Sanchez alza la diga contro l’onda nera
il leader socialista rovescia i pronostici e ottiene un pareggio che sa di vittoria; i Popolari tornano primo partito ma crollano i suoi ipotetici alleati dell’estrema-destra di “Vox”; sollievo in Europa
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il leader socialista rovescia i pronostici e ottiene un pareggio che sa di vittoria; i Popolari tornano primo partito ma crollano i suoi ipotetici alleati dell’estrema-destra di “Vox”; sollievo in Europa
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Anche in politica, e persino in guerra, si può vincere pareggiando. Soprattutto quando le distanze iniziali sembrano davvero incolmabili. Così, a sorpresa, “vince” il socialista Pedro Sanchez: il “guapo”, già protagonista in passato di impronosticate rinascite politiche – anche all’interno del suo stesso schieramento -, nonché autore di quel “Manuale di resistenza” che forse non pochi disorientati leader progressisti ora si affretteranno a cercare in libreria. Pareggio elettorale con significato che travalica le frontiere iberiche: anche in Europa, dice il messaggio, la diga democratica può resistere all’onda nera, alla pece di netta marca neo-fascista e iper-patriota che tutti, a questo punto troppi, davano per sicura vincente nel destino ravvicinato del vecchio continente. Partita certo assolutamente ancora aperta. In rapida successione vi saranno già nei prossimi mesi consultazioni nazionali che potrebbero avere esito diverso da quello, rassicurante, di marca spagnola.
Ma intanto a Madrid la destra non può certo festeggiare. Perché fra tutti gli scenari incertissimi del dopo-voto, quello di un ritorno a palazzo della Moncloa dei conservatori del “Partito Popular” sembra escluso. Soprattutto di un suo reinsediamento in compagnia di “Vox”, lo schieramento delle nostalgie franchiste, dell’anti-europeismo, della negazione di molti diritti (anche di quello all’aborto), per cui apertamente tifava una vociante Giorgia Meloni, invitata a comizi in loco o in video in cui dava sfogo al sovranismo-populista strumentalmente silenziato nelle sedi istituzionali dell’UE.
Certo, il primo partito di Spagna si conferma, unico facile pronostico azzeccato (con la follia di ben sei sondaggi al giorno nelle ultime settimane di campagna elettorale), il centro-destra di Alberto Nunez Feijóo, il moderato presidente della Galizia, che confessò di aver votato in passato per il socialista Felipe Gonzalez. Galvanizzato dall’esito del voto amministrativo di maggio, puntava però alla maggioranza parlamentare assoluta. Soprattutto per evitare l’alleanza con gli estremisti di “Vox”, con cui tuttavia già collabora in una manciata di regioni. Si è così accreditato come il “pacificatore” di un paese dalla politica polarizzata, apparentemente stanco dell’asprezza delle contrapposizioni che lo hanno arato nell’ultimo decennio. Una carta che ha dato i suoi frutti. Ma non tutti quelli sperati. Troppo semplicistico il suo slogan preferito: “liberarsi di Pedro Sanchez”, accusato di riaprire le ferite del passato (in realtà anche per elaborare le tragedie della dittatura franchista) e soprattutto di aver governato affidandosi al sostegno parlamentare di autonomisti catalani e baschi.
Non ha tenuto sufficientemente conto, Feijóo, che comunque anche gli spagnoli “vanno alle urne col portafoglio”, e che il bilancio economico-sociale del governo delle sinistre iberiche era (nonostante la lunga stagione dell’emergenza sanitaria) fra i migliori a livello europeo: dalla lotta all’inflazione alla crescita del pil alla creazione di nuovi impieghi; dall’indicizzazione delle pensioni per battere il caro-vita all’aumento netto del salario minimo. Del resto, lo stesso leader “popular” è stato uno dei principali critici di “Vox”, l’unico schieramento con cui eventualmente cucire una partnership di governo, l’ipotesi più temuta in molta parte d’Europa. E’ stato lui, praticamente, il primo demolitore del suo ipotetico alleato Santiago Abascal, protagonista di un autentico (e per noi salutare) tonfo.
Rimane ora da vedere se e come il giovane leader del PSOE saprà amministrare questo “vittorioso pareggio”, ottenuto anche grazie all’ottimo risultato di “Sumar”, la costellazione dei piccoli partiti a sinistra del socialismo storico, in cui è confluito anche un “Podemos” in declino. Se Pedro Sanchez intende rinnovare la sua attuale coalizione dovrà di nuovo corteggiare i partiti autonomisti, che potrebbero tuttavia alzare il prezzo della loro adesione, tenendo soprattutto conto che per esempio in Catalogna la tenuta socialista è stata pagata proprio e principalmente dalle formazioni anti-Madrid. E se si esclude, come sembrerebbe di dover escludere, un esecutivo di minoranza “poular”, non rimarrebbe che un nuovo ricorso anticipato alle urne entro fino anno o inizio 2024.
In realtà, la mappa politica espressa da uno scrutinio ad alta partecipazione (70%) segnala che la Spagna è tornata sostanzialmente al suo bipolarismo post-franchista. Una situazione che ‘ingolosisce’ l’UE e la sua attuale ‘governance’. Scenario perfetto per una grande coalizione, come nell’attuale parlamento europeo di Strasburgo, fra socialisti e conservatori moderati. Ipotesi lanciata da Feijóo con la formula del reciproco appoggio esterno, e respinta da un PSOE (al suo interno comunque assai negativo sull’argomento) che non avrebbe ottenuto quel che ha ottenuto se l’avesse anticipatamente sottoscritta. Ipotesi recuperabile? Sarebbe un’altra clamorosa sorpresa in una Spagna finora disinteressata, se non allergica, alle “Grosse Koalition”.
Nell’immagine: Pedro Sanchez
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