IPCT, l’Istituto di Previdenza del Cantone Ticino.
Si sta parlando di una parte molto consistente di lavoratrici e lavoratori che operano a vario titolo nel settore della scuola, negli uffici statali e parastatali, nel settore dei servizi, che con una prima riforma risalente a solo 11 anni fa, già si erano visti ridurre lo stesso tasso di conversione con il risultato di dover accettare una riduzione del contributo pensionistico del 20%.
Ora ci si trova di fronte ad un altro 20% previsto nel giro di due o tre anni, in modo che, come ribadisce un comunicato diffuso dai promotori della mobilitazione, “un/a impiegato/a a tempo pieno con un salario di 6’250 franchi al mese prima della riforma del 2012 aveva la prospettiva di una rendita mensile di 3’021 fr; poi, con la riforma del 2012, tale futura rendita era diminuita a 2’417 fr. e con l’attuale proposta di diminuzione si profila una rendita futura di 1’959 franchi al mese. In dieci anni una perdita di oltre 1’000 fr. al mese.”
Una mobilitazione, dunque, che si fonda su dati specifici e concreti, che toccano da vicino la situazione di numerosissime famiglie del nostro Cantone e che invoca perlomeno il ricorso ad una forma di compensazione che per ora Governo e Parlamento (che sono poi i datori di lavoro) attraverso il Consiglio di amministrazione dell’IPCT non sembrano voler adeguatamente considerare. Perché, si sa, siamo in tempi di magra e a livello cantonale come a livello federale le pensioni sono un bersaglio facile e privilegiato per “risparmiare”. A maggior ragione se poi, come avviene dalle nostre parti, si attribuisce a chi viene colpito da queste misure, la patente di “privilegiato”.
Su questo tipo di narrazione si è fondata, una volta ancora, la sequela di minacciose argomentazioni sciorinata sulla prima e sulla seconda pagina del “Mattino” di domenica scorsa, secondo cui a manifestare sono soltanto i docenti, tendenzialmente tutti di sinistra, che lo fanno “pro-saccoccia”, per salvaguardare il proprio status salariale (e sociale) di benemeriti fannulloni pieni di vacanze e giornate libere. Insomma, una tiritera vecchia come il cucco, qualunquistica quanto mai, recitata fra l’altro da chi a Lugano è responsabile del dicastero “formazione, sostegno e socialità” e sovrintende agli istituti scolastici comunali. Il campione della difesa del “ceto medio”, per intenderci, che in questo caso non viene evocato perché i “maestri” si sa, sono anzitutto e sostanzialmente una “casta di fanigottoni”.
Non se ne può davvero più di queste tristi manifestazioni di beceraggine politica e culturale. Il settore pubblico mobilitato, prima di tutto non è solo fatto di insegnanti, anzi; nella lettera aperta al Consiglio di Stato della “Rete per la difesa delle pensioni” (si veda “La Regione” di ieri) si ricorda e sottolinea opportunamente che si sta parlando (ed è bene ribadirlo) di chi, nonostante tutto, ha continuato a svolgere con impegno il proprio lavoro, nelle aule, sì, ma anche continuando a pulire uffici e corridoi, pattugliando le strade, prendendosi cura di anziani e malati; ma se vogliamo proprio restare alla scuola, varrebbe allora la pena di approfondire (con cognizione di causa, se possibile) cosa significhi, (oggi più di ieri e meno di domani) fare l’insegnante, maestro, sore, docente di sostegno, e via andare, in un contesto socialmente tanto complesso come quello attuale.
Certo, la scuola, se si impugnano reiteratamente i mantra consunti del suo essere un covo di privilegi e privilegiati, diventa facile bersaglio, oggi con la derisione della mobilitazione per la salvaguardia di una pensione dignitosa, domani come campo di battaglia delle draconiane e improponibili misure di risparmio del “decreto Morisoli”. Le prime avvisaglie sono lì, dietro l’angolo, ed annunciano sin d’ora che si tratterà di combattere strenuamente per difendere docenti ed istituti pubblici da una deregolamentazione (salariale) tesa a privilegiare il “privato” (ed il pullulare di istituti “alternativi” di vario genere, cui iscrivere i propri figli “a pagamento”, ma modico, per carità, perché i docenti, lì, costeranno molto meno).
La mobilitazione odierna, insomma, potrebbe dirci anche questo: ci si sta battendo per il riconoscimento sacrosanto delle pensioni, certo, ma, se ci si focalizza in particolare sulla scuola, anche per qualcosa di più, o di diverso: per un modello di società e socialità che sappia ribadire a pieno titolo il ruolo centrale di chi forma ed insegna e che lo metta nelle condizioni di farlo. È semplicemente qualcosa che ha a che fare con l’idea di democrazia.
Nell’immagine: fotografia dal sito della Rete per la Difesa delle Pensioni
Dal volume appena pubblicato dalla Fondazione Pellegrini Canevascini per i centro anni della presenza socialista nel governo ticinese, un capitolo di particolare attualità...
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