Roe vs Wade, vita e contraddizioni della donna che ha dato suo malgrado il nome alla sentenza
Una barista del Texas in mezzo alla battaglia fra pro e anti abortisti
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Una barista del Texas in mezzo alla battaglia fra pro e anti abortisti
Prima del caso “Roe vs. Wade” l’interruzione di gravidanza non era regolata a livello federale, perciò ogni Stato americano aveva una propria legislazione in merito all’aborto. In 30 Stati era considerato un reato. In 13 era legale in caso di pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali. In 3 era legale solo in caso di stupro e di pericolo per la donna. In soli 4 Stati l’unico requisito legale era la richiesta della donna.
Nel 1967 la legislatura della California ha emanato una legge sull’aborto terapeutico, il California Therapeutic Abortion Act. Diveniva così il terzo stato del paese nel giro di un anno a rivedere la legislazione sull’aborto, che era rimasta invariata per quasi un secolo. Los Angeles divenne un porto sicuro per tutte le donne americane che avevano intenzione di abortire, a tal punto che il volo Dallas-Los Angeles era conosciuto come “the abortion special”.
Una storia contemporanea a quella più nota di Jane Roe è quella di Shirley Wheeler, che nel 1971 fu condannata per omicidio colposo per aver abortito illegalmente. I medici dell’ospedale in Florida l’avevano denunciata alle autorità e il suo rappresentò il primo caso in cui una donna veniva condannata penalmente per un’interruzione di gravidanza. Gruppi di attiviste come Boston Women’s Abortion Coalition e Women’s National abortion Action Coalition portarono il caso nel dibattito pubblico, ottenendo la revoca della condanna dalla Corte Suprema della Florida.
In un’atmosfera in cui era tangibile la volontà di cambiare le cose, quella che ci interessa maggiormente è la storia di una donna, conosciuta come Jane Roe, il cui vero nome era Norma McCorvey.
Nel 1969 Norma McCorvey aveva 22 anni e una gravidanza non desiderata. La sua infanzia, prima in Louisiana e poi in Texas, è stata segnata dalla separazione dei suoi genitori, situazione che la porta ad abbandonare gli studi e lavorare come barista a soli 10 anni. Vittima di abusi e infelice, scappa di casa e a 16 anni sposa Woody McCorvey, il primo di una serie di amanti padre della prima figlia Melissa e uomo violento. Il suo matrimonio non dura molto e Norma decide di affidare Melissa a sua madre. La sua non è mai stata una vita stabile e prendersi cura di un altro essere umano non era sua volontà, perciò anche il suo secondo figlio è stato dato in adozione.
La sua infelicità finisce per affondare nel consumo di alcol e droghe e in una spasmodica ricerca dell’amore in amanti occasionali, molto più spesso donne che uomini. Quando rimase incinta per la terza volta, Norma era intenzionata ad abortire. Secondo una ricostruzione postuma dei fatti pare che le sia stato suggerito di mentire e di affermare di essere stata stuprata. La menzogna era giustificata dalla legislazione del Texas, che consentiva l’aborto solo in caso di stupro e incesto. Le prove della violenza erano però inesistenti e questo non le ha permesso di vincere la causa.
Subentrano due figure dall’importanza cruciale in questa storia, due avvocate, Sarah Weddington e Linda Coffee, consapevoli che Norma avesse mentito, ma decise a lottare per la causa. Presentano ricorso alla Corte distrettuale del Texas per sostenere una causa allo scopo di lasciare libertà di scelta ad ogni donna. Il procuratore distrettuale di Dallas, Henry Wade, era stato chiamato a rappresentare lo Stato del Texas contro Jane Roe, pseudonimo adottato per tutelare la privacy di Norma.
Wade era già famoso per aver partecipato ad un altro caso giuridico statunitense tra i più importanti del XX secolo: l’accusa di Jack Ruby per l’omicidio di Lee Harvey Oswald, accusato a sua volta di aver assassinato di John Fitzgerald Kennedy.
La Corte distrettuale appoggia Roe dando un’interpretazione del XIX emendamento, secondo cui l’elenco dei diritti individuali può essere integrato da altri diritti non specificamente menzionati nella Costituzione. Wade non si arrende e presenta ricorso in appello alla Corte Suprema.
Quando il voto di 7 giudici contro 2 ha dato completa ragione a Jane Roe nel 1973, suo figlio aveva due anni e mezzo ed era stato dato in adozione. La vittoria si basava su una nuova interpretazione del XIV emendamento, riguardo il diritto alla privacy letto come diritto di prendere decisioni riguardanti la propria persona senza che lo Stato possa interagire nei suoi confronti.
