La sindrome di Scrat
Divagazioni sul volto prossimo venturo della Città Ticino
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Divagazioni sul volto prossimo venturo della Città Ticino
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• – Riccardo Fanciola
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• – Federico Franchini
Si chiama Scrat, è un curioso scoiattolo con lunghi denti a forma di sciabola che con le sue performances introduttive alla fortunata serie di film d’animazione “L’Era Glaciale” è persino diventato il simbolo della casa di produzione che l’ha inventato, la Blue Sky.
Nel nulla o quasi di un mondo immobilizzato dal gelo, in un’era primordiale, Scrat si avventura ogni volta nella ricerca di un posto dove collocare il suo “bottino”, il pasto di cui è ghiotto: una ghianda. Ma ogni volta che la vuole collocare nella superficie piana o verticale del ghiaccio, si produce un meccanismo irrefrenabile (ed irresistibilmente comico) di crepe, falle, buchi a catena che lo costringono alle corse più folli, alle imprese più disperate e perennemente fallimentari.
Nel secondo episodio della serie (2006), circondato da giganteschi iceberg, Scrat colloca in una parete vorticosamente verticale la sua agognata ghianda: da lì via si aprono tutta una serie di falle da cui escono getti d’acqua sempre più potenti che lo scoiattolo cerca di fermare nei modi più goffi ed assurdi. L’effetto è assolutamente esilarante.
Le vicende di Scrat mi sono tornate in mente (senza però produrre alcun effetto comico), pensando a quelle che vedono politici, amministratori cantonali, comunali, occuparsi di questioni legate al nostro territorio, apparendo ogni volta “sorpresi” dall’effetto a catena prodotto da decisioni apparentemente “mirate”, “circoscritte”, “compartimentali”.
Poli e comparti sono del resto pane quotidiano del dibattito politico pre-votazioni comunali a Lugano, e non solo. Ogni giorno che passa, non si fa che rimettere in discussione progetti e piani che si trascinano da anni fra concorsi, consulenze, dibattiti pubblici e referendum in quella che ormai si vorrebbe chiamare “Città Ticino”.
In generale, l’oggetto del contendere sarebbe poi il bene comune più prezioso, ovvero il cosiddetto “suolo pubblico”, che si dice sia “gestito” da pianificazioni e piani regolatori, ma che per lo più ci appare come una sorta di variegato catalogo di “casi particolari”, sempre avveniristici, sempre controversi, spesso immobili oltre che immobiliari.
E la politica (diciamo così, semplificando un po’ rozzamente) a scadenze regolari e a geometria variabile pianta da qualche parte la sua “ghianda”, salvo poi verificare che il meccanismo che ne consegue è, ogni volta, imprevisto e incontrollabile.
Prendiamo l’ormai famigerato Polo Sportivo e degli Eventi di Lugano, passato a larghissima maggioranza in Consiglio Comunale come summa della progettualità frutto della collaborazione fra pubblico e privato. Un mega-progetto, che dopo quello del LAC già fa tremare per le possibili conseguenze sulle finanze del comune (e dei contribuenti) e che per sommi capi, in queste ultime settimane ha prodotto una serie di “colpi di scena” a catena:
Poi arriva il FC Rapid, a dire (vedi CdT 7.4.21) che i propri 350 tesserati vogliono restare a Cornaredo, e non, come indica il Progetto, essere destinati ad andare a giocare ed allenarsi al Maglio;
poi il MAT, Movimento artistico ticinese, solleva la questione del proprio futuro (e di quello di 650 iscritti ai propri corsi) visto che la sede che occupa, alla Bozzoreda, è destinata ad essere abbattuta per farne il “Parco del Comparto”, e via con le lamentazioni in nome della Cultura e contro la Natura… (v. CdT, 6.4.21).
Così emergono tutte questioni legittime “irrisolte”, che sono chiaramente correlate, che si poteva immaginare fossero messe in preventivo, in relazione fra loro, analizzate e discusse (e risolte), e invece no: tutti contro tutti, all’unanimità, naturalmente.
Per calmare gli animi (e turare qualche falla in questo festival delle crepe) ecco che poteva venire in soccorso il nuovo Campus di USI e SUPSI a Viganello: e invece no, dopo l’inaugurazione si scoperchia l’ennesimo caso di “violazione sulla Legge delle commesse pubbliche” (v. “La Regione” 1.4.21); insomma, appalti e subappalti tutti da verificare e capire: in ballo, milioni (pubblici o privati?).
Certo, un po’ dovunque nel Cantone ci si ritrova, specie in Campagna elettorale a farsi i muscoli su questioni di pianificazione del territorio ed impatto socio-economico dei progetti: si pensi alle Officine di Bellinzona (ma anche, per dire, alla ristrutturazione con sorpassi dello stadio); o, ancora, ai destini della Rotonda o del Parco Balli a Locarno.
Ma in tutto questo turbinio di interventi urgenti (possibilmente da rimandare) dentro il “patchwork Ticino”, a Lugano, forse per le dimensioni ed il rilievo dei progetti, siamo vicini davvero ad una sorta di “sindrome di Scrat”: il sospetto di crepe e falle destinate ad aprirsi nei prossimi mesi ed anni pare più che fondato.
Si arriverà, fra non molto, a tornare al “comparto del Macello” (perché non metterci il MAT al posto degli sgombrati autonomi, che potrebbero tornare al Maglio al posto del FC Rapid?, solo così per andar di fantasia…), oppure al comparto congressuale (ma dopo che il Padiglione Conza non servirà più come centro di vaccinazione anti-Covid, si spera).
E via, di campus in campus: e si sa, “campus fugit”, per cui si arriverà, forse, a rincorrere, un giorno, anche quel “monstrum” che sta da tempo perpetrandosi sulla collina di Comano. È il Campus RSI, dove convergeranno tutti i vettori, media e collaboratori dell’Azienda di Servizio Pubblico, abbandonando la sede di Besso, che Lugano ha, pare, accettato di acquisire per farne la “Casa della Musica”.
A che prezzo? Con quali benefici? E la RSI, i suoi apprezzati showcases, concerti Jazz, classici, eventi, dove li farà?
Chi lo sa? Si vedrà.
Intanto basta non toccare una ghianda, neanche per sbaglio. La sindrome di Scrat incombe.
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