Due mogli ed una commemorazione
In occasione del 150mo anniversario della morte di Alessandro Manzoni è uscito un romanzo dedicato alle vere e presunte vicende sentimentali dello scrittore. Un’operazione alquanto discutibile
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In occasione del 150mo anniversario della morte di Alessandro Manzoni è uscito un romanzo dedicato alle vere e presunte vicende sentimentali dello scrittore. Un’operazione alquanto discutibile
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In occasione del 150mo anniversario della morte di Alessandro Manzoni è uscito un romanzo dedicato alle vere e presunte vicende sentimentali dello scrittore. Un’operazione alquanto discutibile
È il caso del romanzo Le due mogli di Manzoni di Marina Marazza (Milano, Solferino, novembre 2022). «Un colpo di fulmine letterario. Una famiglia che pare felice. Ma in amore c’è sempre chi ama di più»: parole che si leggono ancora sulla copertina. Naturalmente, non trattandosi di fulmini gaddiani (Un fulmine sul 220) né, per rimanere in famiglia, di un colpo di fulmine che «tenea dietro al baleno», le suddette parole avrebbero dovuto mettermi sull’attenti. Ma, complice l’insistenza assassina degli amici milanesi del Centro Nazionale di Studi Manzoniani (amici dai quali dovrebbe guardarmi Dio), ecco che mi sono trovato tra le mani questo romanzo d’amore. Dall’editore dei Carteggi di Tommaso Grossi e di Luisa Blondel d’Azeglio, nonché studioso di Manzoni, quindi da uno che conosce bene quel mondo, i suddetti amici attendono un parere su questo nuovo romanzo uscito dalla penna dell’autrice che, solo un anno prima (2021), pubblicò La moglie di Dante.
Ai miei tempi universitari leggevo la rivista politica trimestrale «Quaderni piacentini», che pubblicava fulminanti recensioni letterarie di Cesare Cases: poche righe che, se non ricordo male, terminavano con un NO o un SÌ. Potrei dunque, se solo fossi degno di ripetere Cases, terminare qui con un bel NO.
Le vicende che nutrono questo romanzo storico-domestico sono narrate in prima persona da Teresa, la seconda moglie di Manzoni. La quale ci racconta, per sommi capi, il bel mondo ottocentesco milanese, la vita della larga famiglia Manzoni, il “dietro le quinte” e, a volte, il “dietro le cortine dell’alcova”, dove Teresa faceva «l’amore fino a sfinirci» con il marito, ma anche con l’amico carissimo di don Lisander, il Grossi: prima del matrimonio, ma anche dopo, quando Teresa seppe che il suo Manzoni era padre biologico di un figlio nato da una relazione con una ricamatrice in San Lorenzo:
« -Voglio salire con voi Tommaso- , ripetei…- Se mi volete, ben inteso-
“È solo una ripicca, Teresa, ora siete sconvolta…”
– Credo che abbiate ragione. Approfittatene prima che rinsavisca.-
Lui emise un suono che pareva il gemito di un torturato, mi prese la mano e la strinse forte.
“Che Dio ci perdoni” mormorò, aiutandomi a scendere dalla vettura».
Inutile dire che di azioni e pensieri simili non c’è traccia in nessun documento: lettere, diari, ecc. Ma ciò non suscita scandalo, semmai noia. E poi: ma di chi stiamo parlando? Di colui che ridusse la vicenda della Monaca di Monza in solo tre parole: «La sventurata rispose» (tanto per dire quanto fosse loquace delle cose sue il Nostro).
Il romanzo in questione può essere facilmente classificato come un feuilleton, un romanzo d’appendice; ciò che lo può rendere interessante (si fa per dire) agli occhi di un lettore o lettrice sono senz’altro i nomi dei protagonisti; infatti se al posto di un Alessandro Manzoni, di un Tommaso Grossi, di una Teresa Borri Stampa, di un Luigi Rossari, o di una Clara Maffei mettessimo Pinco Pallino, Bianca Bianco, e Chissenefrega, beh, dopo una trentina di pagine ci dimenticheremmo il volume su una sdraio del Villaggio Pino di Milano Marittima (quello vicino al Papeete Beach).
Insomma un mezzo …naufragio. Siamo lontani anni luce da romanzi come La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg (Einaudi, 1989) o N. [Napoleone] di Ernesto Ferrero (Einaudi, 2000): altri livelli.
Nell’immagine: Manzoni e le mogli
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