Se è lecito confrontare le cose piccole con le grandi…
Tre divagazioni impertinenti sul filo dell’attualità
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Tre divagazioni impertinenti sul filo dell’attualità
• – Silvano Toppi
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• – Franco Cavani
Una riflessione ed una proposta educativa in occasione della Giornata Mondiale della Terra - di Manuela Varini
• – Redazione
In occasione della Giornata mondiale della Terra riproponiamo un importante contributo di Bruno Giussani sulla vitale necessità di conciliare gli obiettivi di sicurezza energetica a breve termine con gli obiettivi climatici a lungo termine
• – Bruno Giussani
Il debito pubblico non è una sciagura: ne beneficiano tutti se utilizzato per investimenti produttivi; inoltre la Confederazione è soprattutto esposta nei confronti di investitori istituzionali elvetici, poco all’estero
• – Spartaco Greppi
Un contributo alla comprensione, alla riflessione e alla discussione, in occasione della “Giornata Mondiale della Terra”
• – Redazione
Attentati e scontri sulla spianata delle Moschee: governo israeliano in bilico per l'auto-sospensione del partito arabo Raam
• – Redazione
Un’analisi sull’evidente fallimento della Russia in Ucraina, e sulle possibili reazioni di uno zar comunque in difficoltà e dipendente dalla Cina
• – Aldo Sofia
In pochi giorni si capirà se gli ucraini riusciranno a far il bis della non sconfitta anche nel Donbas
• – Redazione
Favorito Macron nel duello finale di domenica, ma c'é l'incognita della sinistra radicale, populista e anti-élite di Mélenchon, che in parte preferirebbe le Pen
• – Aldo Sofia
Tre divagazioni impertinenti sul filo dell’attualità
L’informazione sono io
L’uomo più ricco del mondo, Elon Musk (quello della Tesla o dei voli turistici-interspaziali di SpaceX, tanto per intenderci) ha cominciato con l’acquisire il 9.2 per cento del capitale di Twitter (la rete sociale seguita da 82 milioni di persone), e ora vuole fare un boccone di tutta Twitter sborsando 43 miliardi di dollari (un sesto della sua fortuna, valutata a 250.6 miliardi di dollari, secondo la nota agenzia finanziaria Bloomberg) e spera di riuscirci. Non tanto per un affare economico, quanto per una ingordigia politica: così ammette.
Ci interessano infatti i motivi di questo acquisto. “È importante che ci sia un’arena inclusiva per la libertà d’espressione – ha detto Musk in un’intervista. Twitter è come una piazza pubblica ed è importante che la gente abbia la realtà e la percezione di poter parlarvi liberamente… nei limiti della legge”. Ha subito aggiunto che, se controllerà la piattaforma, renderà pubblico l’algoritmo che determinerà quali tweet abbiano priorità informativa per gli utenti, quali siano da valorizzare e quali da declassare o scartare e si è dichiarato contrario all’esclusione permanente di utenti che non rispettano le regole di moderazione della piattaforma (pensava all’amico Trump, escluso da Twitter per incitamento alla violenza dopo i fatti del Capitol). Qualcosa ciurla nel manico; quindi: la libertà a sua immagine e somiglianza? Si dice che il padrone di Tesla sia conosciuto “per le sue posizioni libertarie”. Che non vuol dire “liberali”. Non è detto che Musk riesca nel colpo; se ci riuscisse – osa commentare sul “Wall Street Journal” Walt Mossberg, riconosciuto esperto nel settore, “significherà che Twitter ridiventerà un luogo ancora più pericoloso” (per la libertà e la democrazia?).
Un nostro miliardario, nello “spazio libero sa pubbliredazionale a pagamento”- cioè lo spazio redazionale che i quotidiani vendono con l’etichetta “publi” a chi può permettersi di pagarlo – scrive tra altre cose: “Per quanti anni andremo avanti senza una legge efficiente, che colpisca duramente chi, pagato e preposto a parlare di cose così importanti alla popolazione (v. giornalisti, specie tv) si permette di non essere obiettivo e di seguire una strategia comunicativa prefissata da una parte politica o più semplicemente voluta per far aumentare gli indici di ascolto? Quando potremo fidarci dell’informazione? Non per nulla in Svizzera il Popolo Sovrano ha votato contro il finanziamento dei media da parte dello Stato. La gente non crede sempre a quello che sente o legge e ha votato contro perché non si fida. Già questa conquista sarebbe un grande passo avanti per tutti noi, bombardati ogni giorno in modo martellante dall’informazione, nelle sue varie forme”. Qualcosa ciurla anche qui nel manico: non fidarsi dello Stato, finanziariamente controllabile, ma fidarsi del publiredazionale a pagamento, finanziariamente incontrollabile? Fondamentalmente siamo sullo stesso discorso che muove Elon Musk. Riassumendo: faccia l’informazione chi può pagarsela, o accaparrandosi e comprandosi i mezzi di informazione o inducendo i mezzi di informazione cosiddetti “indipendenti”, ma sempre in agitazione finanziaria, ad appaltare perlomeno parte della loro redazione; siamo così sicuri che si farà buona informazione (la nostra) e non si dovrà dipendere né dallo Stato, anche se tra i suoi obblighi avrebbe anche quello di difendere e sostenere la libertà d’espressione, né dagli incantamenti degli indici di ascolto (forse si poteva onestamente aggiungere: né dalle quotazioni in Borsa); saremmo sempre in grado, con le nostre private finanze e con la certezza dei nostri principi, o di proporre dei supervisori-controllori formati “ad hoc” (o udc, proposta già formulata) o di impostare degli algoritmi che scelgano ciò che è buono, meno buono, utile, secondo i nostri giusti fini senza alternative, oppure da scartare nel modo più assoluto perché nocivo al popolo che rimane sovrano; la libertà di informazione e di espressione sarà in tal modo garantita e libera, né più né meno come la buona moneta che scaccia la cattiva, come ora il dollaro democratico scaccia il rublo dittatoriale.
