Rudy, Chaïm e l’Amedeo, e un tardivo contropelo
Locarno alle prese con la gestione della politica culturale, tra ignoranza e disinteresse
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Locarno alle prese con la gestione della politica culturale, tra ignoranza e disinteresse
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Locarno alle prese con la gestione della politica culturale, tra ignoranza e disinteresse
Lo vidi spesso, a casa dell’ispido Alborghetti. Il volto di Chaïm Soutine emergeva come illuminato dalle tonalità dei marroni e dei bruciati, appeso in quella Wunderkammer un po’ gipsy, tra un enorme e miracoloso crocifisso ligneo, dipinti dell’informale lombardo-ticinese e carabattole accumulate compulsivamente. A me pareva mica male: ma era del maledetto livornese, dell’Amedeo, quel quadro? Lui, l’Alborghetti, ne era sicuro, sicurissimo; e lo diceva alto e forte, dietro la cortina fumogena del suo toscano. Non lo scoraggiavano gli sdegnati e reiterati rifiuti che da anni riceveva da esperti di ogni dove, interpellati per tentare invano di confermare il suo sogno. Cercammo di aiutarlo, per cortesia ma senza troppa convinzione. Il quadro era morto, senza speranza, destinato a nutrire il risentimento del Guido, e a rimanere appeso lì storto, in quella modesta casetta di paese, in mezzo ai relitti di una vita. A un certo punto, immagino, anche l’Alborghetti cessò di essere convinto della sua battaglia e (complice, forse, l’amata Thailandia e le sue sirene) vendette il quadro al Pedro penso in mezzadria con il Chiappini, per un prezzo incongruo (poco o nulla per un originale, troppo per un falso). Il dubbio di molti è che l’operazione imbastita (meglio: cousue de fil blanc, dicono i francesi) dai due fu di accreditare l’opera come autografa di Modigliani attraverso il circuito mercantile tra musei, mostre e cataloghi, insomma in una sorta di processo di autocertificazione per interposto mercato; e di venderla come buona, come magari è, anche se non vi è uno straccio di esperto vero che lo certifichi, e ora meno che mai. Il tutto contando sulla force de frappe di Chiappini come organizzatore di mostre (di Modigliani), e con buona pace del conflitto di interessi. L’operazione non riuscì per un nonnulla, e tutto adesso è in mano ai magistrati penali, e agli avvocati, in margine a una mostra genovese con falsi in cerca di catarsi e di autografia.
Dopo anni trascorsi a Lugano a organizzare mostre di grande richiamo (ci fu qualche chiacchiera a proposito delle scelte espositive poco comprensibili e di una mostra di Sutherland, e della gestione del suo fondo; ma senza seguito), Chiappini torna a Locarno dopo anni per gestire – tra l’altro – la politica artistica della città; contatti buoni, soprattutto con l’editoria d’arte, gli permettono di organizzare un programma non indegno, senza però una vera linea, un po’ vittima della casualità degli incontri e di qualche strategia di mercato. E poi si fa i fatti suoi, perché no?
Alla politica locarnese non sembra vero di potersi togliere dal tavolo una rogna, quella della gestione degli spazi museali, e della cultura in generale, affidando tutto all’enfant du pays che tornava a casa onusto di gloria (almeno così ritennero, o vollero ritenere) e dandogli le chiavi dell’arte in città, e carta bianca per farne quello che voleva. Gli è che nessuno né capiva né voleva capire nulla di queste cose; anzi, era tutto un fastidio e ogni giorno benedicevano la fortuna che aveva loro permesso di (ri)trovare chi li liberava da questo tremendo malditesta. Insomma, la solita storia di incultura e di trasversale miopia politico-partitica; a Locarno, alberghi, turisti abbienti, grandi litigate sul nulla e la solita edilizia rapinosa: abbiamo tutto questo e che importa, in fondo, della cultura e dell’arte? Insomma, le solite miserie del territorio (basti pensare al piccolo scandalo del Museo Epper, per dire), con la cultura che viene buona solo per qualche occasione sociale, una coppetta di prosecco e due pizzette fredde, e per il solito discorso frusto sulla “terra d’artisti”.
Rudy è ora in “meritata quiescenza”, se ne starà forse tranquillo per un po’, ammaestrato dai suoi guai, o a masticare amaro per il supremo oltraggio. E non si trova un successore, nemmeno qualcuno che si prenda la briga di nominarlo, se non un solo commissario in odore di amichevole consuetudine con… Chiappini. Risvegliato dai soliti rompiballe (e complice un servizio televisivo che scoperchiò qualche pentola), e dopo mesi di beato letargo, il Municipio ora non può che prendere atto che non tutto era come sembrava, anzi che c’era un po’ di marcio in Danimarca; mi chiedo se la bella addormentata non sarebbe rimasta tale, se non vi fossero state le Comunali in agguato. E allora, ecco un soprassalto di orgoglio cittadino, con pensose (e penose) riflessioni, financo corrucciate critiche a Chiappini, a babbo morto e stramorto; tu quoque, Brute, fili mi?
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