Hans Küng, il “ribelle” che non lasciò la Chiesa
Il profilo dell'enfant terribile della Chiesa cattolica, attraverso il rapporto del teologo svizzero con tre pontefici: dallo scontro con Wojtyla al dialogo con Francesco
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Il profilo dell'enfant terribile della Chiesa cattolica, attraverso il rapporto del teologo svizzero con tre pontefici: dallo scontro con Wojtyla al dialogo con Francesco
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Il profilo dell'enfant terribile della Chiesa cattolica, attraverso il rapporto del teologo svizzero con tre pontefici: dallo scontro con Wojtyla al dialogo con Francesco
Autore di innumerevoli saggi, Il teologo svizzero è stato certamente una spina nel fianco dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, a seguito delle sue posizioni estremamente critiche su questioni come l’infallibilità papale, la sessualità, la contraccezione, il celibato dei preti e l’accesso delle donne ai ministeri, senza dimenticare il suo impegno per un’etica mondiale a partire dal dialogo tra le religioni (nel 1993 ha creato la fondazione “Weltethos”) e, negli ultimi anni, la sua battaglia a favore dell’eutanasia.
Dicevamo dei suoi difficili rapporti con i pontefici. Fu sotto il pontificato di Giovanni Paolo II che, nel dicembre 1979, la Congregazione per la dottrina della fede revocò a Küng la “missio canonica”, cioè l’autorizzazione all’insegnamento della teologia cattolica. Conservò comunque la sua cattedra presso l’Istituto per la ricerca ecumenica dell’Università di Tubinga, dai lui fondato, ma che venne separato dalla Facoltà cattolica.
Küng fu molto critico dei confronti di papa Woytila e del suo pontificato, in particolare a causa del suo conservatorismo, del suo centralismo e per aver frenato – a suo modo di vedere – l’attuazione del Concilio Vaticano II con posizioni restauratrici. Con Joseph Ratzinger, successore di Giovanni Paolo II, le cose non andarono meglio. Facendo un passo indietro, bisogna ricordare che furono entrambi esperti al Concilio e che fu Küng a convincere l’ateneo di Tubinga a conferire a Ratzinger la cattedra di teologia dogmatica. E poi mi ricordo benissimo che all’inizio del suo pontificato, precisamente il 24 settembre 2005, Benedetto XVI ricevette Küng per un intero pomeriggio a Castel Gandolfo, in un incontro svoltosi, secondo il Bollettino della Sala Stampa vaticana, “in un clima amichevole”. Successivamente però, anche con Ratzinger fu scontro aperto. Il teologo di Sursee criticò in particolare papa Benedetto per la controversa dichiarazione “Dominus Jesus” del 2000 sull’unicità salvifica di Gesù e della Chiesa cattolica, per la sua gestione dello scandalo dei preti pedofili e per aver revocato la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Ben diverso è stato il rapporto- seppur breve viste le condizioni di salute del teologo svizzero andate peggiorando negli ultimi anni – tra Küng e l’attuale pontefice papa Francesco. Già al momento dell’elezione di Bergoglio affermò: “Sono felice, è la migliore scelta possibile, conosce e ama la vita semplice, umile, reale ed è esterno al sistema romano della Curia”. Successivamente, nel marzo 2016, Küng aveva scritto una lettera aperta al papa per chiedergli di aprire una discussione libera e imparziale sul dogma dell’infallibilità. Francesco gli rispose con un messaggio nel quale lo chiamò “Lieber Bruder” e gli manifestò – stando a quanto riferì il teologo di Sursee, che non lo divulgò dato il suo carattere confidenziale – la sua disponibilità senza alcuna restrizione.
In conclusione, mi sento di esprimere un rammarico: che Hans Küng non sia mai stato oggetto di una vera e propria riabilitazione, probabilmente a causa del suo parlare sempre chiaro e delle conseguenti avversioni che si attirò sia dentro la Curia romana sia in vari settori della Chiesa cattolica, Chiesa che Küng non ha mai voluto abbandonare e che ha sempre amato.
A che cosa serve ancora questa sorta di liturgia mondiale nelle Alpi svizzere dei più o meno grandi del mondo? Un interrogativo lecito, forse urgente, nei giorni del WEF
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