Se la stampa è serva della politica
Le rivelazioni, su cui indaga la magistratura federale, di uno scambio di favori fra il capo ufficio stampa di Berset e il vertice del Blick
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Le rivelazioni, su cui indaga la magistratura federale, di uno scambio di favori fra il capo ufficio stampa di Berset e il vertice del Blick
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Le rivelazioni, su cui indaga la magistratura federale, di uno scambio di favori fra il capo ufficio stampa di Berset e il vertice del Blick
Ma se fossero confermate le rivelazioni della “Schweiz am Wochenende”, la questione sarebbe assai diversa, e assai più grave. Si tratterebbe, ha scritto il giornale, esibendo qualche riscontro, di un accordo fra Marc Walder, CEO di “Ringier”, e Peter Lauener, ex capo comunicazione di Alain Berset; in base a tale intesa il collaboratore del consigliere socialista comunicava con anticipo ai giornalisti del gruppo documenti relativi a progetti, decisioni, discussioni sulle scelte anti-pandemia del Consiglio federale, mentre il “Blick”, grato e riconoscente, garantiva apprezzamenti favorevoli alla strategia sanitaria del governo, quindi più o meno direttamente dello stesso Berset, responsabile della sanità. Sarà la magistratura federale, con l’apertura di un’indagine penale, a stabilire cosa e quanto c’è di vero in questa vicenda. Che non è relativa a semplici fughe di notizie, bensì a gravi violazioni del segreto d’ufficio.
Si tratterebbe di un indegno ‘mercato’, uno scandaloso scambio di favori (Berset poteva non sapere, come afferma?) che nell’anno elettorale accrescerebbero le difficoltà politiche dell’attuale presidente della Confederazione (dopo la non brillante rielezione in Consiglio federale), ma che getterebbe ombre pesantissime anche sulla credibilità dei media, sulla loro indipendenza, sul loro ruolo di un contro-potere non aprioristico bensì basato sul diritto-dovere di accertare, fare domande pertinenti e anche impertinenti, per garantire un autentico rispetto del mandato di servizio pubblico che deve rappresentare la stella polare di un’informazione credibile e necessario al confronto democratico.
Tanto più grave, la faccenda, se si guarda ai suoi principali protagonisti. Peter Lauener è un ex giornalista (uno di tanti trasferitisi nel palazzo del potere, al fianco dei nostri ministri, alle prese con le preoccupazioni della loro comunicazione a Camere e pubblico-elettore), e non può non sapere che questo genere di ‘patto scellerato’ configura una flagrante violazione deontologica della sua ex professione, è un passo che scredita uno dei quotidiani a maggiore diffusione nazionale, è un autentico “patto col diavolo”, insensato sotto ogni punto di vista.
Ma questo lo dovrebbe sapere anche un editore, anche Marc Walder. Eppure il CEO di “Ringier” ha il merito, anzi l’assoluto demerito, di aver espresso le sue assurde convinzioni – allora commentate severamente su Naufraghi/e da Daniele Piazza – in un intervento che doveva rimanere segreto e che segreto non è rimasto. Siamo al peggio che un editore possa pensare del rapporto fra stampa e politica. Era il dicembre del 2021, prima di una votazione sulla strategia del governo federale, e il portale “Nebelspalter” pubblicò un video di Walder durante un intervento alla “Schweizerische Management Gesellschaft” sul tema dell’informazione al tempo dell’emergenza sanitaria. In cui il gran capo del Blick afferma tra l’altro: “I media non devono diventare un cuneo fra la società e il governo… In tutti i paesi in cui siamo attivi abbiamo deciso, su mia iniziativa, e sarei contento se ciò rimanesse fra noi, di sostenere i governi attraverso la nostra informazione, così da fare in modo che tutti escano bene da questa crisi”.
Nessuna critica, pieno sostegno alle autorità, informazione di regime, ‘a prescindere’ delle scelte politiche del Consiglio federale, e di quelle di altri governi in nazioni dove il gruppo è sul mercato mediatico (nell’Europa dell’est e in alcune parti dell’Africa). Il peggio, davvero il peggio, che l’informazione possa produrre. Non che un giornale non abbia diritto a una propria linea politica. Ma deve esplicitarla, renderla pubblica, dire alla sua platea da che parte sta, non nasconderla dietro il vanto di un’indipendenza che in realtà non c’è (infatti, “sarei contento che ciò rimanesse tra noi”).
Che il “Corona-leaks” elvetico si basi su un accordo realmente avvenuto potrebbe perciò non sorprendere. E nulla lo può giustificare: né il fatto che il ministero della sanità venisse bombardato senza tregua e spesso senza ragione dal partito più grande del paese (l’UDC, con la sua assurda tesi della ‘dittatura sanitaria’), né il fatto che proprio un editore sconvolga alcune delle regole eticamente e deontologicamente sacrosante del prodotto che confeziona. Pagina nera del giornalismo elvetico. O meglio, di una sua parte. Uno studio dell’Istituto Fög dell’Università di Zurigo rilevò poi che i media del nostro paese non furono in generale accondiscendenti con le iniziative del governo. Ma anche solo le avvisaglie di questo scandalo, quanta acqua stanno già portando, e porteranno, al mulino degli ‘Amici della Costituzione’, i super-critici della strategia governativa? E quanto discredito su un giornalismo da tempo e per molte altre cause già in forte debito d’ossigeno?
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