Il celodurismo afflosciato
Due premesse per “jouer au con” (è il caso di dirlo) e dare corpo a un altro confronto tra piccolo e grande. La prima: anche dalle nostre parti, su imitazione della Lega bossiana, correva spesso il detto, da una certa parte politica, ch’eri il migliore perché avevi gli attributi e ce l’avevi duro. È un derivato mussoliniano o fascistoide che agganciava alla declamata eccezionale virilità sia la mascolinità forzuta e mai effeminata, sia l’efficienza politica, sia la potenza militare e la fecondità demografica che ne è condizione. La seconda: è tornata con impeto la convinzione che se vuoi la pace devi fare la guerra, si è riavviata una più intensa corsa all’armamento con l’obbligo per ogni Stato (compresa la neutrale Svizzera) di fare della spesa militare una priorità tra le priorità.
Il confronto con quel che capita nel Brasile, sull’orlo ormai di una quasi crisi per il governo Bolsonaro, e persino per le chiese evangeliche che lo sostengono, illumina di luce nuova l’una e l’altra premessa. Che cosa capita nel Brasile del forzuto ex-generale presidente Jair Messias Bolsonaro, che si è spesso definito con orgoglio “imbrochàvel” (che potremmo definire “inafflosciabile”, equivalente del “ce l’ho duro” che ha imperversato anche dalle nostre parti su imitazione italiana, come avviene spesso)? Capita che il suo governo ha speso milioni di dollari per fornire l’esercito di migliaia di pillole contro le disfunzioni erettili (Viagra, comperato tra l’altro al 143% in più del prezzo di mercato) e una sessantina di protesi del pene (da 10-12 mila dollari l’una, forse quindi destinate ai generali), oltre anche a rimedi contro le calvizie. Ed era ovvio che la stampa d’opposizione di scatenasse subito commentando: “Até isso Bolsonaro destruiu uma instituçao que tinha credibilidade”. Afflosciata, insomma, la dignità dell’esercito.
Due conclusioni, che possono esserci utili. Seppelliamo il complesso del celodurismo, la politica richiede altro. Tuttavia, se gli eserciti del mondo, compreso quello svizzero, invece che di armi fossero forniti di pillole o aggeggi erettili, per la disattenzione o altro impegno che generano, quella dell’esercito brasiliano, anche se artificiosamente coerente, non è un’idea da scartare.
Sportelli luganesi in Kazakistan
C’è chi ha scoperto che c’è un modo profittevole per aggirare le sanzioni occidentali che vogliono colpire il sistema bancario russo. Basterebbe, a quanto pare, operare con carte di credito nelle ex-repubbliche sovietiche, per ottenere dei trasferimenti in rubli (l’equivalente di 10 mila dollari al colpo), senza restrizioni, e convertirli poi in monete straniere.
È nel Kazakistan che questi trasferimenti bancari hanno assunto un’ampiezza inattesa. Citando l’Agenzia della Repubblica del Kazakistan per la regolazione e lo sviluppo del mercato finanziario, il media kazako “Vlast” ha informato che i Russi e i Bielorussi hanno aperto più di 12 mila conti bancari nel paese in poche settimane. “Tra questi, 10.725 conti sono stati aperti in presenza del richiedente o del rappresentante autorizzato in una banca kazaka, 1.215 sono stati aperti a distanza. Di conseguenza il numero totale dei cittadini aventi dei conti nelle banche della Repubblica del Kazakistan ha superato ora le 162.000 unità”, così informa il regolatore finanziario kazako (riportato dal quotidiano economico “Echos”). Come a dire, in barba alle sanzioni.
A un luganese, in particolar modo a un banchiere, si accendono mille lampadine. Kazakistan, con la sua capitale Nur-Sultan, gli suona bene: c’è gemellaggio con la città del Ceresio. È l’anticipo che la piccola Lugano vuol ora avere sui grandi sistemi e percorsi della Storia. Kazakistan, non solo un paese specializzatosi in “mining” di criptovalute, di quelli, insomma, che estraggono bitcoin a blockchain battente, collocandosi, per estrazione, al secondo posto al mondo e può quindi essere una briscola vincente per la programmata futura capitale europea delle criptovalute. Non solo “forziere dell’uranio”, come vien definito, uranio pronto ad esserci consegnato dal paese gemello, proprio in un momento in cui l’udc nazionale, in nome dell’indipendenza e autonomia nazionali, preferisce credere nell’energia nucleare, che domanda uranio, che non negli incerti seppur gratuiti sole o venti nazionali. No, ecco che si presenta un’altra gioiosa opportunità: contraccambiare, trovando il modo di aprire sportelli, anche solo a distanza, in Kazakistan, dove ce ne sarà a lungo grande bisogno.
Nell’immagine: come in molti altri luoghi del mondo, anche nella capitale del Kazakistan non può mancare un bel “Ristorante Lugano”
In ricordo di Elisabetta II, regina d’Inghilterra, la più longeva sovrana della storia
I palestinesi temono ciò che certi ministri di Netanyahu non nascondono: una seconda “Nakba”, come quella che nel 1948 espulse anche con la forza dell’esercito israeliano circa...