La “colpa” di essere poveri e stranieri è un po’ più tollerata
Una recente decisione dell’Ufficio cantonale della migrazione concede che uno straniero nato e cresciuto in Ticino può restarci anche se povero
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Una recente decisione dell’Ufficio cantonale della migrazione concede che uno straniero nato e cresciuto in Ticino può restarci anche se povero
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Una recente decisione dell’Ufficio cantonale della migrazione concede che uno straniero nato e cresciuto in Ticino può restarci anche se povero
Sono solo un paio di righe all’interno di una decisione dipartimentale di cinque pagine, indirizzata negli scorsi giorni ad A. S. [vedi nota] circa il rilascio di un permesso di domicilio e/o di dimora; due righe che mi hanno strappato un sorriso. Uno di quelli belli ed appaganti: quelli che sgorgano dal cuore.
Perché quelle due righe dicono che la leggerezza con la quale l’Ufficio della migrazione ticinese revoca i permessi di domicilio anche ai cittadini stranieri nati e cresciuti in Ticino (ventilandone senza troppi giri di parole pure l’allontanamento dalla Svizzera), ha trovato un argine. Chi lo abbia innalzato non lo so. Forse gli avvocati di chi ha deciso di inoltrare ricorso contro la revoca del permesso, oppure direttamente la Segreteria di Stato della migrazione che, pur nel rispetto dell’autonomia cantonale, non ama oltre misura un’applicazione muscolare del diritto.
Fatto sta che dopo più di un anno di permessi revocati, con uomini e donne nati e cresciuti in Ticino minacciati di allontanamento in considerazione delle difficoltà finanziarie che hanno incontrato nella loro vita, obbligandoli a chiedere l’assistenza sociale, qualcosa è cambiato. Radicalmente.
Così, per una vedova che sbarca il lunario con la rendita di vedovanza e alcuni lavoretti a tempo parziale, l’Ufficio della migrazione, dopo aver elencato tutti, ma proprio tutti, i motivi per i quali non le avrebbe potuto rilasciare il permesso di domicilio e neppure quello di dimora, sottolinea che “ciononostante” quella stessa donna soddisfa i requisiti per ottenere un permesso di dimora “quale caso particolarmente grave” e “previa approvazione della Segreteria di Stato della migrazione”. E il suo caso è particolarmente grave perché, spiega l’Ufficio della migrazione, “ha trascorso la maggior parte della sua vita in Svizzera, dove tutt’oggi risiedono i suoi figli e i suoi parenti più stretti”.
Insomma, questa volta l’Ufficio della migrazione riconosce (sarei però tentato di scrivere: è obbligato a riconoscere…) che chi è nato e cresciuto in Ticino, chi ha genitori, mogli, mariti, figli, figlie, fratelli e sorelle in Ticino, anche se è al beneficio dell’assistenza oppure “non può essere considerato un lavoratore” (come ama sottolineare sin troppo spesso proprio l’Ufficio della migrazione quando revoca i permessi), ha intrecciato un legame quasi indissolubile con il Cantone. Un legame che ne giustifica la permanenza qui. Un legame che finora gli unici a non vedere sono stati i funzionari del dipartimento. Spesso dimentichi che i cittadini stranieri, oltre che dei doveri, hanno pure dei diritti.
A pensarci bene però, è comunque inquietante constatare che per arginare la sua stessa applicazione muscolosa del diritto, l’Ufficio della migrazione cantonale sia stato obbligato a considerare “caso particolarmente grave” quello di una persona nata e cresciuta in Ticino e perfettamente integrata. Perché, al di là di ogni ragionevole dubbio, significa che per certi funzionari ticinesi la povertà degli stranieri è una colpa che deve essere punita con l’allontanamento dalla Svizzera. Nulla di più e nulla di meno.
Il nome della persona in questione, ed il relativo caso, sono a conoscenza dell’autore e della redazione
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