Le decisioni della Corte Suprema in quell’occasione hanno creato un precedente per ogni decisione su questioni simili in futuro secondo la common law, modello dell’ordinamento giuridico americano. La sentenza “Roe vs. Wade” ha rappresentato un grande traguardo nella lotta alla libertà di aborto, tanto da condizionare la legislazione di 46 stati su 50.
La libertà di interrompere una gravidanza è diventato un diritto costituzionale, inviolabile e collocato fuori dal controllo dei legislatori democraticamente eletti, incluso quelli federali.
Dopo la sentenza, l’aborto non fu però legalizzato in assoluto. Nel 1992 fu integrata dal caso Planned Parenthood vs. Casey, in cui la Corte enunciò due principi da rispettare. Secondo il primo, l’aborto era possibile per qualsiasi ragione, ma solo fino al momento in cui il feto non fosse stato in grado di sopravvivere fuori dall’utero materno, quindi entro i sette mesi di gravidanza. Il secondo stabiliva che la donna poteva decidere di abortire anche successivamente, in caso di pericoli per la sua salute.
La sentenza “Roe vs. Made” ha influenzato la politica nazionale statunitense, scindendo il paese tra pro-Roe, a favore della libertà di abortire, e pro-Wade, contro l’aborto, ispirando gruppi di attivisti da entrambi i lati.
Jane Roe, con la spinta dell’avvocata Gloria Allred, diventa una paladina della causa femminista e abortista. Considerata “l’attivista accidentale”, il suo pseudonimo è stato abusato a fini ideologici, mentre Norma McCorvey cadeva sempre più nella sua tossicodipendenza.
Diversi anni dopo la sentenza, Norma ha affermato di essere stata ingannata dai suoi avvocati e di essere stata utilizzata come capro espiatorio. La sua sola volontà era di interrompere una gravidanza, ma la lunghezza del processo lo rese impossibile. Dopo la vittoria, Roe ha lavorato in una clinica pro-aborto, ma per lei era diventato troppo doloroso e le sue opinioni cambiarono radicalmente.
La sua storia Norma l’ha scritta in due libri, ma anche le sue stesse parole sono contrastanti e rendono difficile la comprensione reale dei fatti. Le sue testimonianze, però, possono dirci qualcosa: “Ero seduta in un ufficio, quando notai un poster che mostrava lo sviluppo fetale. La crescita del feto era così evidente, gli occhi erano così dolci! Il mio cuore mi faceva male solo a guardarli. Corsi fuori dalla stanza e mi dissi: Norma, hanno ragione. Qualcosa in quel poster mi fece mancare il respiro. Continuavo a vedere l’immagine di quel piccolo embrione di dieci settimane, e non potei fare a meno di dire: questo è un bambino! Fu come se un paraocchi mi fosse caduto. Mi sentii schiacciata. Si trattava di bambini uccisi nel grembo della madre. In tutti quegli anni mi ero sbagliata. Tutto il mio lavoro nella clinica abortista era sbagliato. Divenne chiaro, dolorosamente chiaro”.
Nella testa di Norma tutto si capovolge. Nel 1995 si avvicina a Flip Benham, pastore e attivista pro-life a capo dell’organizzazione antiabortista Operation Rescue, ammaliata dalla dedizione con cui difendeva la vita. Si converte al cristianesimo evangelico, rinunciando alla sua omosessualità, e viene battezzata davanti alle telecamere. Nell’autobiografia Won by Love racconta anche di essere tornata di fronte alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America per chiedere il ritiro della sentenza del 1973. Un cambio di rotta decisamente drastico, tanto da scrivere una lettera a Nelson Mandela in cui lo pregava di non firmare il documento che avrebbe legalizzato l’aborto in Sudafrica.
Le versioni della storia sono molte, e in una di queste sembra che durante la confessione sul letto di morte, nel 2017, registrata in un documentario, abbia affermato di non credere più nella visione sostenuta fino a quel momento e che l’organizzazione religiosa l’aveva pagata una somma di denaro per comportarsi come un’attivista pro-vita. Quale sia davvero stata la posizione di Norma è un mistero, ma ciò che sappiamo è che grazie a Jane Roe le donne americane hanno avuto la possibilità in questi anni di poter decidere liberamente del proprio futuro.
Nell’immagine: Norma McCorvey strappa una stampa della sentenza Roe Vs. Wade fuori dal Campidoglio del Mississippi durante una protesta anti-aborto a Jackson, Mississippi, 18 luglio 2006
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