Quella politica e quei governanti che pascolano nelle contraddizioni
Quando si vogliono mettere assieme la crescita economica (e del Pil) con il taglio delle spese che incide sul potere d’acquisto, per poi sorprendersi che qualcosa non quadra
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Quando si vogliono mettere assieme la crescita economica (e del Pil) con il taglio delle spese che incide sul potere d’acquisto, per poi sorprendersi che qualcosa non quadra
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Quando si vogliono mettere assieme la crescita economica (e del Pil) con il taglio delle spese che incide sul potere d’acquisto, per poi sorprendersi che qualcosa non quadra
Prendiamo gli ultimi dati che riguardano il prodotto interno lordo o, per semplificare, la crescita economica svizzera (se ne è già parlato in questa sede in alcuni interventi del professor Sergio Rossi). Un poco si gioisce e quasi ci si vanta perché, nonostante tutto e nonostante il clima internazionale, si riesce ancora a crescere di qualcosa, oltre le previsioni. Non è che quelle piccole percentuali che si muovono attorno allo zero-più dicano un gran che al cittadino comune. Se ne descrivono allora i motivi. E sono sostanzialmente due: i consumi privati che hanno tenuto (sono persino aumentati); le spese dello Stato che hanno riattivato e incrementato.
Se ci addentriamo appena appena in quei due motivi, osserviamo che significano: primo, che il potere d’acquisto, nonostante l’inflazione ritornata, ha ancora retto e mantenuto e persino accresciuta la domanda; secondo, che la spesa o gli investimenti dello Stato, nonostante squilibri, ricorso al credito, indebitamento (o contabilità a partita semplice: entrate / uscite, che è poi la contabilità tutta volta al passato e non al futuro, com’è perlomeno la contabilità a partita doppia), ci sono stati, con incremento della domanda (di beni) e offerta (di lavoro).
Ma non solo: sia un fattore (consumo) che l’altro (spesa pubblica) sono stati essenziali, determinanti in quella percentuale di crescita economica che c’è stata, supplendo tra l’altro (specie lo Stato) ai minori investimenti operati dalle aziende e quindi dall’economia privata (proprio quella che, paradossalmente, pretende sempre rigidi bilanci statali, per il terrore delle tasse, ma anche più incentivi o sgravi quando la situazione economica stagna).
Ed è appunto qui che, a danno di tutti, si contraddicono i governi (federale e cantonale) e i politici (quelli che ora dettano l’agenda politica). Perché da un lato mozzano la testa al potere d’acquisto e quindi alla domanda interna, al consumo (non promovendo una corretta giustizia salariale, non riconoscendo l’indicizzazione dei salari al carovita o altri interventi di ridistribuzione dei redditi o, fiscalmente, della ricchezza), incentivano la povertà (reddito insufficiente) e creano la necessità di ricorso all’assistenza sociale. D’altro lato limitano, persino in settori cruciali, il classico effetto moltiplicatore della spesa o degli investimenti pubblici (ed è emblematico che nel Ticino, sempre altamente dipendente dal mattone, i primi a lamentarsene siano gli impresari costruttori). Non sembra allora, tutto questo, una triste presa in giro o la suprema contraddizione di ciò che si finge di essere e volere per motivi di bottega partitica?
Alle volte si sente sostenere (dai neoliberisti): non ci può essere protezione sociale senza crescita economica. È vero il contrario. Non ha senso ed è contradditorio cercare di legare tra loro crescita e sicurezza sociale, con la ghigliottina del bilancio e la scelta, comoda e ritenuta pressoché ovvia, di corrodere i diritti sociali per mantenere il sistema nella traiettoria della rigidità finanziaria o della parità di bilancio, decretata come una sentenza di vita o di morte.
Innanzitutto perché, per paradossale che possa sembrare, la protezione sociale è indissociabile dal modello economico da cui è scaturita: essa, bene o male, è un prodotto della società produttivistica, resasi necessaria nell’interesse proprio per i rischi ch’essa comporta (disoccupazione, infortuni, malattie professionali, coesione sociale ecc.) e perché essa ha pure contribuito largamente a consolidare gli stessi obiettivi di efficienza e di stabilità che vuole l’economia (e che, è vero, condizionano d’altronde il suo finanziamento).
In secondo luogo, perché anche la protezione sociale è direttamene collegata ai rischi ambientali e alle ineguaglianze che si creano, sia dal punto di vista socioeconomico, sia dal punto di vista della salute: come infatti non collegare queste ineguaglianze all’ambizione di una “esistenza decente” e (come ha scritto qui qualcuno) alla lotta contro una distinzione ingiustificabile e inaccettabile delle classi?
È quindi giusto e opportuno non lasciar pascolare governanti e politici nelle loro contraddizioni.
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